Sono #130 le vittime di violenza maschile in famiglia. L’ultima, di nuovo, a Bologna. Una donna malata di cui il marito decide di liberarsi per mettere fine alla sua personalissima fatica.
Ce ne sono state alcune – quest’anno – morte nelle medesime circostanze e il linguaggio usato dai media in questi casi è sempre lo stesso. I femminicidi vengono definiti “drammi della disperazione”, gli assassini sono sempre “uomini disperati”. “Tragedie”, vittime di non si sa cosa, questi uomini, descritti come coloro che per qualche anno sono stati accanto alle loro mogli, accudendole come potevano e – poverini loro – allontanandosi dunque dallo schema che vorrebbe le donne alla cura e gli uomini a fare gli stronzi impenitenti e lontani da qualunque forma di solidarietà.
Uomini privi di responsabilità nei confronti delle persone con cui vivono e stanno in relazione. Uomini legittimati al disinteresse e assolti qualora compiono un omicidio perché loro, si sa, dovrebbero fare altro nella vita, fumare la pipa, essere serviti e riveriti, e se gli tocca farsi il culo per assistere qualcuno, magari quella che gli ha sorretto l’esistenza fino a che non si è ammalata, povera donna, allora è subito giustificato ad ammazzarla.
Non c’è molto da dire o forse si e la differenza la trovate quando leggete di notizie che riguardano donne che nelle stesse circostanze hanno osato dare di matto, frustrate e appesantite dalla fatica di quel ruolo imposto, e non sono state moglie devote, madri più che perfette, badanti attente o maestre pazientissime.
Le donne vengono descritte sui giornali come delle autentiche arpie e gli uomini che ammazzano le mogli perché si sono stancati di accudirle invece sono poveri angeli che vanno compatiti, certo, come no.
Diciamo che domani tutte le donne che hanno in cura mariti e figli, nonni e bisnonni, parentame vario, decidono di buttare dalla finestra gli e le assistit*, che ne dite? Sui quotidiani saranno definiti “drammi della disperazione” o si parlerà della eccezionale cattiveria di queste donne?
Delle due l’una. Senza voler escludere le responsabilità sociali e dello stato che delega tutte le responsabilità di assistenza alle donne e alle famiglie e poi si finge pietoso quando ci scappa il morto, diciamo che gli assassini sono assassini e che non si può essere più o meno assassino secondo il genere di appartenenza.
Un’altra donna morta ammazzata perché era malata. Un altro uomo che ha ammazzato una donna che viene giustificato mentre decide di essere Dio.
ho ricevuto un’illuminazione sulla fortuna che mi era toccata a non invecchiare col mio ex marito, quando quest’ultimo, per giustificare un comune amico che non trovò tempo e modo di recarsi alla commemorazione della moglie, voluta da figli e amic*, mi disse risentito con occhi un po’ folli : “ehi, ma G. se l’è tenuta in casa fino alla fine!!!”
Lei, P., era morta in 5 minuti per un aneurisma, lucida e intelligente come era sempre stata, ancora giovane e molto bella. Quattro anni prima aveva avuto un ictus, dal quale si era riabilitata con pazienza e tenacia e con la vicinanza di molte persone amiche. La casa, dove G. “se l’era tenuta” era anche la sua.
Certi femminicidi andrebbero evitati solo insegnando che il lavoro di “cura” non è roba solo da donna…Non ho sentito nessuna donna ammazzare per questi motivi a noi ci tocca curare anziani, malati e bambini senza lamentarci o essere giustificate quando andiamo in esaurimento e magari non arriviamo ad ammazzare ma siamo solo stanche, fifguriamoci se una moglie arriva ad ammazzare il marito come ha fattoquesto, subito tutti si sarebbero indignati e avrebbero fatto migliaia di puntate alla vita in ditetta su come sono poco avezze alla cura le donne di oggi.
Purtroppo in Italia le donne vengono considerate buone solo per il letto e per fare le faccende domestiche, quando queste non lo possono più fare perchè finiscono in sedia a rotelle o invecchiano sono considerate inutili e casi come questo non sono infatti rari, perchè è una cosa culturale: noi donne siamo considerate solo oggetti utili al marito ma poi ci trattano come i giocattoli, quando ci rompiamo ci buttano via.