Questo è un report che precede il report serio, quello con le osservazioni critiche, politiche, sulle cose dette e fatte a Italian Sessions.
Torino, ultimamente parrebbe la nostra meta prediletta e se penso al feminist blog camp senza dubbio lo è perché il #femblogcamp ci ha riempito il cuore, la testa, in modi infiniti dai quali trarremo energia per un sacco di tempo.
Treno, tragitto, stazione. Il gruppo di Femminismo a Sud torinese mi dice che fa un freddo cane, bisogna vestirsi a strati. Lo faccio anche se in realtà arrivo che c’è un gran sole e mi pare troppa grazia per le mie ossa che hanno una scarsa resistenza all’umido.
Il clima nordico rende i miei capelli ancora più elettrici e mi rassegno a sembrare una specie di leonessa matassata. D’altronde sono una cyberfemminista, una strega tecnologica.
Abbracci e baci e poi ci si prepara per andare. Siamo in streaming video, contesto da spettacolo/televisivo, bisogna darsi una sistemata. Faccio una cosa che non facevo dal 2004: metto il fondotinta. Non so se serve ma il mio l’ho fatto e ho la coscienza a posto.
Arriviamo in questo posto che è enorme, molto bello, vecchi cantieri riutilizzati per mostre, installazioni, iniziative. Il sole non c’è più e fa effettivamente un freddo freddo, di quei freddi che più a sud senti raramente.
Entriamo e vediamo intere scolaresche che attraversano quello spazio e si affollano all’ingresso dell’iniziativa. Poi li vedremo seduti in prima fila a sentire la Littizzetto. Ci danno un pass con nome e cognome e ci indicano la zona blogger, con dei cubi bianchi e delle prese elettriche alle quali attaccare l’alimentatore.
Il gruppo blogger è numeroso, ci sembra, accanto a noi vediamo portatili che hanno sicuramente una vita più recente dei nostri. Ci sembra di riconoscere qualche faccia ma in realtà no, non conosciamo quasi nessuno. Qualcun@ mi chiama FikaSicula e io chiedo nomi e colleziono figure di merda perché c’è chi mi dice proprio nome e cognome e me lo dice come fosse strano, ma proprio strano, che io non ne abbia mai sentito parlare o non ne abbia registrato i dati identificativi.
Tiriamo fuori l’attrezzatura: un portatile con una batteria avariata e un altro pieno di adesivi militanti. Siamo blogger/attiviste proletarie, precarissime, precarie per davvero, e si vede.
Guardiamo tutto con curiosità e mi chiedo se sia così strano che troviamo indifferente la presenza scenica della Littizzetto e invece attendiamo l’ingresso di Nicla Vassallo che consideriamo la nostra personale rockstar.
Diamo degli aggiornamenti via twitter, nel frattempo chattiamo con un pezzo del nostro collettivo e loro stanno guardando e riescono a vedere tutto con continuità mentre noi afferriamo solo pezzi per la posizione in cui siamo, per il fatto di avere certo una mente multitasking, non in quanto donne ma in quanto cyberattivist*, ma non abbastanza da riuscire a scrivere, leggere, interloquire in rete e ascoltare allo stesso tempo.
Registriamo le osservazioni che arrivano dall’esterno e prendiamo appunti sulle domande da fare. Forse ci sarà il tempo per farne almeno qualcuna. Ne scegliamo quattro, circa, ce ne concedono due, ridotte a una, rivolta ai filosofi Armando Massarenti e Nicla Vassallo, mentre avvertiamo una specie di tensione, per i tempi tecnici, forse per “oddio, cosa dirà” e sarà stato il fondotinta o forse la domanda strideva troppo con i contenuti fin lì esposti, ma ad un certo punto la blogger che già aveva fatto un suo intervento ha reputato opportuno interromperci su un tasto che pare intoccabile, la maternità e il ruolo di cura (la domanda era: “Perché questa mitizzazione della maternità? Le donne che non vogliono figli non sono donne?“).
Nicla Vassallo sbircia le altre domande che avevamo preparato, le reputa interessanti e mi sollecita a farle. Nel frattempo il presentatore mi dice che non ci sono i tempi per la seconda domanda concessa, giacchè la gente risente del freddo (verissimo!!!), e travolta dalla presenza di Nicla Vassallo annuisco senza dare importanza alla cosa, riferisco a lei perché non si può e continuo a chiacchierare con quella bella filosofa che non mi pare vero di poterci scambiare due chiacchiere e di poterla perfino toccare.
Infine, la trasmissione chiude e il freddo vince su tutto. Freddo anche rispetto al contesto. Un mondo con il quale non ci siamo rifiutate di parlare perché non abbiamo mai idee preconcette sulle cose e di parlare di donne, adoperando la rete, veicolando parole che ci somigliano, introducendo elementi critici dove è possibile farlo, abbiamo sempre voglia. Ma non era casa nostra, ecco. Il freddo era soprattutto nel cuore, per assenza di relazioni umane, e avrei voluto compensarlo almeno potendo salutare la persona gentilissima che ci aveva dato una opportunità invitandoci e con la quale non siamo poi riuscite ad incontrarci.
Molto diverso dal feministblogcamp che ci ha riscaldato corpo, anima, testa, che ci ha lasciato una sensazione di pienezza, di ricchezza di contenuti e di relazioni umane, di interazione non di superficie in cui non c’era un canovaccio/zapping stabilito forse per timore di dibattere a partire dalle reciproche differenze, perché ascoltarci è una cosa reciproca e senza l’ascolto è difficile poter produrre significati che ci comprendano tutte.
Quello che abbiamo visto aveva la connotazione della comunicazione dei media mainstream, una comunicazione rispetto a noi egemonica che sceglie quali contenuti portare avanti, e lo fa a buon diritto perché ciascuno presenta la propria piattaforma con la propria idea di presente e di futuro, mentre si viaggia su contesti paralleli che sembrano incontrarsi solo per errore. E quello che mi viene in mente adesso è che per il prossimo feministblogcamp mi piacerebbe che ci fosse una delle persone, o delle blogger, portatrici dei contenuti tracciati su Italian Sessions e mi piacerebbe avesse il tempo di dire quello che avrà voglia di dire.
Certo poi dovrebbe essere disponibile, nel principio delll’autogestione e dell’autorganizzazione che ci siamo date, anche a farsi un turno di cucina o a lavare il proprio piatto, ma su questo sono convinta che troveremo un accordo. 🙂
Per ora è tutto. Il prossimo report sarà più articolato e conterrà le osservazioni politiche alle cose dette e le domande che avremmo voluto fare e quelle, tante, che viaggiavano sulla rete e che hanno caratterizzato in parte ciò che veniva trasmesso attraverso l’hashtag #ItalianSessions.