C’è pubblicità e pubblicità. La nuova compagnia di treni ad alta velocità, quelli che passano per i percorsi che devono essere portati a termine a prescindere dalla volontà della gente che viene manganellata in Val Susa, la compagnia firmata Della Valle e Montezemolo, si fa pubblicizzare da Repubblica che per l’occasione ha la sua bella donna oggetto da mostrare al popolo.
Non so se questa cosa fa arrabbiare anche voi ma io mi sento offesa da questo articolo che usa la faccia esteticamente compatibile al marchio, con tanto di storia etica da svendere ai posteri, e con il marchio dell’azienda che dà lavoro alle precarie che vengono descritte come troppo “dinamiche” per starsene ad aspettare che ricerca e dottorato diventino lavori stabili.
E lei che afferma che dopo essere stata come una adolescente ora ha deciso di diventare una persona adulta. Invece tutte le persone che si fanno il culo nel lavoro mal pagato della ricerca o in quello spazio di sfruttamento di soggetti altamente qualificati che è il dottorato non sono mica adulti, no.
Sono neonati, deficienti, e gli viene dato di rimando anche lo stigma di persone “poco dinamiche” perchè dinamicità equivale a rivolgersi alla cordata dellavalle/montezemolo e pubblicizzare la loro azienda.
Di diritti dei precari non se ne parla. Tutto viene ridotto ad un problema di scelta. Come no. Scegli di studiare per anni e anni e poi vai a lavorare in miniera, perchè se sei “adult@” devi fare così, perchè se sei un tipo dinamico dovrai fare così. E del titolo di studio, della fatica, dei sacrifici, dell’investimento economico che hai fatto chissenefrega. Basta offrire la propria faccia per dare l’idea che questa nuova azienda di trasporti è giovane e dinamica e il gioco è fatto.
Sicchè la colpa è sempre nostra, dei precari e delle precarie, di quelle che non mettono da parte titoli e intelligenza per diventare serve di chi contribuisce alla devastazione di paesaggi e alla rovina dell’ecosistema. Di chi si arricchisce, spero meglio di come fa trenitalia, trasportando prevalentemente pendolari che devono spostarsi di chilometri e chilometri perchè hanno un lavoro in un posto e la casa, l’unica che possono permettersi, in un altro.
Aziende di trasporti che si arricchiscono grazie alla precarietà e forse perfino all’esproprio di luoghi che impoveriti per farci passare due binari del cavolo costringono chi abita lì ad emigrare. Cambiano la geografia di questa nazione e la modellano come gli pare. Fanno affari e poi usano la faccia di una precaria per vendere una immagine buona e meravigliosa.
Insomma si, andate sul sito della Ntv e mandate i curriculum, pare ci sia lavoro e se siete dinamiche e volete buttare la vostra intelligenza e i vostri studi nel cesso per diventare delle splendide e sorridenti hostess di bordo potete affollare le preselezioni che sembrano casting per qualche show televisivo.
Altrimenti, sentite me, scegliete di vivere, scegliete di emigrare e di mettere a frutto titoli e intelligenza dove potrà essere apprezzata.
Emigrare? io non sono d’accordo neppure con te… restiamo qui e riprendiamoci con tutti i mezzi quello che ci spetta… vedi i valsusini mica sono emigrati..
Post doveroso. Anch’io ho notato la bassezza dell’intento pedagogico cum marketta. Chissà cosa ne penserà Conchita, sarà fiera di una brava ragazza così, no? Tutta casa, famiglia e una moderatissima ambizione…
Riagganciandomi al post di Adele, infatti l’Italia non ha bisogno di laureati, perché al potere già sanno chi dovrà svolgere un lavoro da laureato e chi no. Vale a dire, chi non è figlio di, o parente di, o amico di non può pensare di trovare un lavoro avendo un titolo da laureato. Deve comunque arrendersi, perché inferiore. Siamo tornati, in pratica, all’aristocrazia. Non importa se nel frattempo hai sganciato centinaia di euro per garantire un posto al caldo a questa aristocrazia.
E non c’è proprio da essere orgogliosi di aver gettato nel cesso un dottorato. Sai quante persone vorrebbero fare della ricerca (seriamente e non per la borsa) ma vengono puntualmente scartate perché non fanno parte del gruppo. Ma che razza di discorsi sono… essere orgogliosi di aver abbandonato un dottorato.
E, per inciso, ho letto che molti ingegneri hanno fatto domanda per quel posto, quindi la pubblicità mi sa tanto di qualcosa di falso.
Esattamente come quando taluni politici lamentano che i giovani d’oggi non accettano di fare lavori manuali, come se fosse un capriccio infantile chiedere di fare un lavoro per il quale si ha studiato tanto. Oltretutto, perchè non ci vanno loro?
La precarietà viene continuamente ridotta ad una sorta di incapacità di adattamento dei giovani. Siamo governati solo da vecchi, ma la colpa non è mai loro.
mi sembra una pubblicità tradizionale, l’immagine della donna che veicola è sempre la stessa, le donne preferiscono un posto sicuro che permetta loro di riprodursi tranquillamente.
C’è anche la condanna delle carrieriste, di tutte le donne che credono nelle proprie capacità e perseverano nei loro obiettivi . Ma non la smettono mai? In questi tempi tristi per l’occupazione non è un messaggio rassicurante.
Personalmente ho anche pulito i cessi del bar sottocasa ma non ho mai mollato il sogno di una professione che mi realizzasse, (oggi è + dura e ci vuole + tempo ) ma le giovani donne che conosco vanno avanti con un coraggio che merita tutto il rispetto
La cosa può essere vista da due punti di vista differenti.
Il primo: perchè una ragazza così in gamba e con tutti quei titoli non riesce a trovare un lavoro più affine ai suoi studi o dei giuti riconoscimenti per il suo lavoro?
Il secondo: perchè un’azienda di trasporti assume come capotreno una dottoranda in linguistica invece di una persona più qualificata per il lavoro, come potrebbe essere un ingegnere, o anche una laureata in lingue, data la presenza di passeggeri stranieri? Anche queste categorie vivono nella precarietà. (Andrebbero bene anche diplomati, per intenderci).
E’ evidente che le competenze e il merito non vengano presi in considerazione molto spesso in Italia.
in effetti leggere questo articolo, tenendo conto del fatto che è stato pubblicato su Repubblica ovvero sulla peggior fonte di (dis)informazione del web, mi lascia perplessa e molto molto scettica. io conosco il mondo universitario e della ricerca, da cui sono scappata proprio perchè stanca di quella mentalità che ti considera sempre troppo giovane per essere un lavoratore a tutti gli effetti, l’eterno studente, quello a cui stanno facendo un favore sempre e comunque, quello che deve pagarsi da solo le conferenze, fare le nottate in laboratorio senza alcun riconoscimento, aspettare in silenzio che arrivi il proprio turno e abbozzare e ingoiare rospi quando qualcosa non va. Ma io (come del resto tanti altri) che mi sentivo appunto “troppo dinamica” per quel mondo (e soprattutto non avevo nessuna voglia di rimanere precaria e sfruttata) sono scappata DOPO aver preso il titolo che volevo, ed ho trovato un lavoro all’altezza di quel titolo altrove. e se avessi voluto rimanere nella ricerca accademica certo sarei andata all’estero. insomma ognuno può fare le proprie scelte e ci mancherebbe, le critiche che si fanno all’ambiente universitario sono corrette ma non presenterei come un’eroina una che lascia a metà un dottorato, a 26 anni, per andare a fare il capotreno. ha fatto una scelta come un’altra, e ha fatto bene a farla, tutto qua. ma il punto ovviamente non è la ragazza in questione, che sta solo vivendo la sua vita come meglio crede. il punto è il modo in cui si parla di lei, della compagnia che l’ha assunta, e quel tono come a sottolineare che chi invece fa il dottorato sia solo un povero sfigato che dopo il danno subisce la beffa di “ritrovarsi al bar sotto casa a chiedere lavoro”. Non è vero che finisce così, finisce così se tu lo vuoi, se non hai voglia di spostarti al di là della tua città e del tuo quartiere, se non hai voglia di uscire da quella università in cui vorresti mettere radici. se sei pronto a metterti in discussione, a cambiare città e paese, e se credi in te stesso non è vero che il tuo destino è chiedere lavoro al bar sotto casa – che poi, non ci vedo cosa ci sia di male anzi se vogliamo dirla tutta, fra lavorare al bar sotto casa e fare il capotreno forse personalmente preferisco la prima. in più trovo fastidiosa la frase: “Quando sono entrata all’università avevo in mente solo la carriera, ero più arrivista; adesso desidero una famiglia e un po’ di stabilità”… a 26 anni dici così? e sarebbe questa la ragazza “dinamica” – la cui unica aspirazione sarebbe metter su famiglia e avere la stabilità? eh si siccome sei donna non puoi che desiderare questo! io di donne che hanno fatto il dottorato e hanno scelto la ricerca ne conosco tante. alcune sono all’estero (e hanno fatto carriere strepitose), altre sono in Italia, lottano con il precariato ma è stata una loro scelta. altre ancora (me compresa) ci hanno provato e hanno trovato un’altra via di uscita professionalmente gratificante. tutte abbiamo famiglia, un marito/compagno e dei figli. tutte combattiamo ogni giorno per conciliare lavoro e famiglia, non è facile ma lo facciamo. questo miraggio del “posto fisso” e del lavoro sottoqualificato (se non addirittura la rinuncia del lavoro) per poter fare la mamma e la moglie dovrebbe essere ormai superato, eppure in Italia non è ancora così.