Il 27 giugno Donne in Quota ci ha invitate, assieme a molte altre donne, a partecipare ad una giornata di discussione su come le donne vorrebbero essere rappresentate nel servizio pubblico, la Rai.
Una di noi ha partecipato alla giornata e questo è quello che ci ha raccontato:
Una stanza nella sede Rai di Milano, tante donne che hanno portato esperienza, riflessioni, la testimonianza del lavoro svolto e ancora da svolgere. Tante amiche con le quali abbiamo già realizzato una rete solidale, di sorellanza reale, sul web, e altre con le quali abbiamo già fatto molte cose assieme.
C’è chi dentro e fuori la Rai chiede un servizio pubblico migliore, che restituisca alle donne una rappresentazione che non sia insultante, offensiva. Donne in Quota ha fatto delle cose concrete, presentato proposte, documenti, ha illustrato una lettera [leggi e aderisci] che abbiamo sottoscritto e che sostanzialmente dice:
“Noi condividiamo il presupposto che alla qualità dell’offerta RAI siano indissolubilmente legati due fattori strategici: il primo consistente in una corretta rappresentazione della donna, in termini passivi, di immagine e contenuti, e in termini attivi di conduzione e creazione; il secondo volto al necessario allineamento dell’emittente di servizio nazionale ai migliori standard europei, in termini di qualità.
Riteniamo altresì che la preponderanza di stereotipi che affollano non solo l’advertising ma anche i programmi radiotelevisivi, costituisca fattore di grave impedimento alla qualità, sia in termini culturali che di intrattenimento e informazione.
Consideriamo indispensabile, per ottenere processi efficaci di vigilanza sul palinsesto e sulla produzione, che la composizione del CdA sia paritaria, donne e uomini, e che occorra l’individuazione di una componente del CdA delegata a valutare i prodotti secondo una visione rispettosa e paritaria per quanto riguarda il gender, capace di rimuovere gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione di opere di qualita’, e promuovere azioni di garanzia qualitativa per la tutela dell’immagine femminile.
Convinte che sia necessaria una effettiva apertura della struttura RAI alle istanze propositive per avviare processi efficaci per una nuova produzione di qualità, che soddisfi l’utenza femminile, proponiamo un laboratorio di sperimentazione, ricerca e realizzazione di nuovi format, spaziando a tutto tondo, in ogni ambito d’attualita’ e di cultura, usufruendo di spazi certi nei vari palinsesti di Reti e testate.”
Così abbiamo ascoltato splendidi interventi che raccontavano di offese inflitte alle donne durante mille trasmissioni televisive, di una rappresentazione al femminile con ruoli perennemente stereotipati, di una limitazione del genio femminile e di una rappresentazione non vera di donne delle quali viene ignorata per la maggior parte l’intelligenza e la professionalità giacchè vengono usate soprattutto come elemento decorativo. Tante cose interessanti sono state dette e tutte più o meno abbiamo concordato sul fatto che l’uso dei corpi delle donne, per ragioni di marketing, sia un fatto oramai superato, vecchio nello stile, nella sostanza e negli obiettivi, che si rivolge ad un pubblico che viene sollecitato a rimanere ad un livello bassissimo di crescita culturale.
Lì abbiamo potuto ascoltare ciò che nel Rapporto Ombra sullo stato di attuazione della Cedaw in Italia è stato dedicato agli stereotipi e allo sfruttamento di una certa immagine femminile. Abbiamo ascoltato Lorella Zanardo che ci ha raccontato dello splendido lavoro che sta facendo nelle scuole, assieme a ragazzi e ragazze che sono tanto diversi dagli adulti e il cui immaginario viene generalmente offeso, rinviato ad aderire a quello di adulti con poca fantasia. Abbiamo ascoltato Giorgia Vezzoli, di Vita da Streghe, che ha parlato del magnifico lavoro svolto da una rete di donne (un altro genere di comunicazione, donne pensanti, femminismo a sud, le donne dell’Udi, altre) che a partire dal web hanno fatto partire campagne contro gli stereotipi, mail bombing che in un modo o nell’altro hanno cambiato la maniera in cui le agenzie pubblicitarie vedono la rappresentazione del femminile (“i creativi hanno ripreso finalmente a lavorare” – diceva Lorella Zanardo), che inventano nuovi modi per comunicare e propongono alternative e chiedono risposte, vogliono conoscere esattamente quale che sia il riferimento al quale rivolgersi per opporre dissenso. Lo vogliono sia che si tratti di pubblicità, di programmi televisivi, di Rai.
Hanno smesso di essere utenti passivi (non lo sono mai state) che digeriscono ore ed ore di pubblicità e programmi televisivi, hanno compreso e fatto comprendere che l’utente ha un potere che è economico perchè senza l’utente non c’è vendita del prodotto e non c’è neppure visione di programmi televisivi e dunque hanno scandito commenti e critiche mettendo generosamente al servizio di tante altre strumenti di comprensione di quello che vedevano. Lo hanno analizzato riflettendo ad alta voce, assumendone pubblicamente sempre più consapevolezza, e lo hanno fatto loro e tante altre che sono diventate massa critica che nel web, attraverso blog, siti e pagine facebook, fanno crescere la consapevolezza di donne che altrimenti rimarrebbero convinte di essere le sole a non gradire certi spot o certi programmi.
Tanti gli interventi e le donne presenti ma mi scuseranno se per ovvie ragioni dedico spazio in questo report a quelle che considero sorelle perchè portatrici di una modalità a me affine e protagoniste di un nuovo media.
Da donna attiva in un media che si rivolge alle donne di un altro media (web e rai) è declinato questo intervento. Ve lo riassumo così:
I media educano le persone. Il mio approccio ai media deriva da una lunga esperienza di frequentazione del web. Non sono certa di poter contribuire al miglioramento di altri media ma sicuramente so che tante donne come me non hanno atteso i cambiamenti, dall’interno o dall’esterno, relativi a tv e carta stampata. Hanno invece usato le nuove tecnologie per farsi media e per mettere in circolazione strumenti, risorse e intelligenza che altrimenti nessuno avrebbe mai avuto la possibilità di conoscere.
La rete è oramai il luogo in cui le donne invocano, realizzano rivoluzioni. Accade in altri paesi del mondo e accade anche qui. Noi non abbiamo molto in comune con la Rai. Noi volevamo un media e l’abbiamo preso. Ce l’abbiamo. E’ nostro. E’ il media in cui le donne parlano e si esprimono liberamente, non senza difficoltà ma comunque con pari possibilità di espressione e di rappresentazione del proprio vissuto, immaginario, della propria proposta politica, delle proprie rivendicazioni.
Il web italiano, come per altri paesi in cui le donne sono relegate a ruoli di secondo piano, è diventato lo strumento essenziale attraverso il quale le intelligenze femminili si sono liberate. Sono autonome, indipendenti, non chiedono a nessuno il permesso di esserci, saltano tutte le gerarchie, attivano siti, blog, pagine nei social network e si prendono il diritto di parola che a loro è sempre stato negato.
Il web è anche lo strumento attraverso il quale viene a volte aspramente criticata gran parte della programmazione televisiva e dato che siamo qui a parlare di Rai è della Rai che parlerò.
Televisione come strumento educativo, abbiamo detto, in un paese poco progredito in cui si stenta a riconoscere che internet sia un diritto, un bene comune, per il quale dovrebbe essere garantita banda e gratuità. Televisione come monopolio di diffusione di culture provinciali, bigotte, corrispondenti in gran parte alla classe politica che guida l’Italia. Dunque una televisione che offende quotidianamente le donne e dato che altre prima e meglio di me hanno già parlato di sfruttamento del corpo delle donne io mi soffermerò sulla modalità attraverso la quale la Rai affronta il problema della violenza maschile.
La Rai è il luogo in cui per ore e ore ci si dedica al caso di cronaca che fa più audience sul momento. C’è chi lo fa con un plastico, chi recita processi mediatici che autorizzano spesso e senza contraddittorio gli interventi di avvocati che rappresentano gli accusati per casi di femminicidio, chi insiste in versioni che stabiliscono una verità mediatica che rischia di sostituire perfino la stessa verità processuale.
Il corpo delle donne diventa qualcosa sul quale speculare anche quando quelle donne sono morte, perchè più succulento è il caso da trattare e più sarà alto l’ascolto, gli introiti pubblicitari. Tutti aspetti che fanno pensare che i casi di violenza sulle donne vengano trattati come pagine scandalistiche, di gossip di secondo ordine, con inquadrature che insistono morbosamente sulle caratteristiche fisiche delle ragazzine stuprate e uccise, piuttosto che delle donne ammazzate.
Penso a tanti casi che hanno occupato ore ed ore della programmazione Rai che non si è distinta in alcun modo da altra tv spazzatura e che ha dimenticato un aspetto importantissimo che vale la pena ricordare: le donne, incluso quelle che subiscono violenza dagli uomini, pagano il canone eppure non sono mai rappresentate o mai correttamente.
Ciò che viene rappresentato è sempre l’uomo, sia esso parte di una categoria da difendere a priori, sia esso l’accusato di un crimine che finisce comunque per essere protagonista della vicenda, l’unico con diritto di parola, l’unico che può autorappresentarsi. Le donne finiscono per sparire. Non esistono più, vengono uccise per la seconda volta.
Non viene chiamata nessuna donna sopravvissuta che ha subito violenza, non si vede quasi mai nessuna che lavora nei centri antiviolenza, nessuna tra le tante volontarie che in Italia compiono un lavoro indispensabile senza il quale le donne uccise sarebbero molte di più. Si vedono soltanto professionisti che diventano frequentatori abituali dei salotti televisivi e affrontano l’argomento, dal proprio rispettabile punto di vista, ma senza dati alla mano, o portando in pubblico soltanto le proprie opinioni personali che spesso somigliano alle opinioni della gente comune, piena di pregiudizi e senza alcuna cognizione di causa nel merito del problema.
Non c’è dunque alcuno spazio per l’autorappresentazione femminile. Le donne che vengono chiamate ad esprimere una opinione sembrano spesso allineate al parere che la redazione insiste nel divulgare, donne che spesso non esprimono alcuna solidarietà nei confronti di altre donne e che supportano invece versioni di una misoginia sconcertante.
La violenza sulle donne viene rappresentata con un carico enorme di banalizzazione, con affermazioni che talvolta giustificano la violenza stessa e penso a quei casi in cui qualche presentatore ha affermato che certe volte schiaffeggiare una donna può essere la conclusione ovvia di qualche discussione. Penso a quei tanti casi in cui la conduzione di certi talkshow pomeridiani tenta attraverso alcune precise domande di stabilire una linea di indulgenza nei confronti dell’accusato per il quale si trovano le più assurde giustificazioni, non ultima quella che vede sempre una donna, la stessa vittima o un’altra, colpevole di aver in qualche modo provocato il delitto.
Se mai succede che una donna che subisce violenza viene invitata ad autorappresentarsi deve corrispondere ad una estetica del disagio che la rende compatibile al contesto e alla cultura che si intende costruire. Non è mai arrabbiata, attiva, soggetto che reagisce, ma presentata spesso nella dimensione di vittima piagnona, magari con una inquadratura di spalle, che sceglie l’invisibilità per autoinfliggersi altra violenza, che si rivolge alla televisione come se la televisione fosse la Madonna: per chiedere un miracolo, un aiuto, un intervento divino, invece che chiedere attraverso il servizio pubblico, in modo schietto e diretto, che le istituzioni facciano qualcosa, che siano attivati più centri antiviolenza nei territori, che si faccia educazione contro la violenza nelle scuole, che la stessa televisione utilizzi il suo tempo per “educare” alla non violenza in famiglia invece che lasciar passare il messaggio che la violenza sia un fatto estemporaneo, casuale. Corretta informazione e la realizzazione dei doveri di un servizio pubblico finanziato da noi utenti. Questo ci aspettiamo dalla Rai.
Ci aspettiamo poi che non partecipi all’opera di demonizzazione del femminile, che va di pari passo a quella di banalizzazione della violenza maschile. Bisognerebbe smetterla di veicolare una rappresentazione stereotipata delle donne, tutte cattive, invidiose, oche, prive di spessore. Bisognerebbe non collaborare quella linea assai preoccupante e persecutoria che è stata messa in atto mentre si fornivano agli spettatori e alle spettatrici, tutti in attesa con i forconi, ragioni per partecipare al linciaggio di donne accusate di alcuni crimini.
Vorremmo dunque che le donne potessero autorappresentarsi, che le vittime di violenza non debbano essere vilipese e insultate, che non si avvertisse quale elemento fondante della programmazione televisiva una costante egemonia culturale al maschile.
Vorremmo che la Rai non fosse il luogo attraverso il quale le madri subiscono uno dei processi più devastanti degli ultimi decenni, quello che viene stimolato ad opera dei padri, ex mariti, che di queste madri dicono tutto e il contrario di tutto senza che le madri siano mai chiamate a fare da contraddittorio.
Vorremmo che si desse più spazio alle donne reali, le precarie, le studentesse, quelle che non hanno futuro, quelle tante alle quali non è sufficiente sentirsi dire che sarebbe meglio cambiare obiettivo e sostituire l’istruzione e la pretesa di un futuro rispondente alle proprie capacità e conoscenze con un buon partito da sposare.
Non siamo più negli anni ’50, non esiste più il “delitto d’onore”, il “pater familias”, lo “ius corrigendi”, la “moglie ripudiata” per non aver subito le violenze del marito, e la televisione, incluso la rai, sembra non essersene accorta. La Rai non rappresenta le donne del paese, in effetti nessun media o quasi ci rappresenta in questo momento, sarà per questo che le donne scelgono di autorappresentarsi nel web perchè non sia almeno negata la loro esistenza.
Una cosa che sicuramente ci piacerebbe fare è quella di non pagare il canone per una Rai generica che non ci corrisponde. Vorremmo pagare il canone solo sulla base dei programmi.
Siamo noi, utenti paganti, ad avere il diritto di scegliere il palinsesto televisivo. Noi scuciamo i soldi e noi siamo co-produttori di quello che va in onda in televisione. Noi, però non abbiamo voce in capitolo mai. Perchè?
Oppure: presentateci i vostri palinsesti in anticipo, prima che paghiamo il canone e noi metteremo una x sul programma che intendiamo finanziare. Quei programmi ai quali non destiniamo i soldi del canone evidentemente non andranno in onda o riceveranno un finanziamento minore.
E questo vale come discorso di base anche se quei programmi sono finanziati dagli sponsor perchè la Rai deve decidere cosa essere e cosa vuole diventare. Se vuole i miei soldi allora deve rinunciare a farsi privatizzare e a mirare a finanziamenti esterni. Altrimenti il mio canone non ha senso e dunque non vedo perchè io non debba poter scegliere di dedicare quella stessa somma investendola in un progetto di informazione dal basso che coinvolga tutte le donne e che finalmente parli di noi.
Noi non subiamo passivamente la televisione, la comunicazione. Noi facciamo comunicazione, la decostruiamo, la analizziamo, la sovvertiamo, condividiamo immagini di donne non levigate con software che correggono i corpi, condividiamo satira, parodie, veicoliamo contenuti che realizzano nuovi immaginari. Lo facciamo gratis, procediamo coerentemente con i tempi, ascoltiamo le donne che scrivono, sollecitano, testimoniano, partecipano, perchè evidentemente non trovano altri referenti altrettanto disponibili.
Ci serviva un media e l’abbiamo preso. Abbiamo realizzato delle community che sono in grado di introdurre nuovi elementi critici in qualunque dibattito. Noi costruiamo partecipazione dal basso, realizziamo sorellanze, nel rispetto di tutte le differenze, facciamo monitoraggio, segnaliamo quello che ci offende e tutto quello che invece rappresenta una lettura alternativa che corrisponde di più. Ci hanno chiamate moraliste, bacchettone, ci hanno sempre risposto che certe affermazioni offensive erano frutto di “intelligente ironia” dove non c’era nulla di ironico e tantomeno di intelligente.
La televisione, e dunque anche la Rai, rappresenta il nostro opposto. Noi rassicuriamo le donne affinchè possano fidarsi delle proprie percezioni e la televisione invece educa affinchè le donne non abbiano fiducia in se stesse. Con un’opera di banalizzazione costante le educano ad essere incapaci di riconoscere la discriminazione, gli abusi, la violenza. Così abbiamo oggi tante ragazze che immaginano che fare la velina sia davvero un esempio di grande emancipazione.
Non so in effetti come vorremmo la Rai, posso dire in sintesi che vorremmo ci somigliasse di più. Invece è totalmente altro da noi, dunque qualunque azione miri a migliorare la rappresentazione delle donne su questo media è sicuramente auspicabile e approvata.
Grazie!
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