Prendiamo in prestito da Galileo questo articolo di Chiara Lalli che ci sembra fondamentale da condividere per contrapporre dei giusti argomenti alla disinformazione (voluta) che viene divulgata per lasciar credere che la pillola del giorno dopo (il contraccettivo d’emergenza) sia l’equivalente della pilloa abortiva (la RU486). Il perchè di tanta disinformazione coincide con il fatto che dagli ambienti catto-conservatori si tenta di imporre l’obiezione di coscienza anche per i contraccettivi. Il punto è che le donne, secondo costoro, dovrebbero fare sesso solo per riprodursi. Il fatto che le donne abbiano e rivedichino il controllo sul proprio corpo e sulla propria sessualità proprio non va giù. Buona lettura!
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La verità, vi prego, sulla contraccezione d’emergenza
Il 6 giugno 2011 la Società Italiana della Contraccezione (SIC) e la Società Medica Italiana per la Contraccezione (SMIC) hanno redatto un documento comune, dal titolo “Position paper sulla contraccezione d’emergenza per via orale”.
Il documento illustra in primo luogo la definizione di contraccezione d’emergenza dell’Organizzazione Mondiale della Sanità: “La contraccezione d’emergenza si definisce come “metodica contraccettiva”, poiché può solo prevenire e non interrompere una gravidanza”. Va assunta in caso di un rapporto sessuale non protetto o nel caso in cui sia stato usato scorrettamente un altro mezzo contraccettivo. L’effetto sarà inversamente proporzionale al tempo trascorso tra il rapporto a rischio e l’assunzione del farmaco.
Dopo le descrizioni tecniche sulle confezioni disponibili in Italia e autorizzate dall’Aifa, il documento si sofferma sulla questione più importante: come funziona la contraccezione d’emergenza. Nel paragrafo intitolato “Meccanismo d’azione della contraccezione d’emergenza” si afferma: “È ampiamente dimostrato che il LNG [levonorgestrel], quando somministrato in fase preovulatoria, interferisce con il processo ovulatorio, per inibizione o disfunzione dello stesso, e previene quindi la fertilizzazione. In particolare, se somministrato prima del picco preovulatorio di LH, È in grado di impedire l’ovulazione nella maggior parte dei casi. Inoltre, è stato evidenziato che nelle donne che assumono il LNG quando i parametri clinici, ecografici ed ormonali sono diagnostici di ovulazione già avvenuta, il LNG non ha alcun effetto. È evidente quindi che il LNG non interferisce con l’impianto dell’embrione, una volta avvenuta la fertilizzazione; ciò, non causa aborto, né è in grado di danneggiare una gravidanza in atto” (il corsivo è mio).
Non esiste una normativa ad hoc e, in modo condivisibile, il documento rimanda a due leggi: quella del 1975 sui consultori familiari (legge 405 del 29 luglio 1975; prima di allora i contraccettivi erano illegali) e quella del 1978 sulla interruzione volontaria di gravidanza (legge 194 del 22 maggio 1978). Queste leggi garantiscono l’accesso ai mezzi contraccettivi. Non solo: il Comunicato del Ministero della Sanità n. 254 del 1 novembre 2000 afferma esplicitamente che “l’uso di questa pillola non viola la legge dello Stato…il farmaco oggi a disposizione…si concretizza come un mezzo di prevenzione dell’aborto e sottrae la donna al rischio di trovarsi di fronte a scelte drammatiche”.
E ancora “nel documento di schema d’Intesa Stato–Regioni per una migliore applicazione della Legge 194, del 15 febbraio 2008, in cui si sottolinea la necessità di:
– Garantire congruo orario di apertura del Servizio Consultoriale, anche prevedendo l’accoglienza senza appuntamento, con carattere di precedenza, per alcune richieste come: contraccezione d’emergenza, inserimento di IUD, richiesta di certificazione urgente per interruzione volontaria di gravidanza;
– Prevedere la prescrizione della “contraccezione d’emergenza”, oltre che nei servizi consultoriali, anche nei Pronto Soccorso e nei servizi di continuità assistenziale (guardia medica).
Ben definito è quindi il diritto della donna alla prescrizione della contraccezione d’emergenza”.
Non è controversa nemmeno la possibilità di prescrivere e somministrare la contraccezione d’emergenza alle minori, ma è oggetto di discussione l’età minima – che per molti è 13 anni, età segnalata dalla legge 66/1996 sulla violenza sessuale (“non è punibile il minorenne che, al di fuori delle ipotesi previste nell’art. 609-bis, compie atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto gli anni 13, se la differenza di età tra i soggetti non è superiore ai tre anni”).
Il documento nomina anche l’obiezione di coscienza e i due documenti del Comitato Nazionale per la Bioetica al riguardo (la Nota sulla contraccezione d’emergenza del 2004 e il parere del 2011 che commenteremo in seguito). Non è però affatto chiaro il motivo per cui sarebbe lecito sottrarsi alla prescrizione o alla vendita, nel caso dei farmacisti, di un contraccettivo. O meglio, sembra essere difficilmente giustificabile senza violare il diritto di procurarsi un prodotto legale e che non può essere neanche più accusato di provocare un aborto né di avere un effetto sull’ovocita fecondato e non ancora impiantato (sull’impianto si gioca la possibilità di indicare l’inizio della gravidanza: la questione però cade in questo caso, perché il levonorgestrel non ha effetto in entrambi i casi).
Il paper si chiude con alcune indicazioni tecniche e la bibliografia, ricca di riferimenti e particolarmente utile per evitare una pessima abitudine: esprimere un parere senza conoscere la letteratura, in questo caso medica e scientifica, in proposito.
Perché questo paper è importante? Perché molte volte i farmacisti si sono rifiutati di vendere la cosiddetta pillola del giorno dopo e alcuni medici di prescriverla. Come si ricorda nel comunicato stampa sul paper “Le difficoltà per le donne di reperire la ricetta per il contraccettivo d’emergenza sono state confermate anche di recente dal rapporto “Sos Pillola del giorno dopo” dell’Associazione Vita di Donna, dal quale emerge che oltre il 50% delle circa 8.000 persone che si sono rivolte al servizio in 3 anni lo ha fatto dopo essersi visto negare la prescrizione del farmaco. Secondo i dati raccolti, tra i medici che hanno rifiutato la ricetta il 34% lavora al pronto soccorso, il 30% alla guardia medica il 25% nei consultori e l’11% sono medici di famiglia”.
Perché il Comitato Nazionale per la Bioetica si è espresso nell’ultimo parere giocando sulla incertezza dell’effetto contraccettivo – come escludere l’effetto abortivo? Perché, come già sottolineato, il dibattito è caratterizzato spesso dall’ignoranza dell’oggetto di cui si discute e sul quale si dovrebbe decidere l’ammissibilità morale (e poi legale).
Alcuni documenti renderanno più chiaro il panorama in cui questo paper cerca di mettere ordine e la necessità di far conoscere il contenuto. Prima di tutto è utile ricordare quanto stabilito in Pichon and Sapious v. France (Corte europea dei diritti umani, 7 giugno 1999): la Corte ha stabilito che un farmacista che rifiuta di vendere i contraccettivi non può imporre la propria visione del mondo agli altri e che il diritto alla libertà religiosa – diritto individuale sacrosanto e strettamente intrecciato alla coscienza – non garantisce il diritto di comportarsi pubblicamente secondo le proprie credenze. “As long as the sale of contraceptives is legal and occurs on medical prescription nowhere other than in a pharmacy, the applicants cannot give precedence to their religious beliefs and impose them on others as justification for their refusal to sell such products, since they can manifest those beliefs in many ways outside the professional sphere”. Quando decido di fare il farmacista, o il medico o l’avvocato, la mia coscienza individuale non può pretendere di essere quella cui tutti gli altri dovrebbero sottostare o conformarsi. La scelta di una professione implica dei doveri e la considerazione che stiamo agendo su un piano pubblico in cui non possiamo agire egoisticamente e autisticamente. In un caso del genere invocare la libertà di coscienza è disonesto.
L’ultimo parere del Comitato Nazionale per la Bioetica sulla cosiddetta pillola del giorno dopo nasce così: “Lo scorso 25 febbraio, sollecitato da un quesito del deputato Udc Luisa Capitanio Santolini, al Comitato Nazionale per la Bioetica è stato chiesto di esprimersi riguardo alla possibilità per i farmacisti di fare obiezione di coscienza sulla cosiddetta pillola del giorno dopo, ovvero sulla possibilità di non vendere quei farmaci di emergenza «per i quali nel foglio illustrativo non si esclude la possibilità di un meccanismo d’azione che porti all’eliminazione di un embrione umano»”, ma i recenti studi, come abbiamo visto, sì, lo escludono eppure sono ignorati da Santolini e dai sostenitori della obiezione di coscienza.
“Il farmacista – continua il parere del Comitato Nazionale per la Bioetica – in quanto cittadino in una società democratica caratterizzata dal pluralismo etico, ha il diritto di non compiere una azione, indicata come scientificamente capace in determinate circostanze fisiologiche di impedire lo sviluppo di un embrione umano, quando questa confligga con i propri convincimenti morali circa il rispetto e la tutela che sono dovuti all’essere umano sin dall’inizio del suo sviluppo”.
Ma in quanto farmacista? Nessuno lo chiede solo in quanto cittadino, ma in quanto farmacista – ruolo liberamente scelto e che non può non avere regole e doveri, a meno che non si scelga di introdurre nella società civile e nella organizzazione dello Stato la legge dell’arbitrio. Proprio come i ristoranti o gli alberghi – e chi vi lavora – devono rispettare regole e doveri, i medici e i farmacisti devono mettere da parte la pretesa paternalistica di imporre il proprio punto di vista. Naturalmente vi saranno argomenti controversi, ma la contraccezione non sembra poter rientrare tra questi.
Almeno il Comitato Nazionale per la Bioetica vede il rischio: “Se si riconoscesse sul piano legislativo al farmacista il diritto all’obiezione di coscienza – attraverso il rifiuto di spedire prescrizioni mediche della c.d. pillola del giorno dopo – gli si conferirebbe una duplice facoltà: da un lato, di censurare l’operato del medico cui risale la prescrizione, che si presume redatta “in scienza e coscienza”; dall’altro, di interferire nella sfera privata e più intima della donna impedendone di fatto l’autodeterminazione. In entrambi i casi si deve rilevare come si crei una lesione dell’altrui diritto, con eventuali rischi – anche gravi – per la salute psicofisica della donna. Il farmacista, lungi dal rivestire un ruolo secondario e indiretto, finirebbe con l’assumere un ruolo decisionale, supervisionando la valutazione del medico e le scelte della donna senza un’approfondita conoscenza delle complessità delle ragioni e delle condizioni – mediche e esistenziali – che hanno motivato l’uno e l’altra”. Tuttavia non sembra preoccuparsene, lasciando ad altri il compito di pensare ai mezzi per garantire il diritto del richiedente e sorvolando sull’effetto esclusivamente contraccettivo.
Qualche anno fa Ellen Goodman sottolineava un altro aspetto importante (Dispensing Morality, The Washington Post, April 9, 2005), ovvero la pretesa di sottrarsi al proprio dovere senza pagare le conseguenze: “Indeed, in a conflict between your job and your ethics, you can quit. It happens every day. When Thoreau refused to pay taxes as a war protest, remember, he went to jail. What the pharmacists and others are asking for is conscience without consequence. The plea to protect their conscience is a thinly veiled ploy for conquest. […] the drugstore is not an altar. The last time I looked, the pharmacist’s license did not include the right to dispense morality”.
Insomma nel caso della contraccezione d’emergenza, la libertà di coscienza non c’entra nulla con l’esercizio della obiezione di coscienza. Se non consideriamo i doveri professionali derivanti da una libera scelta, trasformiamo l’esercizio della nostra libertà in privilegio e oppressione moralistica.
Ma soprattutto, il paper mette fine alla discussione – protrattasi già troppo a lungo – sul meccanismo d’azione della cosiddetta pillola del giorno dopo.
A questo punto i sostenitori della possibilità di fare obiezione di coscienza sulla contraccezione d’emergenza dovranno inventare qualche altra scusa per giustificare il sottrarsi a un dovere professionale.