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La mascolinità e la mia vita

Giorni fa Crescenzo segnala in mailing list un brano tratto da Gender Across Borders, un blog femminista molto interessante. Il brano si chiama “Masculinity and my life” ed è di Marion Chapsal. Crescenzo l’ha tradotto, ha chiacchierato con le autrici del sito che sono state molto felici di consentirci di condividere questo post e nel frattempo nella mailing list la discussione lanciata proseguiva.

Feminoska scrive che mentre leggeva la bella intervista di Stefano Ciccone – di Maschile Plurale – a proposito del suo ultimo libro “Essere maschi”,  aveva capito cosa non le tornava del
pezzo tradotto da Crescenzo “masculinity and my life”:
Reynolds definisce la femminilità come un “atteggiamento mentale che chiunque, inclusi gli uomini, possono coltivare e curare. L’abilità di tenere in considerazione e includere chiunque desideri contribuire a un scopo comune”.

Alla prima lettura qualcosa non le quadrava. Poi però ha letto l’intervista a Stefano:
Oggi cresce un desiderio maschile di uscire da queste gabbie. Ma questo processo di cambiamento resta troppo spesso individuale, invisibile, oppure schiacciato nello schema della
“femminilizzazione”. Non si tratta di scoprire il proprio lato femminile, ma un diverso modo possibile di essere uomini, una diversa potenzialità del corpo, della sensibilità e dell’esperienza maschile.

Per Feminoska questo è andare oltre, e aggiunge: “l’animus e anima di Jung non hanno un pò stancato?”

Crescenzo si dichiara d’accordo con Feminoska e scrive:

Anche a me quella frase aveva lasciato perplesso – e parecchio – ma poi rileggendo l’ho inserita in una sorta di processo di ricerca sul femminile e il maschile (“Nel tentativo di comprendere le mie sensazioni ho dato un’occhiata alle rappresentazioni della mascolinità e della femminilità e ho realizzato di non essere l’unica a sentirsi in questo modo.”) che idealmente parte da Reynolds e termina con Steinem (ha inserito le citazioni in una sorta di progressione):

“In “/Big Think/”, Gloria Steinem afferma: “/Non esiste in realtà una cosa come il “maschile” e il “femminile”/”. Wow! Secondo Steinem:
“/Le differenze tra due donne sono molto probabilmente maggiori delle differenze generalizzate tra i maschi e le femmine presi come gruppi, sotto tutti i punti di vista eccetto che per l’ambito riproduttivo, proprio come le differenze individuali tra due membri della stessa razza o etnia sono probabilmente maggiori delle differenze tra due razze/”.

Ecco, questo giusto per darvi un assaggio della discussione che comunque continua. Intanto condividiamo la traduzione del testo dal quale la discussione ha tratto spunto. Buona lettura!

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La mascolinità e la mia vita.

[Questo post è stato scritto da Marion Chapsal come parte della serie Behind the Mask of Masculinity ospitata da Gender Across Borders.]

Dopo aver accettato un’intensa missione di formazione con la Capgemini Consulting che comportava trasferte a Parigi e all’estero da Lione, ho cominciato a interrogarmi sulla Mascolinità e la Femminilità.

A causa dei miei lunghi orari di lavoro, dei frequenti viaggi d’affari e nell’insieme del carico lavorativo, mio marito – prevalentemente – ha avuto la responsabilità di fare la spesa, cucinare, rassettare e crescere i bambini. Lui c’era per controllare i loro compiti, portarli alle lezioni, asciugargli le lacrime, abbracciarli per farli sentire meglio e dargli il bacio della buonanotte.

La mia carriera non è stata facile né per lui né per me. Ci sono stati momenti in cui ero lontana da troppo tempo ed è stata dura. Aveva la sensazione che io fossi troppo concentrata sulla mia vita professionale e non dessi troppe attenzioni né a lui né ai bambini. Le monde à l’envers! Il mondo al contrario! Abbiamo litigato. Abbiamo discusso. E alla fine abbiamo trovato un sistema. Facciamo “a turno”, di modo che anche lui possa viaggiare per lavoro, “basandosi” e contando su di me!

Mi sento fortunata? Sì, certo! Ma la maggior parte del tempo mi sento in colpa. Anche mentre scrivo questo una piccola voce dentro la mia testa sta dicendo: “Tu sei la loro madre. Tu e solo tu DEVI fare queste cose. O, al limite, una tata o una ragazza alla pari”. Ho vissuto la parte “al limite” quando avevo 27 anni. Ero oberata dallo studio e il mio futuro marito dal lavoro, assumemmo un ventenne canadese per prendersi cura dei bambini. Scelsi lui perché era molto bravo con i bambini, specialmente con il piccolo di 2 anni. Era tranquillo, positivo e giocherellone.

Ora, vent’anni dopo, a differenza di prima, il mio compagno è di sostegno al 100%. Gli piace cucinare, è appassionato nell’insegnamento ed è legatissimo ai bambini. È paziente e premuroso e sa quando usare lo humour per catturare l’attenzione degli adolescenti. Fa tutto questo mentre lavora full-time come vicedirettore di un’industria di biotecnologie.

Svolgere questi compiti domestici lo rende meno “virile”? No, è esattamente il contrario, per quel che mi riguarda. È molto chiaro su cosa può apportare alla nostra casa, cosa va fatto e di cosa vuole occuparsi. Tutto ciò lo rende tanto più attraente. Si prende cura di ciò che, al di sopra di ogni altra cosa, ci interessa: la nostra famiglia. Questo fa di lui un uomo valoroso, forte, influente e sexy!

Questo è ciò che provo per lui, come mi senta io è un’altra storia. Perché mi sento così colpevole?

Ho come l’impressione che migliaia di anni di patriarcato abbiano profondamente impresso dentro di me la convinzione che il ruolo di una donna sia di nutrire i propri figli e prendersi cura della sua casa, del suo nido, mentre il suo uomo va a caccia nella foresta.

Nel tentativo di comprendere le mie sensazioni ho dato un’occhiata alle rappresentazioni della mascolinità e della femminilità e ho realizzato di non essere l’unica a sentirsi in questo modo. Non sono l’unica ad avere subito la propaganda di questo stereotipo.

In un articolo per l’Huffington Post, Marcia Reynolds discute della femminilità:

Accettare la mia femminilità significa che adori indossare belle scarpe ed avere le unghie ben fatte? Sì, mi piace. Significa che mi piaccia allevare gli altri? A dir la verità, no… Non mi piace. Preferisco sfidare le persone più che allevarle.

Quindi questo rende Reynolds meno femminile? Oppure mio marito e gli altri uomini che allevano i propri figli, femminili?

Reynolds definisce la femminilità come un “atteggiamento mentale che chiunque, inclusi gli uomini, possono coltivare e curare. L’abilità di tenere in considerazione e includere chiunque desideri contribuire a un scopo comune”. Se è così, un uomo è mascolino quando include il suo lato femminile. È un essere umano. È un uomo che esprime la sua completa umanità.

Quindi, cos’è la Mascolinità?

Robin Ely, professore alla Harvard Business School, ha scritto un rimarchevole working paper, “Unmasking Manly Men: The Organizational Recostruction of Male Identity” [“Smascherare gli uomini virili: la ricostruzione organizzativa dell’identità maschile”; N.d.T.]. Lei afferma:

Noi definiamo l’identità maschile come il senso che un uomo dà di sé stesso come uomo, il quale si sviluppa nel corso delle sue interazioni con gli altri. Queste interazioni vengono modellate dalle ideologie culturalmente disponibili riguardo ciò che significa essere un uomo. Quindi, l’identità mascolina degli uomini (come l’identità femminile delle donne) è un fenomeno profondamente sociale e culturale”.

Le sue conclusioni sono ispiratrici, sia per le donne che per gli uomini in situazioni lavorative.

La ricostruzione dell’identità maschile implica una trasformazione del processo di costruzione dell’identità: da uno ancorato ai tentativi di provare qualcosa riguardo se stesso, a uno ancorato alle reali esigenze del loro lavoro. I dubbi riguardo quali tratti siano migliori – maschili o femminili – diventano discutibili quando i processi di costruzione dell’identità non sono più sulla difensiva”.

Quando gli individui crescono forti della fiducia in sé e dell’autostima, allora possono accettare l’inclusione di tratti sia maschili che femminili nel lavorare al fine di conseguire un obiettivo. Non hanno più bisogno di dimostrare di essere conformi al proprio genere. Questa ricerca ha implicazioni riguardo i rispettivi meriti delle caratteristiche  “maschili” contro quelle “femminili”. Ely scrive:

Gli studiosi di leadership hanno cominciato a mettere in dubbio i modelli eroici di leadership, preferendo un approccio più relazionale spesso associato con la femminilità. Le nostre conclusioni suggeriscono che questo dibattito potrebbe essere focalizzato sulla domanda sbagliata perché il modo in cui le persone interpretano le loro identità di genere – difensivo contro generativo – potrebbe essere più importante di quali caratteristiche manifestano”. [Sono stati conservati i grassetto utilizzati da Marion Chapsal; N.d.T.]

E se non esistessero categorie come “maschile” e “femminile”?

In “Big Think”, Gloria Steinem afferma: “Non esiste in realtà una cosa come il “maschile” e il “femminile””. Wow! Secondo Steinem:

Le differenze tra due donne sono molto probabilmente maggiori delle differenze generalizzate tra i maschi e le femmine presi come gruppi, sotto tutti i punti di vista eccetto che per l’ambito riproduttivo, proprio come le differenze individuali tra due membri della stessa razza o etnia sono probabilmente maggiori delle differenze tra due razze”.

Se è davvero questo il caso, cosa può fare una persona per andare oltre gli stereotipi di genere?

  • Lasciar perdere la colpa.
  • Costruire una salda sicurezza in sé stessi e fidarsi degli altri.
  • Lasciar perdere lo stare sulla difensiva.
  • Promuovere la cooperazione.
  • Accettare di dividere il proprio potere fuori E ANCHE dentro la propria casa.
  • Accettare di dividere le ricompense e anche l’amore, non solo i compiti di routine.
  • Godersi il processo di scoperta di sé con curiosità ed entusiasmo.
  • Durante la scoperta, curare e festeggiare a vicenda le nuove parti di sé.

Nel fare questo terremo conto di una distribuzione delle responsabilità più equa. Le donne sono entrate nei territori degli uomini e hanno provato che possono svolgere i lavori da uomini, quindi adesso lasciamo entrare gli uomini nei territori delle donne e non sentiamoci colpevoli per questo. Come Steinem afferma:

Non abbiamo dimostrato che gli uomini possono fare ciò che fanno le donne. Di conseguenza i bambini continuano a essere allevati principalmente dalle donne, e le donne nei paesi industrializzati finiscono per avere due lavori: uno fuori casa e uno in casa. E, cosa ancora più grave, i bambini crescono con la convinzione che solo le donne siano capaci di amare e allevare, che è un’offesa per gli uomini, e che solo gli uomini possano essere potenti nel mondo fuori della casa, che è un’offesa per le donne”.

Adesso è giunto il momento per tutt* noi di lasciar perdere gli schemi di dominanza e/o sottomissione e accogliere l’emozione della cooperazione con gioia e libertà!

 

Riguardo l’autore

Marion Chapsal vive a Lione, Francia. Allena e forma leader internazionali e imprenditori alla leadership e all’abilità nell’esposizione con un’attenzione particolare alle donne. Pratica il creative and active coaching attraverso l’uso di strumenti innovativi, così come di antiche metafore e della narrazione, che incrementano la creatività e l’uso della parte destra del cervello. Marion ha oltre quindici anni di esperienza nel settore educativo. Oltre le consulenze, Marion insegna anche alla EM Lyon School of Management.

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