Quando si parla di problemi di donne e di iniziative abbiamo davvero tanto da fare nel tentare di raccapezzarci tra sdoganamenti di parole e concetti di destra e legittimazioni di pratiche machiste a sinistra.
Parliamo in questo caso del 13 febbraio.
Se negli ambienti moderati c’era la gara a chi aveva la sciarpa bianca più larga, tra i contesti più a sinistra c’è chi non ha potuto resistere alla tentazione di mettere in moto la gara a chi aveva l’ombrello rosso più lungo o addirittura più rosso.
Non che a noi importi se qualcuno va in giro con l’ombrellone piuttosto che con una maxitenda rossa itinerante.
Più rosso c’è al mondo meglio è.
Quello che però diventa antipatico è il fatto che certi collettivi femministi si comportino ne più e ne meno che come i loro equivalenti al maschile.
E le pratiche egemoniche, di appiattimento, quelle che trasformano un percorso collettivo in una pratica autoritaria, quelle che eliminano le diversità e trasformano gli individui in massa, come il patriarcato che stereotipizza e controlla le diversità appiattendole nelle categorie dicotomiche con cui si esprime il potere del padre, del gruppo o dello stato; quelle pratiche, insomma, alla fine sono all’origine di frammentazione.
Bisogna raccontarla bene perché si capisca. Quando le donne di bologna condividevano slogan, loghi e campagne contro la moralizzazione dei costumi, a fianco delle sex workers, e quando noi abbiamo lanciato la campagna degli ombrelli rossi, facendo nostro quel percorso e rendendolo rappresentativo di rivendicazioni che trovavano d’accordo donne, femministe, precarie, studentesse, sex workers, migranti, uomini, disertori del patriarcato, non speravamo certo che un colore attenuasse le diversità tra noi e altre realtà esistenti.
Noi che con le diversità ci misuriamo in modo chiaro e intellettualmente onesto, senza sotterfugi, senza pettegolezzi, senza scambi privati tra comari.
E quelle diversità si sono di fatto manifestate. In particolare ci riferiamo a quelle realtà che hanno convocato gli stati generali per presenziare alla scena romana ma non hanno trovato il tempo di informare le altre a proposito della azione che sarebbe stata fatta a Montecitorio.
Il che ci ricorda altre circostanze, con conclusioni assai più rischiose. Ma resta il fatto che ci si aspetterebbe, da parte di gruppi autorganizzati di femministe che amano fare tante belle cose, che considerassero le altre donne dei soggetti autodeterminati invece che dei soldatini da intruppare in imprese, belle, scenograficamente entusiasmanti, ma sul piano pratico con qualche rischio del quale tutte dovrebbero essere consapevoli.
Sfondare una barriera, un cordone di polizia, in una piazza piena di telecamere, con tante donne al seguito che non sanno bene cosa sta avvenendo, non sappiamo quanto sia diverso da una qualunque azione machista fatta in altre occasioni e per diversi motivi.
Ci piacerebbe, certo, che a dominare la piazza, più che le velleità egemoniche, fosse la condivisione di pratiche e soprattutto di informazioni essenziali.
Abbiamo creato spazi nuovi, di condivisione e diffusione delle idee, spazi nostri, che ci rivendichiamo come liberati, sia nel linguaggio che nei contenuti. Spazi dove è possibile partecipare individualmente o collettivamente. Spazi senza recinti. Spazi dove le informazioni possono e devono circolare. Perché condividere saperi e informazioni è alla base del rapporto paritario. Chi controlla la circolazione di notizie e idee, lo fa per preservare privilegi, politici o economici. Questa logica la combattiamo quotidianamente, e lo facciamo creando altro.
Noi continuiamo a inventarci gesti e parole differenti. E ci spiace sempre dover correre il rischio di essere confuse con pratiche che possono sembrare apparentemente tanto affascinanti ma che per noi hanno il sapore di quello che sa di vecchio.
Il movimento degli ombrelli rossi vive innanzitutto di chiarezza. Non si lascia egemonizzare perché vive di diverse identità e di soggettività autodeterminate, mai passive, che non aderiscono a nulla di cui non conoscano l’origine, la prassi, la conclusione.
Il movimento degli ombrelli rossi parla un linguaggio nuovo, che è attento alla autorappresentazione, alla rivendicazione collettiva in cui ciascun@ abbia un ruolo preciso, dove si smetta di fare a gara tra chi prende la testa del corteo.
Perché l’antisessismo si combatte a partire dalle pratiche politiche e la condivisione della piazza deve avvenire sempre all’insegna della responsabilità collettiva.
Perciò abbiamo voglia di costruire questa cosa che si chiama Movimento degli Ombrelli Rossi, dove il rosso può avere mille sfumature, dove non c’è un rosso più rosso degli altri e dove tutt* hanno voglia di andare avanti e guardare all’otto marzo senza lasciare nulla in sospeso.
A Femminismo a Sud piacciono davvero tanto le azioni di piazza. Piacciono sempre. Piacciono in ogni caso. Ci piace di più se queste azioni sono partecipate consapevolmente.
Per l’otto marzo noi ci prepariamo a occupare le piazze con tanti ombrelli rossi, tanta diversità, ricchezza, e consapevolezza.
Perché noi fikesicule siamo sempre presenti a noi stess*.
Perché noi non siamo subordinat* a nessuno.
Perché noi vogliamo tutto!
E’ sempre buon uso informare tutte dove si sta andando e cosa si va a fare.
Questo per permettere di scegliere se esserci o no.
Convocare una riunione anche all’ultimo minuto per comunicare alle altre le proprie decisioni probabilmente risolverebbe problemi di chiarezza.
Se sappiamo che un gruppo ha appuntamento in un punto dove anch’io voglio fare qualcosa avverto il gruppo.
Non è che arrivo e conto sul fatto di arrivare e portarmele dietro.
Tutto qui.
@za
il tuo commento è dove merita di stare. anche perchè la nostra è una discussione politica. la tua non so. puoi assumertene la responsabilità nei tuoi spazi, se ne hai.
per un dibattito politico faccia a faccia non c’è problema.
e se comunque hai voglia di insultare con toni da centro sociale duro e puro machista di chi ce l’ha più lungo accomodati pure. ma il nostro spazio veicola altri contenuti. puoi comunque scriverci nella nostra mailing list, dove puoi parlare con tutt*, all’indirizzo mail femminismoasud@inventati.org.
ps: per tua informazione avere la presunzione di un controllo sulle piazze e sulla vita di chi vi partecipa è una grande prova di autoritarismo. non è machista l’azione. è machista questo metodo e il tuo commento lo dimostra. ma la politica partecipata è troppo una gran fatica, vero?
inoltre, se hai voglia e tempo, dall’alto della tua consapevolezza, poi mi spieghi come mai giusto nei contesti libertari, dove la partecipazione è un fatto reale e non teorico, prima di ogni manifestazione si condividono almeno un numero di un legale, un manuale per permettere a chi partecipa di agire consapevolmente e le informazioni su cosa bisogna fare per ogni evenienza. eppure se hai così tanta conoscenza della piazza ‘ste cose dovresti saperle, no? perchè essere libertarie è un agire politico e non una medaglietta che ti appunti sul petto.
ciao ciao
ah, l’effetto sopresa. ah, lo spontaneismo. ah, le scelte consapevoli.
peccato che siano tre cose mutualmente escludenti. peccato davvero, era un mondo più semplice…
valerio, l’effetto sorpresa non dovrebbe mai essere autoreferenziale. e in generale possiamo resistere e opporci quanto vuoi ma resta il fatto che TUTTE devono essere consapevoli dei rischi.
Condivido assolutamente il rispetto delle differenze di cui si parla, ma non credo ci sia niente di machista nell’assalto simulato a Montecitorio, con tanto di aggiramento del poliziotto domenicale…
Penso però che “soggettività autodeterminate, mai passive, che non aderiscono a nulla di cui non conoscano l’origine, la prassi, la conclusione”, che si appellano alla responsabilità collettiva della piazza, rischino di negare l’effetto sorpresa, l’atto simbolico, mediatico, spettacolare (purtroppo è questo che c’è… è il “situazionismo” che ci impantana, più che il machismo incursivo e “militante”…), che pur parla un linguaggio efficace quanto a cassa di risonanza… L’importante è che queste pratiche eterogenee (l’azione lo è sempre, come i nostri corpi, sotto il “carnaio di segni” che li nasconde) non siano considerate un fine, ma un mezzo… quando sfrutta le potenzialità contaminanti della comunicazione sociale (alienata?) contemporanea. Occorrerebbe non perdere mai di vista la possibilità dell’azione realmente efficace, ovviamente…
La questione del potere, della “decisione”, che viene posta in questo post è comunque a mio avviso fondamentale per future iniziative… Credo che si debba essere più anti-identitari/e, per non prevaricare… (che si tratti di individui o collettivi). Senza negare il fondo di aggressività che alberga in tutti/e noi e che negli uomini magari può essere identificato come militanza o machismo, ma che nelle donne forse ha difficoltà ad esprimersi secondo modalità “riconosciute” e socializzabili… Sembra che ci si debba sempre liberare dello stereotipo del “gentil sesso”, ecc…
Quel che più mi dispiace del 13, è che si sarebbe potuti essere molti di più se non ci fosse stata troppa improvvisazione organizzativa… se non si fosse data buca a un sacco di gente che s’è trovata intufata nella folla sotto gli archi di piazza del Popolo… Capisco le esigenze di spiazzare il controllo, ma ci si è spiazzati da soli/e, facendo prevalere magari l’ala più, diciamo, “riot”… (che pure avrebbe bisogno di coinvolgere il maggior numero di persone per essere efficace).
nessun@ qui ha usato il termine “violenza”. non mi sembra questo il punto.
il punto è che non tutte quelle che hanno partecipato erano consapevoli di poter prendere botte e denunce.
farlo consapevolmente dovrebbe essere la prima premessa per un agire libero e autodeterminato. se ci sono quelle che non hanno sufficienti informazioni non c’è più consapevolezza nè libertà.
grandi le donne torinesi, quelle egiziane e pure le romane. meno bello è che nonj tutte fossero informate su quello che stava accadendo.
Ps: le mamme vulcaniche hanno fermato interi camion della spazzatura, da sole, con striscioni e con grida e urla non proprio eleganti..e le ho amate tantissimo.
Tutte sapevamo che lì erano presenti delle telecamere, nessuna donna si è permessa di farsi le scarpe o di mostrare all’altra quanto era femminista, le uniche cretinaggini le ho udite in Piazza del Popolo e non erano certo sorelle che seguivano da tempo Manifestazioni simili. Inoltre ci terrei a precisare che le ragazze di Roma si sono fatte un sedere in 4 per organizzare riunioni, per creare lo striscione, le scatole, per coordinare il corteo che ha dovuto spostarsi per l’immensa folla, l’idea è arrivata all’ultimo minuto ( così mi è parso di capire) e tutt* lì sapevano bene cosa rischiavano, tanto che anche la sottoscritta temeva qualche carica, ma è stato tutto abbastanza rapido e indolore, senza nessuna azione machista, perchè non è stato ferito nessun poliziotto.
Le sorelle di Torino hanno fatto un bel presidio nella sezione del PDL, beccandosi botte e manganellate, tutte ben fotografate e registrate ( con tanto di documento), sporcandosi la fedina penale e autoschedandosi..ma non vedo azioni machiste.
E le donne egiziane allora? Pure loro sono state fin troppo violente?
Io spero sia un post dettato da chi non ha visto e vissuto questa manifestazione a Roma, perchè non saprei spiegarmi altrimenti.