Quante ore sono passate dall’ultimo femminicidio? Troppo poche.
Si chiamava Eleonora Liberatore e anche lei, ieri sera, a Cesena, alla giovane età di 37 anni, è stata uccisa a coltellate, sul petto e sulla schiena, dal suo ex compagno che ancora non si rassegnava alla fine del loro rapporto.
Per lui c’era un provvedimento cautelativo. Cosa significa concretamente non saprei perchè di sicuro non ha tutelato la donna che lo aveva denunciato per stalking e che è stata aggredita in un bar, mentre stava con gli amici, senza che evidentemente qualcuno abbia potuto fare qualcosa per lei.
A fronte di un pericolo concreto a questi uomini viene mandata una ammonizione, un cartellino giallo, qualcosa che dice che non possono avvicinarsi, o che devono smetterla. Equivale ad un “basta” detto da un genitore al bambino monello, con il dito indice puntato contro per dire che “così, no, non si fa”.
Avete mai visto un uomo raggiunto da questi “provvedimenti cautelativi” fermarsi al divieto? Se non si fermano al NO bello grosso pronunciato dalla loro ex perchè d’altronde dovrebbero fermarsi ad un no timido che viene dalle istituzioni?
In televisione siamo abituati a vedere dei rambo inbellettati che agiscono per prevenire perfino gli omicidi pensati, chè non si tratta neppure di quelli pronunciati ad alta voce. Ma nella realtà la questione è ben diversa. Non si previene niente, soprattutto quando si parla di violenza maschile contro le donne. Si sottovaluta. Si lascia correre. Si immagina che debba essere o restare comunque un fatto privato. E a parte qualche esempio, come quello di Treviso, dove pare sia stato messo a disposizione delle vittime di stalking un servizio di scorta, tutto quanto resta vago, trincerato dietro tanti “non so”, “abbiamo le mani legate”, “facciamo quello che la legge consente”.
E perfino il servizio di scorta è una beffa perchè è la resa definitiva di uno stato che si piega a questi criminali e che costituisce comunque un disagio per le vittime.
Non so se avete presente cosa sia una scorta. Si tratta di una limitazione dei tuoi movimenti. Non puoi più vivere. Non hai più privacy. Sei tu, la vittima, ad essere sorvegliata 24 ore su 24. Ed è coerente alle proposte che dicevano di voler mettere braccialetti elettronici sulle braccia delle vittime, per poterle monitorare e “proteggere”, così dicevano, quando ne avrebbero avuto bisogno.
Vale a dire che siamo sempre sul piano della vittima che deve latitare, si deve nascondere, addirittura perde il diritto a vivere la sua vita, mentre il suo potenziale o reale assassino può essere libero di fare quello che vuole, dove vuole e quando vuole. Il mondo alla rovescia.
E andando avanti con questa logica securitaria che usa i corpi delle donne solo quando c’è da fare leggi che criminalizzino gli stranieri, nessuno si occupa di fare una informazione corretta che racconti davvero quello che le donne, braccate, limitate, perseguitate, massacrate, ogni giorno vivono.
Dov’è la nostra vita? Perchè non ci viene restituita? Perchè ancora nel 2010 siamo qui a difenderci e a dover giustificare le nostre scelte? Perchè nessuno spiega che l’uomo che immagina di poter avere il diritto di vita o di morte su ognuna di noi è la stessa persona che per lo stato dovrebbe completare la parola “famiglia”? Perchè non si avvisano le donne, una per una, per raccontare quali sono i comportamenti da evitare in un uomo? Perchè le donne vengono tenute all’oscuro di tutto, disorientate, sommerse di bugie, allontanate dalla verità? Perchè nessuno ha voglia di dare alle donne gli strumenti affinchè possano difendersi da sole?
Le donne che sanno difendersi, sono quelle che hanno smesso di credere alle tante bugie dette nei film romantici, sono sopravvissute alla violenza di un uomo. Loro sanno e se hanno la fortuna di vivere ancora, perchè di sicuro ne hanno la forza, riconoscono un uomo violento solo dall’odore, non si lasciano incantare da parole vuote, non credono più a nessuna bugia.
Sapete come si sente una donna che conosce la violenza maschile in ogni suo dettaglio? Presa in giro. Ed è questa la frase giusta: le donne vengono ogni giorno prese in giro. Si prendono in giro quando si dice che si è fatto abbastanza per loro, che le si valuta al pari di qualunque altro contribuente, e bla bla bla.
Invece no. Le donne non valgono tanto quanto altri contribuenti. Valgono solo in quanto proprietà maschile e dello stato. Le si presta attenzione se un estraneo l’ha violata perchè per la mentalità comune chi ha commesso violenza avrebbe offeso la morale comune, suo padre o suo marito. Non si parla quasi mai di lei o se ne parla in modo speculare alla questione. Le si presta attenzione quando chi l’ha uccisa non ha considerato che lei era anche incinta. Perchè prima di avere rispetto di lei l’assassino avrebbe dovuto avere rispetto per quello che conteneva in pancia. Un criminale non può mica prendersi due corpi di stato al prezzo di uno, no?
Poi c’è la costruzione di una scientifica mentalità dell’indifferenza, dell’omertà e della complicità. Chissà che trauma per gli amici di Eleonora, il barista, gli altri clienti, nel vedere una donna accoltellata sotto i loro occhi. E per tante persone è evidentemente traumatico perchè le notizie delle vittime di violenza maschile vengono nascoste, a meno che non facciano audience e non ci siano pruriti morbosi da soddisfare. Si parla tanto per rafforzare la convinzione che cose del genere accadono in contesti malati. Non sanno invece che questi crimini avvengono ovunque. Basta saper vedere e ascoltare. Basta smettere di considerare ciascun crimine un caso isolato perchè una donna morta quasi ogni giorno, solo in italia, è un po’ troppo per essere un “caso isolato”.
Si chiama femminicidio. E solo i violenti negano che in italia vi sia questa emergenza sociale.
In un altro post trovate le vittime degli ultimi quattro mesi. Alla lista ne vanno aggiunte altre, una giusto un paio di giorni fa, a Bologna, il suo nome era Caterina Tugnoli, morta anche lei perchè un uomo non le ha permesso di scegliere.
—>>>A proposito di costruzione culturale del femminicidio: quanto pensate, da uno a dieci, che un maschilista come quello descritto in quest’altro post, possa sentirsi in diritto di togliere la vita ad una donna ritenendola evidentemente un essere inferiore? Pensate ai tanti che in maniera più politically correct la pensano allo stesso modo. Non è forse a partire da chi pensa che la donna sia un essere inferiore, utile solo per certi usi (e se si ribella la si può anche uccidere), che avviene la costruzione di una cultura del femminicidio?
@luzifeszorn
… e dunque…? Tutto qui? E’ soltanto per spingere le persone ad esplicitare il loro pensiero sulla psicoanalisi che discuti?
Il tuo atteggiamento mi risulta di assai difficile comprensione. Solitamente, si discute per il piacere del confronto, per imparare qualcosa, per trasmettere dei pensieri… dallo scambio con te non ho avuto la benché minima percezione di un confronto, non ho imparato nulla, e il mio tentativo di esprimere un pensiero è stato completamente frustrato da questa tua lapidaria (e incomprensibile) conclusione.
Mi riservo di non interloquire mai più con te. Saluti.
Cave says “Quindi, quando parlo di percorso individuale e crescita collettiva, io NON FACCIO PSICOANALISI. Con Freud mi ci pulisco le chiappe… e con Jung pure.”
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E’ qui che ti volevo portare. L’avevo già intuito ma mi andava che lo mettessi per iscritto.
@luzifeszorn
In tutta sincerità, ma senza voler fare polemica, trovo sempre un po’ arrogante la pretesa di coloro che rivendicano per sé il ruolo di “quell@ che va fino in fondo nella lotta”… sicché chiunque prospetti una visione leggermente diversa è automaticamente un@ che si limita “a voler rendere la situazione più accettabile”. Anch’io, non meno di te, voglio andare “fino in fondo”.
Anzitutto non capisco a cosa tu ti riferisca quando prospetti una specie di “linciaggio preventivo” per gli uomini violenti.
Se ti riferisci a tutele giuridiche per le vittime, ad una sensibilità diffusa nei confronti del problema, ad un’opposizione culturale nei confronti di qualsiasi forma di violenza e discriminazione sulle donne che diventa sentire comune e fonte di solidarietà per chi si trova in situazioni del genere, allora siamo d’accordo. “Linciare” simbolicamente (e pubblicamente) il violento facendo sì che sia inchiodato alle sue responsabilità e che il significato delle sue azioni sia chiaro a tutti (e condannato da tutti), di modo da evitare che continui e da “educare” la collettività; questo tipo di linciaggio è sacrosanto.
Ma se con “linciare” fai riferimento all’eliminazione fisica, allora proprio non riesco a seguirti. E non per moralismo o passiva accettazione dei dogmi della non-violenza… niente di più lontano da me. La questione è un’altra: se togliere di mezzo un padre/marito/zio/fratello/cugino/vicino violento può essere la sola via di fuga per una persona la cui vita sia stata resa impossibile da violenze inaccettabili, questo non fa di un’azione del genere un'”azione di lotta”.
Da nessun punto di vista. Nemmeno la fuga è un’azione di lotta. Si tratta di reazioni, talvolta necessarie, che tuttavia rappresentano già di per sé una sconfitta… perché se per liberarsi dalla violenza è necessario nascondersi, fuggire, o addirittura uccidere, vuol dire che l’individuo è stato lasciato solo, che non ha potuto affidarsi ad una rete sociale sufficientemente forte da sostenerlo.
La lotta è sempre un fatto collettivo, una partecipazione di più individui ad una pratica costante e sistematica che si pone obiettivi di cambiamento. Auspicare, come obiettivo generale, che tutte le donne che subiscono violenze ammazzino i loro aguzzini o si limitino a fuggire e nascondersi non è lotta; tanto meno “lotta fino in fondo”… è semplice resa.
Individui con una predisposizione alla violenza o all’aggressività sono partoriti a centinaia ogni giorno, in tutto il pianeta. A meno di non praticare l’eugenetica, la loro presenza è destinata ad accompagnare l’umanità per il resto della sua storia. Toglierne di mezzo qualcun@ ogni tanto, prima o dopo che sia arrivat@ a picchiare o uccidere, ammesso e non concesso che sia moralmente accettabile, non elimina la possibilità che ne nascano ancora… a maggior ragione, una società che tolleri o incentivi l’eliminazione fisica come forma di punizione, probabilmente condurrà sulla strada della violenza molti più individui di quelli naturalmente predisposti… diventerà una società violenta, chiusa, intollerante.
La lotta – se parliamo di “lotta” politica e culturale e non di vademecum pratici per persone che subiscono violenza – dev’essere condotta “fino in fondo” proprio in senso inverso: la violenza dev’essere tutta simbolica, condotta contro i dogmi culturali e le istituzioni che perpetrano la mentalità maschilista e sessista.
Un’ultimo appunto: dalla prima volta che hai risposto a delle mie considerazioni hai tirato in ballo la “psicoanalisi”. Niente di più improprio.
La psicoanalisi ha dietro di sé tutta una filosofia condita di archetipi, complessi di Edipo, invidie del pene… che non fanno altro che prospettare l’individuo come preda di impulsi o coazioni delle quali, in ultima istanza, non è responsabile. La stessa pratica psicoanalitica rafforza determinate dinamiche di potere. Personalmente, avverso tutto ciò dal profondo dell’animo.
Quindi, quando parlo di percorso individuale e crescita collettiva, io NON FACCIO PSICOANALISI. Con Freud mi ci pulisco le chiappe… e con Jung pure.
Ciò di cui parlo è una cosa al contempo molto più banale e semplice e infinitamente più complessa: una PRATICA SOCIALE, collettiva, quotidiana e pervasiva, senza signori in camice bianco, senza lettini né diagnosi psichiatriche; una pratica che agevoli la diffusione di una mentalità diversa, aperta, non discriminatoria… forse l’unico vero antidoto contro la barbarie.
E se mi si risponde che vivo nel mondo delle fiabe… beh, preferisco battermi per l’utopia di un mondo basato su rapporti sociali sani e sereni al baratro di chi si arrende, anche nel proprio modo di vedere, alla brutalità che ci sommerge da tutte le parti.
Ascolta Cave, veniamo allo scoperto (fuori dalla grotta!). Linciare il Misseri non serve. Su questo siamo d’accordo. Ma io l’avrei volentieri “linciato” prima per fermare il massacro (e non parlo solo di Sarah). Su questo evidentemente non siamo d’accordo. Qui si evidenzia la differenza tra le posizioni di chi lotta per andare fino in fondo, qualsiasi sia il prezzo da pagare, e chi lotta per rendere una situazione solo più accettabile. Occorre prendersi certe responsabilità in alcuni momenti della vita, e andare fino in fondo, cosa che oggi quasi nessuno fa per paura delle conseguenze, a cominciare dalle mogli di tanti padri che abusano dei figli per una vita intera: incapaci di agire lasciano che le loro creature, per lo più ragazzine, diventino la valvola di sfogo su cui tutto è concesso. Poi queste ragazzine diventeranno madri e il ciclo si ripeterà. Fino a quando qualcuno, come urla il tizio dal furgoncino nel film di Lynch che ti linko sotto, spezzerà la catena del male. Questa omertà sociale ancorché familiare non è più tollerabile. Siamo alla resa dei conti, dopo cento anni di psicoanalisi ci sono persone non più disposte a tollerare oltre. Chi non combatte l’orrore fino in fondo ne diventa parte.
http://www.youtube.com/watch?v=QNVxN-Cdz4k
@Mary
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@luzifeszorn
Il mio discorso era più generale.
Nelle due cose vedo due facce della stessa medaglia: alla base, secondo me, c’è in entrambi i casi il bisogno, da parte di una società intrinsecamente violenta, di occultare le cause di questa violenza pervasiva, per evitare di guardarsi allo specchio.
Che in un caso la rabbia si sfoghi contro una probabile vittima femminile (Sabrina), e nell’altro contro un acclarato carnefice maschile (Misseri), non cambia la sostanza. Cambia sicuramente la priorità, l’urgenza, la maggiore o minore riconducibilità del fatto ad una tendenza che si vuole contrastare (è chiaro che la crocifissione a mezzo stampa di Sabrina è l’ennesima manifestazione di profonde tendenze misogine, mentre lo sfogo contro Misseri non lo è); ma la sostanza, secondo me, resta invariata.
Sfogarsi contro il “mostro” di turno, augurandosi di vederlo linciato dalla folla o impalato, non servirà a dare a Sabrina una vita migliore, né a riportare in vita l’ennesima vittima femminile di violenza maschile. Serve solo a rimuovere il significato reale di quello che è accaduto, per evitare di rifletterci e di rimettere in discussione un’infinità di cose. E questo succede in modo sistematico.
Dirò di più: una persona che si sente legittimata o autorizzata ad esternare pubblicamente un immaginario da camera di tortura, da’ dimostrazione di un compiacimento per la violenza che, sia pure indirettamente, asseconda qualsiasi forma di brutalità. Lasciamo stare che questo immaginario si sfoghi contro una persona orrenda che ha commesso cose orrende… quel tipo di compiacimento c’era già prima, e cercava solo l’occasione giusta (ossia socialmente accettabile) per esprimersi.
Penso, forse sbagliando, che anche la violenza sulle donne sia un aspetto di questa brutalità pervasiva, e che solo combattendo e denunciando questa brutalità a 360 gradi ci sia qualche speranza di uscirne.
Cave says
“Alla crocifissione di Sabrina Misseri sui quotidiani si aggiunge poi uno sfogo di rabbia e violenza repressa nei confronti dello zio assassino che fa riflettere.”
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Lungi da me l’idea di intavolare un conflitto ma i due concetti qui sopra espressi sono due cose profondamente diverse e in conflitto tra loro (cioè la seconda annulla la prima). Di gente che vuole castrare gli stupratori è pieno il mondo: non mi interessa. Così come so che ci sono quelli che credono di risolvere i mali del mondo con la pena di morte. Non mi interessano queste derive repressive e forcaiole, specie in questo momento. Il discorso su Sabrina Misseri è diverso. I giornali stanno tentando, e a quando vedo in 15gg ci sono riusciti pienamente, di redistribuire le responsabilità del massacro su Sarah facendole gravare più sulla cugina che sullo zio reo confesso e palesemente affetto da turbe psico-sessuali. L’opinione pubblica è gia stata condizionata (e mi stupisce che debba essere io a farti questo appunto, ma forse non ci legge praticamente nessuno…). Ecco allora che “non usciremo vivi da qui” finché si useranno due pesi e due misure in modo da rendere i padri (o le madri) sempre più intoccabili dei figli e al contempo sollevandoli dalle responsabilità di aver impedito a questi ultimi una dimensione di amore e attenzione durante la loro infanzia. Come insiste da anni Alice Miller, il problema degli abusi sui minori ruota in loop attorno al Quarto Comandamento. Sabrina Misseri ora è adulta, ma pensare che sia lei ad aver plagiato e traviato il padre è la prova che qui siamo alla resa dei conti finale. Di quel vecchio e porco maiale non me ne frega un cazzo. Ok? Lo darei in pasto volentieri ai coccodrilli se questo servisse a ridare a Sabrina una vita migliore. Spero di essere stato più chiaro del solito.
Vi segnalo questo video dove questa donna ha piu forza di tanti;
Si è persa anche la forza di indignarsi e ribellarsi, quest anziona gli dice in faccia ai politici di non rispettarli, perche sono disonesti. mitica.
http://www.youtube.com/watch?v=Ik_6v91DrRE
bellissimo post cara maralibera.
dato che ne lo stato ne le istituzioni quali polizia e co non riescono a difenderci propongo di iscriverci in massa a corsi di autodifesa kick boxing pugilato e chi più ne più ne metta.
e naturalmente portare in borsa il fischietto antistupro ed uno spray al pepe.
Alla crocifissione di Sabrina Misseri sui quotidiani si aggiunge poi uno sfogo di rabbia e violenza repressa nei confronti dello zio assassino che fa riflettere. Su facebook proliferano i gruppi in cui messaggi sgrammaticati e brutali elencano fino nei dettagli più sadici le torture cui andrebbe sottoposto…
Un’intera società si sta lavando la coscienza, come sempre, fra curiosità morbosa, ricerca dello scoop e pulsioni forcaiole da medioevo spinto. Tutto, pur di non affrontare il vero problema, pur di non mettere in discussione i modelli culturali che assecondano violenza e discriminazione, ma, anzi, rinfocolandoli ancora di più.
Da notare che all’ora attuale (13.55 del 27 ott 2010) la notizia non compare ancora sulle principali testate on-line (corriere, repubblica, stampa, unità, giornale, avvenire). In compenso la crocefissione di Sabrina Misseri va alla grande.
cara, purtroppo non possiamo modificare il codice per scegliere se devono essere numeri o lettere. puoi usare l’icona con le due frecce (la prima del recaptcha) fino a quando non ti da due parole comprensibili.
ciao 🙂
Il maschilista di cui parli può sentirsi il diritto di toglierci la vita a dieci. Perchè per lui le donne non valgono nulla sono nate come suppelletile maschile. Ecco perchè…il problema è che non è l’unico a pensarla così purtroppo se no nn ci fossero stati tutti questi delitti di genere o ginocidi.
Ps: Anna MariA Scarfò, la vittima di stupro che denuncio il paese x stalking ha scritto un bel libro di denuncia.
ps: non si possono utilizzare i numeri al posto delle lettere nei codici di approvazione?
Faccio una tale fatica a decifrare le lettere, soffro di una leggera dislessia e nn è facile 🙁