http://www.youtube.com/watch?v=NH5K8lojOq0
La Pecora Nera è un film che entrare in sala e trovare dieci persone è proprio brutto. Dispiace assai, perchè in realtà il film merita e merita parecchio.
Devo dire che quando trovo il cinema così semideserto a me il film piace di più perchè non c’è la testa dell’uomo alto che non si leva da davanti e non c’è neanche quello che c’ha il prurito ovunque e fa tremare tutte le poltrone.
Sarà che era domenica ed era pure l’ultimo spettacolo e dunque ecco queste coincidenze fortunate.
E’ un film di quelli che tu dici “ecco cos’è la cultura”, quella in cui c’è chi si spreme le meningi per creare cose serie e regalarti briciole di poesia.
La storia è una delle storie di Ascanio Celestini, raccontata come le racconta lui. Poteva evitare qualche passaggio ad alta voce giacchè l’immagine bastava a far capire e il resto sembrava superfluo ma tutto sommato è una bella storia.
Non ve la racconto perchè la dovrete scoprire voi ma sappiate che c’è tanto che ci riguarda. E’ descritto in modo semplice e chiaro il livello di complicità tra strutture familiari maschiliste, violente con donne e bambini, e strutture istituzionali, i manicomi, che sono pronte ad accogliere e imprigionare gli scarti umani, quelli di cui la famiglia patriarcale si libera perchè fastidiosi, una minaccia per l’esercizio del loro potere, perchè la loro verità potrebbe distruggere in un attimo ogni mistificazione.
Istituzioni totali, come i manicomi, oggi la psichiatria che ti imbottisce di psicofarmaci e certifica la tua inaffidabilità, o come i Cie, in cui la gestione è sempre lasciata a soggetti caritatevoli, nel film le suore e nei Cie le organizzazioni cosiddette “umanitarie”.
Livelli di complicità stratificata che seppelliscono le verità assieme alle persone che le custodiscono e le consegnano a carcerieri il cui compito è quello di mantenere l’ordine per come è stato imposto.
Il film è uno schiaffo a tante strutture sociali, a partire da quella familiare, la scuola, il manicomio, fino ad arrivare al supermercato, nuovo tempio della socialità (pensate ai centri commerciali), che può rappresentare comunque una qualunque impresa commerciale, pronta a prendere i soldi da chiunque, il cui direttore viene paragonato a Dio, per la sua funzione di regolatore dei comportamenti umani e sociali.
C’è la nonna, priva di possibilità di parola, e c’è la madre, rinchiusa in manicomio pure lei, e c’è il padre padrone che quando s’annoia della gente che ha attorno usa il manicomio come immondezzaio. Un immondezzaio utile perchè assegna un bollino di credibilità a chi ne sta fuori e relega all’inaffidabilità quelli che si vogliono fare restare in silenzio.
Un immondezzaio complice di violenze e dei violenti perchè rinchiude le vittime e lascia liberi i carnefici, come spesso fa la psichiatria e ogni altra forma di strumento autoritario di repressione e di controllo sociale.
C’è l’amico, le suore, i sorveglianti della prigione, gli estranei, i pregiudizi, i sogni, l’oggetto del desiderio che diventa oggetto di stalking.
C’è un sacco di vita e storia e violenza raccontata in modo lieve, senza produrre strappi intestinali ma posizionandosi senza forzature sottopelle, nel flusso sanguigno, nel cuore e nel cervello. E’ uno di quei film che ti lasciano pensieri lunghi, perchè esistono anche quelli che ti lasciano pensieri brevi e quelli che non te ne lasciano affatto.
Ne ho condivisi alcuni, perchè a condividerli tutti vi tolgo il gusto di andare a vedere il film.
Poi magari ditemi che ne pensate. Buona visione!