di Stefania Cantatore – Udi di Napoli
Le donne che sono state stuprate ed uccise nell’arco di circa due mesi d’estate, sono state la materia prima per disegnare un’emergenza improvvisa, con una formula di stridente contraddittorietà simile a tutte le estati precedenti.
Le donne lapidate per condotta immorale, anche senza sentenze dei tribunali, sono migliaia, ma la condanna a Sakineh, ha indotto la mobilitazione emergente degli stati “civili”.
Il femminicidio, in tutte le sue modalità, non è un’emergenza, è la conseguenza della sottomissione violenta di un genere all’altro, normalmente prevedibile nella dinamica del mantenimento dell’ordine a partire dal suo nucleo fondamentale: la famiglia, dove la donne e la prole costituiscono un bene proprietario .
Ma il patto di non belligeranza tra Stato e informazione, in materia di diritti delle donne, prevede appunto che si possa nominare il femminicidio, solo a patto che appaia sotto l’aspetto di un’anomala emergenza.
Per questo le relazioni internazionali e i patti sull’ordine pubblico sono stabiliti in un margine che tollera e comprende la soppressione femminile e quella dei bambini. È la normalità.
Le donne stuprate nei centri temporanei di Gheddafi o in quelli Italiani, le bambine importate come prostitute e poi uccise, le bambine e i bambini , le donne prostituiti e ricattati dai soldati dell’ONU o delle missioni d pace, non sono emergenza.
I patti tra gli uomini degli Stati, degli eserciti e delle religioni prevedono la normalità di pratiche femminicide. Questo finchè la salvezza non diventa un affare, la possibilità di uno scambio o la costruzione di un nuovo paradigma di civiltà apparente.
Femminicidio, la parola da spiegare mille volte, non è una nuova fattispecie di reato, ma è la definizione politica che richiama universalmente (le donne sono l’universo) la strage che si ripete a Ciudad Juarez , nelle case dell’occidente pacificato, e che si ripete per un cesareo negato al check point o per uno obbligato in un ospedale.
La politica ha la memoria corta, ce l’anno i giornali e la società civile, e chi ha il potere affronta le cose partendo da zero, perché da zero in poi il poco è già qualcosa.
La formula della cittadinanza onoraria concessa a Safija prima Napoli, poi a Roma, ed a seguire in altre città Italiane, di fatto stabilì il principio di una nuova tutela internazionale che è stato poi contraddetto e sconfessato. Le parole dette e gli impegni presi, all’indomani della straordinaria pressione di movimento contro le violenze sessuate, non si sono poi concretizzati e sono il simbolo della malafede con la quale vengono pronunciate e presi.
Il Sindaco di Napoli e quello di Roma, dovrebbero ricordare e pensarci, i capi dei Partiti e il Presidente della Repubblica, dovrebbero ricordare le proprie parole, per non rischiare di partire da quel fatidico zero dove l’esposizione di una foto è quel poco che vorrebbero far passare per tanto.
Se così fosse, se ricordassero ed avessero agito, potrebbero avere l’ardire di chiedere all’Iran il controllo, non solo sulla produzione di uranio, magari anche sullo svolgimento dei processi basati su accuse che considerano reato il semplice esercizio “dei diritti delle donne, che sono diritti umani”.
Si potrebbe magari avere ascolto, in sede di trattati commerciali, per le tante domande mai poste ufficialmente al governo Americano per le commesse assegnate alle maquillas, a basso costo per gli investitori ma a prezzo della vita di giovanissime donne, ricordate dalle croci rosa delle loro madri .
Alla fine di questa calda e ordinariamente sanguinaria estate c’è una nota positiva: la politica delle donne non ci casca più, non asseconda la deriva dell’emergenza. Le energie vanno risparmiate per il momento inatteso. È bene lasciare le emergenze a chi se le fabbrica apposta, meglio ancora è pensare a come non lasciare in eredità con le nostre conquiste, che ancora troppi si ostinano a considerare il tanto partendo da zero, la nostra ordinaria normalità coperta di minacce e sangue.
Per dimostrare un po’ di buona fede potrebbero, i responsabili del bene comune, cominciare da Avetrana e cercare Sarah impegnando lo stesso zelo e le stesse risorse usate per la difesa di un qualsiasi politico, prima che sia troppo tardi.
Stefania Cantatore – UDI di Napoli
Napoli, 02/09/2010