La Straniera è il film di Marco Turco tratto dall’omonimo libro di Younis Tawfik. [Guarda il trailer]
Amina è una donna marocchina immigrata in italia. La sua è una storia fatta di violenze e di riscatto. Ancora adolescente viene stuprata da una specie di santone del suo paese che la costringe ad avere un rapporto con lui perchè – a suo dire – doveva esorcizzarla dai demoni che aveva dentro.
In italia i preti che fanno la stessa cosa fialmente li chiamiamo pedofili.
Nella cultura di Amina però perdere la verginità conta più di uno stupro e lei è costretta a fuggire e a rifugiarsi in un’altra città. Da lì riuscirà a partire per l’italia alla ricerca di un lavoro. La mancanza di permesso di soggiorno la farà cadere in mano ad un uomo violento e in seguito a fare la prostituta per strada.
Conoscerà così Naghib, un architetto marocchino che si è trasferito in italia quando era giovanissimo, per studiare, laurearsi e trovare lavoro. Ha ottenuto la nazionalità italiana e lavora in uno studio avviato a Torino.
Il rapporto tra i due è un incanto di nostalgia, rimpianto per la propria terra, per le proprie radici, i propri odori, sapori, colori. Tra spezzoni di vecchia cultura e di una nuova meta senza pregiudizi i due si incontrano e si amano.
A questo punto inizia la parte quasi inguardabile del film, nel suo piccolo comunque una perla di rarità italiana, perchè inizia il balletto di indecisione dell’uomo ancorato ai vecchi schemi che la ama ma non vuole una puttana accanto.
Prima di accorgersi di amarla al punto da accettarla per quello che è deve fare pace con il suo passato. Nel frattempo lei finisce in un commissariato, viene interrogata da una romantica quanto poco credibile poliziotta, ingentilita, si fa per dire, da una gravidanza, e viene rinchiusa in un Cie in attesa di rimpatrio.
La gentile poliziotta avvisa Naghib che nel frattempo è tornato dal Marocco, si è fatto passare le paturnie, l’ha cercata per mari e per monti per santificarla con un degno matrimonio ed è disposto a farsi arrestare per andare a trovarla dentro il Cie dove, incredibilmente, la polizia li lascerà amoreggiare per alcuni interminabili minuti.
Prima critica: se anche la donna non avesse avuto un pessimo passato ciò non vuol dire che non meritava l’amore, il riscatto, un futuro, una prospettiva diversa.
Seconda critica: la figura della poliziotta incinta suona molto come la costruzione di stereotipi, ruoli femminili adibiti alla comprensione umana. Come dire che tutto il resto dell’umanità è autorizzata a non capire nulla dei sentimenti altrui perchè non partorisce.
Terza critica: sarebbe stato carino che non si riproponesse il clichè alla pretty woman in cui lui salva lei. Una storia di immigrazione e deportazione è disumana di per sè. Non serve dire che le donne che vengono rinchiuse nei Cie "appartengono" in via esclusiva a qualcuno per fare comprendere il dramma che stanno vivendo. Sono persone, hanno storie pesanti, difficili, comunque meritano di non essere trattate come bestie, numeri, pacchi postali.
Il merito: aver fatto emergere, in qualche modo, la banalità del male, l’indifferenza di polizia, volontari delle associazioni che si occupano dei Cie, tutti intenti a dire, come dicevano i nazisti per le deportazioni di altri esseri umani, che si trattava soltanto del loro lavoro.
"Io faccio solo il mio lavoro" – diceva l’impiegata. "Allora è un lavoro di merda" – rispondeva Amina.
Sottoscriviamo. Per intero.
http://cineblog01.com/…aniera-2009-1%c2%b0-tempo
http://cineblog01.com/…aniera-2009-2%c2%b0-tempo
a scopo didattico e istruttivo senza monopoli, di educazione.
by terry.
“Io faccio solo il mio lavoro” – diceva l’impiegata. “Allora è un lavoro di merda” – rispondeva Amina.
Si’, queste kapo’ del terzo millennio fanno davvero un lavoro di merda. Ma forse perche’ sono persone che la merda ce l’hanno al posto del sangue.