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Il rifiuto di Judith Butler

Da: http://www.thelocal.de/society/20100620-27977.html

Eroina del Gay Pride dice che la marcia è troppo superficiale e
commerciale

Una filosofa e teorica del gender ha rifiutato un premio per il coraggio
civile
alla parata del Christopher Street Day a Berlino sabato, criticando la
marcia
perché troppo superficiale e commerciale

Judith Butler, una rispettata intellettuale femminista americana di
sinistra
che insegna a Berkeley è stata onorata alla parata, ma ha usato il suo
momento
davanti al microfono per rifiutare il premio e criticare la marcia.

Renata Kunast, dirigente del Partito Verde, ha elogiato Butler per la
sua opera
prima che la docente cinquantaquattrenne salisse sul palco alla Porta di
Brandeburgo. Ma, invece di accettare il premio, Butler lo ha rifiutato,
dicendo
che la parata è diventata troppo commerciale e che ignora i problemi del
razzismo e della doppia discriminazione subita dai migranti omosessuali o
transessuali. Leggendo in tedesco da un foglio, ha detto che un
Christopher
Street Day alternativo, organizzato nella zona di Kreuzberg della città e
che
si svolgerà il prossimo sabato, è molto più incisivo nell’affrontare
tali
questioni.
Alla parata si stima che abbiano partecipato circa 600.000 persone, con
50
carri e gruppi danzanti in costume.

Va sottolineato che, come riportato nel link al comunicato
stampa pubblicato da Suspect: "Le organizzazioni di persone di colore che,
secondo Butler, avrebbero meritato più di lei il premio, ad oggi non sono
menzionate nemmeno una volta nei comunicati stampa. Butler ha offerto il
premio a GLADT (www.gladt.de), LesMigraS (www.lesmigras.de), SUSPECT e
ReachOut (www.reachoutberlin.de), eppure il solo spazio politico menzionato
nei comunicati è quello del Transgenial Christopher Street Day, un evento
alternativo al Pride dominato dai bianchi. Invece di focalizzarsi sul
razzismo, la stampa concentra l’attenzione su una semplice critica
all’aspetto commerciale. Questo anche se la stessa Butler è stata abbastanza
chiara in proposito:‘devo prendere le distanze dalla complicità col
razzismo, incluso il razzismo anti-musulmano .’Fa così notare che non solo
gli omosssuali, ma anche ‘bi, trans e queer possono essere utilizzati da
coloro i quali vogliono muovere guerra.’

—>>>Judith
Butler refused to accept the Berlin Christopher Street Day (Gay Pride)
Civil
Courage Prize yesterday, citing among others the racist tactics of the
mainstream gay movement and CSD organizers toward people racialized as
migrants
and Muslims.

Please look at this statement from the SUSPECT group:

http://nohomonationalism.blogspot.com/2010/06/judith-butler-refuses-berlin-pride.html

The video of her refusal speech will be posted to the blog and youtube
later
today.

—>>>Copincolliamo la traduzione che ci hanno lasciato a contributo tra i commenti e leggi anche Angela Davis a proposito del rifiuto di Judith Butler:

http://www.youtube.com/…;feature=player_embedded

Judith Butler rifiuta il “premio al coraggio civile” dal pride di
Berlino:
“Devo prendere le distanze dalla complicità con il razzismo”
Come attivist* Trans e queer neri e alleati accogliamo con molto piacere
la decisione di Judith Butler di rifiutare Zivilcourage Prize
conferitole
dal Pride di Berlino. Apprezziamo il fatto che una delle teoriche più
affermate abbia utilizzato la sua notorietà per sostenere la critica
‘queer
of colour’ contro il razzismo, la guerra, le frontiere, la violenza
della
polizia e l’apartheid. Soprattutto, consideriamo un atto dirompente la
sua
denuncia e la sua critica aperta alla connivenza degli
organizzatori/trici
con le organizzazioni omonazionaliste. Il suo coraggioso discorso
testimonia la sua apertura a nuove idee e la prontezza nel confrontarsi
con
il nostro lungo percorso politico e il nostro lavoro accademico che non
soltanto portiamo avanti nell’isolamento e nella precarietà ma troppo
spesso finisce per essere strumentalizzato e appropriato indebitamente
da
altri/e.

Purtroppo, ancora una volta le organizzazioni di attivisti/e neri/e,
che
secondo Butler avrebbero meritato il premio molto più che lei stessa,
non
stati neanche menzionati nei comunicati del Pride. Butler ha dedicato il
premio a GLADT www.gladt.de), LesMigraS (www.lesmigras.de), SUSPECT e
ReachOut (www.reachoutberlin.de). Nonostante ciò l’unico spazio politico
riportato nei comunicati è il Transgenial Christopher Street Day, un
Pride
alternativo a predominanza bianca. Invece di affrontare il tema del
razzismo, la stampa si è concentrata sulla semplice critica alla
commercializzazione, nonostante le parole di Butler siano state molto
chiare: “Devo prendere le distanze dalla complicità con il razzismo,
compreso il razzismo islamofobico”. Ha inoltre sottolineato che non solo
gli omosessuali ma anche “bi, trans e i soggetti queer possono essere
strumentalizzati da quelli che alimentano lo stato di terrore.

Il comitato organizzativo, per voce di Renate Künast del partito dei
verdi
(che sembrava avere difficoltà nel pronunciare il nome della vincitrice e
nell’introdurre aspetti basilari dei suoi scritti) ha presentato Butler
come una teorica determinata. Cinque minuti dopo, la stessa
determinazione
critica ha fatto cadere a terra le facce dei presentatori. Piuttosto che
appoggiare il suo discorso, Jan Salloch e Ole Lehmann hanno pensato bene
di
rifiutare completamente ogni accusa di razzismo e di attaccare i circa
cinquanta queer of colour e alleati che erano andati alla manifestazione
in
sostegno di Butler; “Potete urlare finché volete. Non siete la
maggioranza. Questo è tutto”.

Il finale è stato una fantasia imperialista intonata
sullo sfondo del Brandenburger Tor: “Il Pride non è solo la
continuazione
di questo programma… Non importa cosa… In tutto il mondo e qui a
Berlino…
È
sempre stato così e sempre così sarà”.
In questi ultimi anni, il razzismo è stato il filo rosso dei Pride
internazionali, da Toronto a Berlino, come anche del panorama gay in
generale (guarda l’articolo premonitore, del 2002, ‘Monster Terrorist
Fag’
– ‘mostro terrorista frocio’, scritto dalle due teoriche queer of
colour, Jasbir Puar e Amit Rai). Nel 2008, il pride di Berlino aveva un motto ‘Hass du was dagegen?’, che si potrebbe tradurre come “hai un problema o
cosa?” (la frase in tedesco imita in modo razzista la parlata dei/delle migranti).

Homophobia e Transphobia sono state ridefinite come i problemi dei
giovani neri che apparentemente non parlano perfettamente tedesco, o la cui identità tedesca è sempre messa in discussione, e semplicemente non appartengono a quella società. Il 2008 è anche l’anno in cui i discorsi sui
crimini d’odio sono entrati a far parte significativamente delle
politiche sulla sessualità in Germania. La rapida assimilazione di questi concetti
è stata aiutata dal fatto che il violento criminale omofobo aveva già un volto: migranti, che erano già stati criminalizzati, incarcerati e anche deportati – un fenomeno che cresce costantemente e con molta facilità.

Questo panico moralista è stato reso credibile da discutibili pratiche mediatiche e dai cosiddetti studi scientifici: dove ogni caso di
violenza che può essere collegato a persone gay, lesbiche, bi o trans (non
importa se il presunto responsabile sia bianco o no e non importa se il movente sia l’omofobia, la transfobia o una lite per un parcheggio) viene diffuso
come l’ultimissima prova di ciò che sappiamo già – che i gay, in particolare gli uomini gay bianchi, sono quelli che stanno peggio di tutti e che la
colpa
è del migrante omofobo.

Questa “verità” sempre più accettata è in larga misura il frutto del lavoro di organizzazioni omonazionaliste come Lesbian and Gay Federation Germany e la gay helpline Maneo, la cui stretta collaborazione con il Pride ha fatto sì che Butler rifiutasse il premio. Il loro lavoro consiste in
larga parte di campagne mediatiche che rappresentano i migranti come “arretrati”, “patriarcali”, “omofobi”, “violenti” e che non si possono “integrare” nella società occidentale. Nonostante tutto questo, è
ironico il fatto che una di queste associazioni riceve fondi pubblici per “proteggere” persone nere dal razzismo.

Il ‘Rainbow Protection Circle against Racism and Homophobia’ nel
quartiere gay Schöneberg è stato spontaneamente accolto dal capo della giunta del quartiere aumentando la presenza del controllo della polizia. Da antirazzisti sappiamo purtroppo molto bene cosa significa quando avere
più polizia (LGBT o no) in una zona dove molte persone nere vivono soprattutto in tempi di “guerra al terrore” e “sicurezza, ordine e decoro”.

È questa, quindi, la tendenza della politica gay bianca, quella di sostituire una politica della solidarietà, di relazioni e di trasformazione radicale con una polica di criminalizzazione, militarizzazione e sempre
più forte difesa dei confini nazionali, che Butler ha denunciato, anche in risposta alle critiche e agli scritti di soggetti queer neri.
Diversamente dalla maggioranza dei/delle queer bianche, Butler si è esposta avendo
una posizione chiara e decisa. Consideriamo questo un atto di vero coraggio.

Yeliz Çelik, Sanchita Basu, Lucy Chebout, Lisa Thaler, Jin
Haritaworn, Jen Petzen, e Cengiz Barskanmaz von SUSPECT

20 giugno, 2010.

SUSPECT è un nuovo gruppo di queer e trans migranti, persone nere,
people of colour e alleati. IL nostro obiettivo è di monitorare gli effetti del dibattito sui crimini d’odio e costruire comunità libere dalla violenza in tutte le forme siano esse interpersonali che istituzionali.

Per ulteriori informazioni su SUSPECT:
http://nohomonationalism.blogspot.com/

Posted in Anticlero/Antifa, Fem/Activism, Omicidi sociali.


One Response

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  1. rho says

    http://www.youtube.com/…;feature=player_embedded

    Judith Butler rifiuta il “premio al coraggio civile” dal pride di Berlino:
    “Devo prendere le distanze dalla complicità con il razzismo”
    Come attivist* Trans e queer neri e alleati accogliamo con molto piacere
    la decisione di Judith Butler di rifiutare Zivilcourage Prize conferitole
    dal Pride di Berlino. Apprezziamo il fatto che una delle teoriche più
    affermate abbia utilizzato la sua notorietà per sostenere la critica
    ‘queer
    of colour’ contro il razzismo, la guerra, le frontiere, la violenza della
    polizia e l’apartheid. Soprattutto, consideriamo un atto dirompente la sua
    denuncia e la sua critica aperta alla connivenza degli organizzatori/trici
    con le organizzazioni omonazionaliste. Il suo coraggioso discorso
    testimonia la sua apertura a nuove idee e la prontezza nel confrontarsi
    con
    il nostro lungo percorso politico e il nostro lavoro accademico che non
    soltanto portiamo avanti nell’isolamento e nella precarietà ma troppo
    spesso finisce per essere strumentalizzato e appropriato indebitamente da
    altri/e.

    Purtroppo, ancora una volta le organizzazioni di attivisti/e neri/e, che
    secondo Butler avrebbero meritato il premio molto più che lei stessa, non
    stati neanche menzionati nei comunicati del Pride. Butler ha dedicato il
    premio a GLADT http://www.gladt.de), LesMigraS (www.lesmigras.de), SUSPECT e
    ReachOut (www.reachoutberlin.de). Nonostante ciò l’unico spazio politico
    riportato nei comunicati è il Transgenial Christopher Street Day, un Pride
    alternativo a predominanza bianca. Invece di affrontare il tema del
    razzismo, la stampa si è concentrata sulla semplice critica alla
    commercializzazione, nonostante le parole di Butler siano state molto
    chiare: “Devo prendere le distanze dalla complicità con il razzismo,
    compreso il razzismo islamofobico”. Ha inoltre sottolineato che non solo
    gli omosessuali ma anche “bi, trans e i soggetti queer possono essere
    strumentalizzati da quelli che alimentano lo stato di terrore.

    Il comitato organizzativo, per voce di Renate Künast del partito dei verdi
    (che sembrava avere difficoltà nel pronunciare il nome della vincitrice e
    nell’introdurre aspetti basilari dei suoi scritti) ha presentato Butler
    come una teorica determinata. Cinque minuti dopo, la stessa determinazione
    critica ha fatto cadere a terra le facce dei presentatori. Piuttosto che
    appoggiare il suo discorso, Jan Salloch e Ole Lehmann hanno pensato bene
    di
    rifiutare completamente ogni accusa di razzismo e di attaccare i circa
    cinquanta queer of colour e alleati che erano andati alla manifestazione
    in
    sostegno di Butler; “Potete urlare finché volete. Non siete la
    maggioranza.
    Questo è tutto”. Il finale è stato una fantasia imperialista intonata
    sullo sfondo del Brandenburger Tor: “Il Pride non è solo la continuazione
    di questo programma… Non importa cosa… In tutto il mondo e qui a Berlino…
    È
    sempre stato così e sempre così sarà”.
    In questi ultimi anni, il razzismo è stato il filo rosso dei Pride
    internazionali, da Toronto a Berlino, come anche del panorama gay in
    generale (guarda l’articolo premonitore, del 2002, ‘Monster Terrorist Fag’
    – ‘mostro terrorista frocio’, scritto dalle due teoriche queer of colour,
    Jasbir Puar e Amit Rai). Nel 2008, il pride di Berlino aveva un motto
    ‘Hass
    du was dagegen?’, che si potrebbe tradurre come “hai un problema o cosa?”
    (la frase in tedesco imita in modo razzista la parlata dei/delle
    migranti).
    Homophobia e Transphobia sono state ridefinite come i problemi dei giovani
    neri che apparentemente non parlano perfettamente tedesco, o la cui
    identità tedesca è sempre messa in discussione, e semplicemente non
    appartengono a quella società. Il 2008 è anche l’anno in cui i discorsi
    sui
    crimini d’odio sono entrati a far parte significativamente delle politiche
    sulla sessualità in Germania. La rapida assimilazione di questi concetti è
    stata aiutata dal fatto che il violento criminale omofobo aveva già un
    volto: migranti, che erano già stati criminalizzati, incarcerati e anche
    deportati – un fenomeno che cresce costantemente e con molta facilità.
    Questo panico moralista è stato reso credibile da discutibili pratiche
    mediatiche e dai cosiddetti studi scientifici: dove ogni caso di violenza
    che può essere collegato a persone gay, lesbiche, bi o trans (non importa
    se il presunto responsabile sia bianco o no e non importa se il movente
    sia
    l’omofobia, la transfobia o una lite per un parcheggio) viene diffuso come
    l’ultimissima prova di ciò che sappiamo già – che i gay, in particolare
    gli
    uomini gay bianchi, sono quelli che stanno peggio di tutti e che la colpa
    è
    del migrante omofobo.

    Questa “verità” sempre più accettata è in larga misura il frutto del
    lavoro di organizzazioni omonazionaliste come Lesbian and Gay Federation
    Germany e la gay helpline Maneo, la cui stretta collaborazione con il
    Pride
    ha fatto sì che Butler rifiutasse il premio. Il loro lavoro consiste in
    larga parte di campagne mediatiche che rappresentano i migranti come
    “arretrati”, “patriarcali”, “omofobi”, “violenti” e che non si possono
    “integrare” nella società occidentale. Nonostante tutto questo, è ironico
    il fatto che una di queste associazioni riceve fondi pubblici per
    “proteggere” persone nere dal razzismo.

    Il ‘Rainbow Protection Circle against Racism and Homophobia’ nel quartiere
    gay Schöneberg è stato spontaneamente accolto dal capo della giunta del
    quartiere aumentando la presenza del controllo della polizia. Da
    antirazzisti sappiamo purtroppo molto bene cosa significa quando avere più
    polizia (LGBT o no) in una zona dove molte persone nere vivono
    soprattutto
    in tempi di “guerra al terrore” e “sicurezza, ordine e decoro”.

    È questa, quindi, la tendenza della politica gay bianca, quella di
    sostituire una politica della solidarietà, di relazioni e di
    trasformazione
    radicale con una polica di criminalizzazione, militarizzazione e sempre
    più
    forte difesa dei confini nazionali, che Butler ha denunciato, anche in
    risposta alle critiche e agli scritti di soggetti queer neri. Diversamente
    dalla maggioranza dei/delle queer bianche, Butler si è esposta avendo una
    posizione chiara e decisa. Consideriamo questo un atto di vero coraggio.

    Yeliz Çelik, Sanchita Basu, Lucy Chebout, Lisa Thaler, Jin Haritaworn, Jen
    Petzen, e Cengiz Barskanmaz von SUSPECT

    20 giugno, 2010.

    SUSPECT è un nuovo gruppo di queer e trans migranti, persone nere, people
    of colour e alleati. IL nostro obiettivo è di monitorare gli effetti del
    dibattito sui crimini d’odio e costruire comunità libere dalla
    violenza in tutte le forme siano esse interpersonali che istituzionali.

    Per ulteriori informazioni su SUSPECT:
    http://nohomonationalism.blogspot.com/