Leggendo questo acuto articolo di Lea Melandri, che in parte condivido, sento comunque il bisogno di fare delle osservazioni.
Alla fine del testo si legge:
Nella confusione e nella complessità in cui troviamo oggi a muoverci, un aiuto può venire dalle consapevolezze che, intuite nel passato, si sono fatte più evidenti:
a) la marginalizzazione che le donne subiscono in ogni ambito della vita sociale non dipende solo dalle imposizioni esterne, dalla protervia del privilegio maschile, ma dall’aver fatta propria la cultura che ha deciso del loro destino fin dai primordi della vicenda umana. Ne è prova l’illusione di poter volgere a proprio favore le stesse attrattive -materne e sessuali- che hanno spinto l’uomo a fare della donna una sua proprietà;
b) la difficoltà ad affrontare i conflitti che nascono quando i pensieri e i desideri propri non coincidono con quelli di compagni, mariti, colleghi;
c) la tendenza ad aspettare che il riconoscimento per meriti e dedizione venga dall’esterno, dalle stesse persone da cui si subiscono torti e ingiustizie;
d) il desiderio, più o meno consapevole, a conservare ruoli familiari che, pur senza vantaggio e piacere proprio, hanno comunque garantito un’identità e forme sostitutive di potere. Prodigarsi per rendere buona la vita ad altri, dimenticando se stesse, ha come contropartita la propria indispensabilità e quindi la dipendenza di chi riceve il beneficio. E’ l’infanzia che si prolunga, nella vita adulta delle coppie e delle relazioni famigliari, convogliando tenerezza e violenza;
e) gli ostacoli che incontra il bisogno, sia pure riconosciuto e auspicato da quasi tutte le donne impegnate per la loro liberazione, di creare solidarietà reciproca, forza collettiva in grado di imporsi nel dibattito pubblico, modificare i rapporti di potere esistenti e l’ideologia che li sostiene.
Su questi punti ho da dire alcune cose:
a) Leggendo quanto dice la Melandri sembra che tra le impostazioni esterne e quelle interne non vi sia connessione. In realtà c’è e se le donne hanno fatta propria una cultura che le vuole “materne e sensuali” non è colpa loro. Non voglio dire che tutte le donne non abbiano scelto di farlo, che non abbiano preso parte alla loro scelta di accettare quegli stereotipi, ma che questa scelta non può sempre essere definita tale. Ci sono donne che scelgono di seguire i dettami della cultura maschilista/patriarcale, questo è evidente, ma ci sono altre donne, tantissime, che non scelgono ma subiscono tale cultura perché nessun’altra alternativa le si concede. Una scelta è possibile se ci sono alternative, altre vie da percorrere, altri modi di esistere ed essere… ma se non ci sono, perchè non mi vengono presentati, come scelgo?
b) le difficoltà nascono perché le donne, a differenza dei maschi, sono educate all’obbedienza, all’essere mansuete e dolci. Non a caso ci chiamano “angeli del focolare”… e gli angeli, si sa, sono obbedienti al padre eterno in maniera assoluta. Inoltre ci sono i cosiddetti “ricatti sentimentali” che, proprio per l’educazione ricevuta, hanno più presa sulle donne, che si sentono inadeguate e si colpevolizzano ogni volta che rivendicano un po’ di libertà, perché dall’altra parte troveranno sempre qualcun* che le ricorderà di quanto NON sono “brave figlie/mogli/madri/fidanzate ed ecc”
c) su questo punto concordo in pieno. E’, ahinoi, un desiderio distruttivo (e lo dico da ricercatrice di tale riconoscimento) che spesso ci porta a soccombere a soprusi e discriminazioni. Il sentirsi accettate da una comunità è basilare, e non è un problema prettamente femminista. In realtà è proprio della nostra cultura che ci induce a credere che “se gli/le altri/e non ti accettano è perché tu sei sbagliat*, non conforme, fuori dalle righe”… quindi bisogna correre ai ripari, omologarsi, scendere a compromessi… altrimenti la pena è l’esiliazione. Sembra un ragionamento infantile, ma è molto radicato tra i giovani e meno giovani. La cultura del branco, dove "il tutti per uno, uno per tutto" è il motto principale, dove c’è poco spazio per l’individualismo, è una delle causa della difficoltà di vedersi con i proprio occhi.
d) i ruoli familiari vengono mantenuti perché non è fornita a nessuna donna un’identità altra. Noi donne siamo sempre messe di fronte ad un bivio: “santa o puttana” “ragazza per bene o ragazza per male” ed ecc… se non rientri in una automaticamente rientri nell’altra, perché le sfumature non esistono. Non esistono, o meglio, non sono pubblicizzati altri modi di essere donna. E dato che l’identità è importante per qualunque individuo, le donne per secoli hanno dovuto crearsela nei pochi ambiti a loro concessi. Inoltre non parlerei di “forme sostitutive di potere” dato che la famiglia resta patriarcale e anche se la donna ne ha le redini, tale "potere" non le è riconosciuto. Và inoltre ricordato che la donna è anche il soggetto, insieme ai /alle bambin*, più debole come dimostrano le numerose notizie di molestie, massacri, omicidi ed ecc che quotidianamente leggiamo.
e) il bisogno di “sorellanza” (così mi piace chiamarla) è ricercato da tutte le donne che hanno voglia di cambiare le cose, che hanno capito che così non va e non è mai andato bene. Il problema è che spesso riproduciamo metodi/linguaggi/pratiche machiste, di tipo gerarchico che ci allontanano. E in tal senso mi riferisco a certe femministe che dopo gli anni 70, presa popolarità e ruoli ufficiali, hanno iniziato a dare meno voce alle altre donne per un tornaconto personale. Ma anche nel quotidiano le donne trovano difficoltà nel parlarsi, confidarsi le paure e i dubbi. I gruppi di autocoscienza sono stati un’esperienza bellissima per chi li ha vissuti, ma ahimè, se ne è un po’ persa l’abitudine. Personalmente li recupererei, continuerei quel percorso di dialogo che non serviva solo a sfogarsi, a prendere coscienza di sé e di ciò che ci circonda con occhi nuovi, ma soprattutto a creare legami, affetti e reti di sorellanza che sono alla base di una qualunque rivoluzione. Se dobbiamo cambiare questo sporco mondo, prima di tutto parliamoci.
Voi cosa ne pensate?
sono d’accordo soprattutto sul bisogno di sorellanza e sui gruppi di autocoscienza che andrebbero senz’altro recuperati…rispondo a Barbara: riunione della segreteria del mio partito, segreteria composta da sette persone di cui 5 donne…ma io mi sento terribilmente sola e sono molto più vicina al segretario che è uno splendido ragazzo gay….tristezza…
rispecchia il mio umore dopo la riunione politica di ieri sera, dove su 25 presenti 4 erano donne: 1 era donna solo fuori e 2 non hanno mai aperto bocca.
Mi piacciono molto questi spunti di riflessione che riportano la discussione anche sul tema della relazione tra donne. Io penso che l’autocoscienza e la condivisione di idee ed esperienze attraverso i mezzi che decidiamo utilizzare sia una grande ricchezza. Attraverso il supporto e la stima delle persone con cui creiamo una relazione “liberata” da sciocchi giudizi e pesanti stereotipi possiamo trovare la forza di esistere, così come ci immaginiamo. E mentre tanti pestano i piedi in terra per la rabbia noi voliamo alto!
Bel articolo, grazie Melandri.
lo posto nel faccia da libro con riferimento alla melandri.