Vi avevamo detto che il nuovo libro di Sandrone Dazieri, "La bellezza è un malinteso", ci era piaciuto. E vi avevamo detto anche che ne avremmo scritto di più con l’aiuto dell’autore.
Questa è una chiacchierata tra lui e una di noi. Quello che è venuto fuori è una splendida discussione su noi, la cultura, il compito che la cultura dovrebbe avere in questo pessimo presente. Ci ha regalato stimoli, pensieri, idee e quel modo autenticamente rispettoso di discutere tra uomini e donne che raramente vediamo rappresentato da qualche parte. Lo ringraziamo di nuovo. Assai. Buona lettura!
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A noi sicule il libro è piaciuto tanto. Ne abbiamo parlato. Ti dico perciò quali sono state le suggestioni di
tutte e mi servo di quelle per chiederti un po’ di cose. 🙂
Il personaggio di Sandrone Dazieri è asimmetrico,
c’è una contraddizione che personalmente me lo ha sempre fatto amare. Da un
lato è un essere umano come tutti, dotato di buon senso, intelligente il
giusto, con le paure che hanno in tanti. Dall’altro è disobbediente,
trasgressivo, di una follia che si rifiuta di essere addomesticata. Il dottor
jekill e mister hide che lo caratterizza non è mai machista, nel senso che non
c’è il buono che ama le donne e il cattivo che le stupra di notte. Possiamo definirlo un personaggio doppio antisessista?
Diciamo
che mentre il Gorilla, cioè il mio alter ego si pone la questione, il Socio è
scevro da questi ragionamenti. E’ molto più animalesco, ma nel suo essere
animale è estremamente paritario: non aggredisce se non è aggredito o deve
difendersi, rispetta istintivamente lo spazio altrui e l’altrui differenza: non
giudica e non impone. Il Gorilla, viceversa, giudica molto, ma è altrettanto
non impositivo. Alla fine sono entrambi antisessisti, ma ci arrivano per vie
differenti.
Nel libro c’è la descrizione di questa intimità con
la moglie e c’è la descrizione della paura di perderla, che si faccia male o
che qualcuno le faccia del male. Accade raramente vedere descritta da un
narratore questa preoccupazione senza vedere minimamente trapelare quel tanto
di paternalista che mette le donne a fare le fanciulle indifese e i cavalieri a
fare i tutori della vergine. E’ un sentimento autentico, così come lo provo io
nei confronti del mio compagno. Hai voglia di scriverci due righe che parlino
di relazione privata tra i sessi in questo tempo atroce in cui le donne vengono
svendute come accessori decorativi per uomini di potere?
Bé,
piu’ che scriverci due righe ho scritto tutto il romanzo. E’ la spinta iniziale
che mi ha portato a scrivere un romanzo dove i personaggi femminili sono
sostanzialmente maltrattati, ma, allo stesso tempo, resistenti. E mi sembrava
simbolico di un’epoca e di un paese dove, come non mai, come non ricordo
nemmeno nella mia infanzia, le donne sono tornate oggetto di scambio e
compravendita. Siamo passati dalla lotta femminista e dal mettersi in
discussione maschile degli anni Settanta (che prendeva e coinvolgeva anche chi
non militava a sinistra) all’ironia sulle donne degli Anni Ottanta, che sdoganò
nuovamente ruoli come le maggiorate televisive, sino alla perdita dell’ironia
dei nostri tempi e la perdita di qualsiasi remora alla mercificazione.
Intendiamoci, non sono un moralista. Credo che una donna, se sceglie di
vendersi, possa farlo e debba farlo liberamente. Ma, appunto, di scelta deve
trattarsi e non di modello unico dominante. Quello che mi colpisce maggiormente
è la rimozione della questione “differenza” tra le nuove generazioni. Partecipo
a liste culturali su internet, frequentati da giovani anche di estrema
sinistra. Una volta mi presi del matto perché cercai di argomentare che la
donna è l’ultima responsabile del proprio corpo, e che il compagno non può
imporre nessuna scelta in merito di gravidanza o aborto. La posizione base era:
si decide al cinquanta per cento. E io dicevo: scusate, il corpo non è vostro.
Ma non mi capivano (e neanche le ragazze della lista). E qui ho cominciato a
preoccuparmi. Per non parlare del fatto che all’interno delle coppie non si
ragiona più sulle “modalità” di coppia. Quando ero giovane si sperimentava. Si
diceva: vediamo che succede. Coppia aperta, comune, si andava a cercare di
capire come si potesse essere liberi all’interno di una relazione d’amore.
Adesso sembra che il modello dei nostri nonni sia tornato l’unico possibile.
Poi, certo, alcuni dei passi avanti che si sono fatti non sono scomparsi del
tutto. Le donne sono comunque più libere e indipendenti rispetto alla mia
infanzia. Ma la condizione sul lavoro, per esempio, è terrificante. Mia moglie,
per esempio, è iperqualificata (tre lauree, dieci anni di esperienza nel suo
paese, master in Italia, quattro lingue), ma non trova lavoro perché è in età
fertile e, per di più, immigrata. Non le rispondono nemmeno quando manda i
curriculum. Meditiamo di andarcene anche per questo da questo paese.
Una curiosità: la betty di cui parli è betty boop? Betty page? E’ il nomignolo che si sono date le militanti femministe del sexyshock
di bologna?
Betty
Boop è il simbolo di Francesca, l’assistente del Gorilla, quello che appare
quando si collega via Skype. Per lo meno, lo era in una versione e nella mia
testa lo è ancora. Betty Boop la conosco da anni come un simbolo di alcuni
movimenti femministi e femminili, ma non saprei collocarla.
Il senso di giustizia di Dazieri prescinde dalla
legalità (cos’è l’effrazione di una banca di fronte alla fondazione di una
banca…?). Nella nostra italia che se la prende con poveri diavoli, immigrati,
disoccupati, oppositori critici, dissenzienti, writers, cosa pensi dovrebbe
fare un Sandrone Dazieri?
Il
Sandrone Dazieri vero va in giro a parlare, presta la sua faccia e il suo nome
per le iniziative politiche che ritiene meritevoli, scrive. Poi, certo,
potrebbe fare di più.
Le donne psichiatrizzate: ultimamente tante
inchieste di giornaletti a tiratura nazionale hanno a che fare con la stranezza
degli emo, di chi si veste strano, e a Milano soprattutto, per quello che
leggiamo, c’è una sorta di crociata (dal corriere della sera a lucignolo di
italia uno) contro le ragazzine che non vestono con decoro, non rispondono
garbatamente e non sono dedite agli studi di educazione domestica. Tutto il tuo romanzo, a partire dal suo personaggio
principale, fino ad arrivare alla misteriosa protagonista femminile, è
attraversato da questa opposizione alla normalizzazione, all’omologazione. Diventa ribellione positiva, costruzione di personaggi infinitamente migliori
di tutti gli altri. Tuttavia li chiami matti ("noi matti che dobbiamo
sopravvivere nel mondo dei normali"). Lo sono davvero?
Solo
il Gorilla può chiamarli così, come un afroamericano può dire nigger e non gli
altri. La questione base è che io non credo che esistano i matti, se non come
definizione sociale, come stigma. Esistono, invece, persone che stanno male, e
stanno ancora più male quando vengono internate e altrettanto male quando
vengono abbandonate a se stesse. Questa società produce disagio, bisogna sempre
ricordarselo. Poi il disagio e la non omologazione fanno parte del mio passato
e del mio presente. Anche se adesso ho spesso la giacca e non dormo quasi più
nelle case occupate, continuo a rimanere un corpo estraneo ovunque mi metti. Ma
va bene così, così ho materia di scrittura.
C’è una battuta che non è piaciuta alla mia amica: Dazieri parla di sua moglie e dice "è più come trovarsi al cospetto
di un vaso ming preziosissimo, e sapere di esserne l’unico proprietario". E’ un non politically correct? Una sincera descrizione di appartenenza?
Quando
l’ho scritta mi sono reso conto che non era politically correct, ed è per
questo che l’ho lasciata. Non volevo fare un personaggio perfetto, è pur sempre
un maschietto. Però, conoscendolo, so che possiede tanto quanto si sente
posseduto, e che in questo possesso lascia la totale libertà alla sua compagna.
Poi litiga e rompe i coglioni, ci mancherebbe!
I personaggi femminili: sono quasi tutti in un modo
o nell’altro dei modelli positivi. La segretaria di Dazieri, efficiente,
intuitiva, intelligente e braverrima. La moglie, la compagna dell’amico di Dazieri, la dottoressa, Elena e perfino la madre nonostante sia vittima e
carnefice e sembri una di quelle venditrici di pentole di retequattro ha
comunque una sua storia (c’è un motivo particolare per cui le madri, quella di
elena e quella di claudia sono personaggi vigliacchi, succubi?). Queste donne in ogni caso non sono mai passive, reagiscono,
partecipano, determinano, perfino quando sono rincoglionite dai sedativi. Rispetto al triste panorama di pessime rappresentazioni del mondo femminile
la carrellata di personaggi che presenti è una boccata d’ossigeno. Perciò
grazie.
Prego.
Sono le donne che frequento, non è che me le sono inventate. Poi la mamma di
Elena secondo me non era vigliacca, era ignorante. Alla fine, le voleva bene
alla figlia. La teneva in casa e la rincoglioniva, ma mai l’avrebbe fatta
rinchiudere. L’altra, invece, è una vittima. Una vera vittima. Del marito,
prima di tutto. Poi del suo ceto.
Ho trovato splendido il fatto di vedere dissacrati
dei miti. Martoriare l’immagine dei Beatles è fantastico. La sovversione
comunicativa operata sui miti non è cosa da poco. E’ un espediente narrativo che
ci insegna, a noi che ci occupiamo anche di campagne di comunicazione
femminista, uno stratagemma utile. Quindi grazie anche per questo spunto. Lo
useremo. Se hai dei suggerimenti sono più che graditi. 🙂
Chiedete
e vi sarà dato (con la calma che mi contraddistingue).
Un’altra illuminazione l’abbiamo avuta leggendo di Dazieri che vedendo Twilight fa il tifo per i vampiri cattivi. 🙂
Sempre!
Arriviamo all’ultima suggestione: l’ironia su quelle
che chiami consorelle (la sorellanza! – la rete delle superdonne! – betty la
maestrina) :D. Mentre sdrammatizzi elenchi i dati delle vittime di violenza
maschile in italia, descrivi il gruppo che si occupa di violenza sulle donne
come una specie di organizzazione segreta che non può contare su niente e su
nessuno. Non una legge, una forma di tutela "istituzionalizzata". Sono donne che si autorganizzano senza chiedere niente a nessuno, per salvare
la vita alle donne. Quando la descrizione delle tante forme di violenza si
conclude con quella forse più orrenda, se ce n’è una più orrenda dell’altra,
ovvero la pedofilia, alla smitizzazione della superdonna segue la
definizione degli standard integralisti della dottoressa. Non ha pena per la
madre di claudia e non vuole mollare la sua protetta mettendo a rischio la vita della moglie del protagonista. Pensi sia davvero così? Pensi che le donne che fanno
guerra alla violenza diventano davvero un esercito della salvezza integralista?
Penso
che dovrebbero diventarlo. Abbiamo bisogno delle donne per salvarci. Poi, mai
integraliste, ma inflessibili. Non ottuse, sempre dialettiche, ma dure.
Attenzione, spesso si confonde il duro con l’ideologico, e non è questo che
intendo. Di Betty mi piace che agisce, ma non parla mai come un volantino di
Via Dogana. Quello non serve. Non serve ritirare fuori il lessico
iperpoliticizzato di quegli anni. Quello che serve, secondo me (visto che me lo
chiedi lo dico, altrimenti taccio), è che le donne diventino sostanzialmente
classe per sé oppure, come per usare un termine più alla moda, imprenditrici di
sé stesse. Autorganizzarsi in forme nuove, autonome dai maschi. La rete delle
superdonne è semplicemente una rete di autotutela, che usa forme estreme, ma
assolutamente professionali. Se hanno dei guai legali, le sorelle di Betty
hanno avvocatesse che le aiutano, se sono minacciate hanno poliziotte, guardie
private donne che le tutelano. Medici. Giudici. Psichiatri. Quello che serve
loro, a prescindere dagli uomini, per fare quello che serve. Poi se gli uomini
danno una mano, va bé, se ne può discutere. Ma chissenefrega. Gli uomini, per
Betty e le sue sorelle, sono partner amorosi e sessuali, ma non dividono con
loro il progetto del gruppo. Sono altrove, come è giusto che sia. E magari,
come faccio io, cucinano.
—>>>Sandrone Dazieri, sul suo blog, così commenta la chiacchierata fatta tra noi:
"Se parlare di femminismo oggi sembra quasi fuori dal tempo, questo
non fa che renderlo, per me, ancora più necessario e urgente. Per
questo ho colto con piacere e gratitudine l’opportunità di fare due
chiacchiere su questi temi con le sorelle di Femminismo a Sud, che
hanno a mio avviso colto meglio di altri quello che era il vero nucleo
del mio ultimo romanzo."
Grazie è molto interessante, lo leggerò certamente 🙂 ho condiviso l’intervista su altri forum.