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Donne e femminismo: I messaggi contano più dei nomi di chi li produce!

Veronica in mailing list ci segnala un video (in realtà ce n’è più d’uno dedicato al corso) di Donna Tv che ha filmato l’intervento di Laura Iammurri a proposito di Genere, costituzioni e professioni.

Il manifesto che vedete sopra è molto famoso ed è delle Guerrilla Girls. Nel video Laura Iammurri introduce il suo intervento proprio raccontando di questa banda di donne circa le quali si è detto confusamente un po’ qui (hanno anche un gruppo facebook per chi volesse seguire il movimento che ne è derivato).

Si tratta di una banda di artiste e critiche d’arte, rigorosamente anonime, che un bel giorno decisero di piazzare questo manifesto in una galleria d’arte per irrompere nel mondo artistico perennemente dominato al maschile.

Dissero che l’unico modo per entrare dentro una galleria d’arte era da donne nude e nudo è il manifesto con una decostruzione e un ribaltamento di senso che viene comunicato dalla testa di gorilla.

Quella testa sarà indossata spesso e apparirà in molte altre occasione e le guerrilla girls produrranno altre iniziative e pubblicazioni a scrittura collettiva.

Fondamentale è capire la scelta politica dell’anonimato di queste donne che si presentavano solo con pseudonimi dedicati a brave artiste che loro via via resuscitavano.

La cosa importante non era il loro nome poichè loro non agivano per mettere in evidenza le varie individualità che evidentemente costruivano socialità e crescita a prescindere dal fatto che i loro nomi fossero noti. Agivano invece per dare la priorità al messaggio, al progetto e alle iniziative che portavano avanti.

Questo modo di fare pratica politica, comunicativa e culturale collettiva ha visto anche altri esempi che fondamentalmente appartengono alla seconda metà degli anni ottanta (dagli anni ottanta in poi). Delle cyberfemministe spesso si conoscevano solo gli pseudonimi, i nickname, e il loro contributo è stato fondamentale per dare un impulso ad un nuovo modo di intendere la comunicazione e le relazioni politiche. 

In italia un esempio di movimento con un nome unico è quello di luther blisset [Leggi nota in basso] dietro al quale si nascondevano vari personaggi poi diventati altro e comunque protagonisti di cortocircuiti comunicativi che hanno disorientato, destrutturato, detournato, rimesso in discussione e che sono dunque riusciti ad usare i flussi comunicativi minandoli dall’interno.

Un esempio più femminista e attuale è invece quello delle sexyshock le cui componenti si chiamano tutte Betty (in onore alla mitica betty page o betty boop).

Stesso espediente comunicativo usa il collettivo, anche quello molto attento sulle questioni di genere, che si nasconde dietro il brand, totalmente inventato, di Serpica Naro (anagramma di san precario).

Identico esperimento è stato fatto dalla comunità che si cela dietro San Precario (simbolo delle lotte dei precari, presente nei mayday tutti gli anni) o dietro Anna Adamolo (anagramma di onda anomala), personaggio che rappresenta l’onda studentesca contro la riforma gelmini.

Più recentemente è nata la Fatina Viola (anagramma di Antifa Viola), dietro la quale ci celano più gruppi e più persone che ragionano sulla comunicazione per un antifascismo "viola".

Tra quelli che hanno prodotto libri ci sono le persone celate dietro il nome di "Ippolita" e altre dietro il nome di "Blackswift".  

E poi molto più modestamente e ironicamente ci siamo noi, FikaSicula forever, alle quali spesso viene appioppata quella o quell’altra identità da persone confuse che hanno assolutamente bisogno di schematizzare e riferirsi ai nostri contenuti in relazione a chi li esprime. 

E’ la cultura accademica del "dimmi di chi sei figlio e qual è il tuo curriculum e darò un valore alle cose che dici". Quella stessa cultura che ti fa ottenere un voto alto a scuola sulla base di una reputazione sulla quale campi di rendita (o sulla base della famiglia cui appartieni) o ti fa ottenere un voto basso perchè sei figlia di nessuno e non appartieni alla corte dei miracolati dai clan culturali egemonici.

Stiamo in giro da parecchio, sul web da qualche anno e crediamo di essere riuscite quanto meno a stabilire un punto fondamentale: non hai bisogno di essere una firma riconosciuta per essere credibile e per poter parlare di te, di noi, di cose serie, di questioni di genere, delle nostre vite e di quello che altr* scelgono di fare.

Quello che conta sta nelle parole che pronunci e nelle cose che condividi con altre sorelle che si muovono con te e indipendentemente da te, sempre più numerose, a far risuonare mille volte sul web e ovunque un concetto chiaro e forte: le donne non delegano i propri pensieri a qualcun’altra. Le donne non riproducono meccanismi di leadership al maschile. Nessun feudo, nessun dominio, nessun recinto o egemonia culturale.

Le donne non hanno paura di parlare e di dire quello che pensano neppure se immaginano di essere viste solo come "caporali" o clack d’ascolto del femminismo. Noi non siamo un esercito, un branco di militari, non deve esistere gerarchia e diamo valore a tutte le opinioni. Le donne parlano anche se sbagliano, anche se non conoscono l’abc teorico del femminismo italiano e parlano ancora perchè il femminismo è innanzitutto il "partire da se" e perchè è la comunicazione e la condivisione dei nostri pensieri che ci aiuta a crescere e a confrontarci. Il femminismo non è una "competenza accademica" ma una pratica che parte dal basso, da ciascuna di noi, e chi ha lottato dalla nascita per affermare il proprio valore e il proprio diritto ad esistere ha già una laurea a pieni voti in "femminismo" doc.

Le donne trasferiscono linguaggi, idee, saperi, memorie, storie, pratiche, metodi. Sono beni comuni come lo è la parola. Non c’è e non ci deve essere nessun copyright perchè sulla proprietà si fonda un "potere" che diventa sottrazione di ossigeno e di vita per tutte le altre. Perciò bisogna dirlo: le donne parlano e si muovono insieme, fanno rete, perchè ciascuna sola con i propri pensieri, non potrebbe essere altro che una monade solitaria. Insieme le donne diventano un virus che contamina tutto e tutti e le parole che esprimono non si fermano mai. 

Nota: a proposito di luther blisset, a dimostrazione che i percorsi di sovversione comunicativa comunque possono essere usati in più forme e da più soggetti, sfruttati perfino da gente di destra che con noi non c’entra nulla e che mai vorremmo prendere ad esempio positivo, a dimostrazione del fatto che bisogna fare SEMPRE più attenzione ai messaggi che ai nomi di chi li veicola, una compagna in mailing list, ci ricorda che il fenomeno non riguardò solo quella corrente che poi si trasformò nei Wu Ming ma leggiamo quello che ci racconta e di cui vi invitiamo a tenere conto:

"Vedo che sul blog è stato citato Luther Blisset come esperienza positiva.

Sono vicende ormai vecchie, sepolte e legate soprattutto a Bologna, ma Luther Blisset è stato un’esperienza fortemente antifemminile, antilesbica e antifemminista.

Conducevano una trasmissione radio tra le più becere e provocatorie che “compagni” abbiano mai messo in piedi, con offese continue a singole persone e collettivi di donne.

Accusavano i collettivi femministi di “differenzialismo identitario” (ossia: razzismo contro i maschi) e di “moralismo” (in seguito alla contestazione antisessista ai Lion Horse Posse).

Fatto sta che – quasi quindici anni fa – Radio K Centrale di Bologna, da cui trasmettevano, fu occupata per 24 ore da tutti i gruppi di donne e lesbiche di Bologna, per risposta e protesta.

Inoltre, alcuni di costoro – coperti dal no-name – hanno fatto a suo tempo propaganda revisionista in merito alla supposta inesistenza delle camere a gas nazi.

Oggi Luther Blisset non esiste più, nel 1999 per fortuna fecero seppuku (suicidio rituale giapponese), e solo CasaPound se ne ricorda ora come modello per le sue trovate giornalistiche."

Posted in Fem/Activism, Scritti critici.


2 Responses

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  1. Ale says

    Non so se sono proprio in topic, nel qual caso, scusatemi.

    Vorrei comunque specificare che le Accademie di belle arti sono per un 80% frequentate da donne (e quasi il 3% dei maschi rinuncia dopo il primo anno). Così per Architettura, che inizia ad essere frequentata prevalentemente da donne (se vogliamo proprio “distinguere”, ciò che odio fare). Quando poi vedi chi effettivamente è entrato nel mondo dell’arte, o comunque è riuscito a farsi strada in questi ambiti, ti rendi conto che la percentuale è inversa! Cioè, almeno l’80/90% di chi ha fatto carriera è maschio. A questo punto sorgono una serie di domande.

    Per quale motivo se dalle accademie, ma comunque da istituzioni artistiche, esce una percentuale maggiore di donne, alla fine quelle che riescono sono soltanto un 20/10 %? Come dire… non credo affatto alla mancanza di preparazione (lo so per esperienza).

    Ora, porto un caso emblematico. Ad una revisione, una donna portò alcuni progetti elaborati con programmi comuqnue non semplici con alle spalle alcuni calcoli fatti precedentemente a mano (quindi con un certo impegno nell’affrontare il progetto). Al momento della presentazione, il suo progetto non fu comunque apprezzato tanto quanto quello di alcuni uomini che avevano realizzato modelli in 3d con l’uso di un programmino semplice che non richiede calcoli particolari, anzi. Pur essendo, chiaramente, delle emerite cagate (e lo si leggeva negli occhi di alcune persone [che però non avevano proprio “coraggio” di dirlo? vedi sotto la spiegazione]). E le stesse donne erano d’accordo.

    Cosa voglio dire? Che anche noi stesse, inconsciamente, non accettiamo che qualcuna sappia lavorare in un certo modo, come fanno i maschi. Secondo me la percentuale si giustifica perché già in partenza vengono cassati i progetti delle donne, anche da altre donne, dal momento che, inconsciamente, non è possibile che una donna sappia fare le stesse cose che sa fare un uomo. Mi riferisco ai modelli mentali, di come si sia strutturata la nostra mente riguardo a certi tipologie di comportamenti e risultati degli stessi. Vale a dire, se un comportamento, come la progettazione, è stato sempre e soltanto associato al maschio, qualunque progetto che deriverà da una progettazione femminile non sarà valido tanto quanto quello maschile (pure se questo farà schifo e dentro di noi si creerà una sorta di dubbio).

    In ultimo, mi domando seriamente se, poibendo a chi cerca lavoratori e progetti, di specificare il sesso e l’età, la percentuale cambierebbe.

  2. Virginia says

    Ciao care,

    grazie per le segnalazioni sempre molto interessanti.

    Baci