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Uomini forti, emergenze, gesti responsabili

di Stefania CantatoreUdi di Napoli
 
La politica di questo paese segue una direzione ostinatamente contraria, a volte, al semplice buon senso, a tratti, alla legalità, sempre ai bisogni primari. Bisogni primari che non è qui il caso di specificare quali siano e che possono essere sintetizzati nei diritti inalienabili della persona.

Guardando ai vertici, nelle parole e nei gesti dei politici, inalienabile sembra solo l’ordine gerarchico dato: ed anche qui non vale la pena di disperdersi in spiegazioni su fatti ormai noti a tutte e tutti.
A guardare le cose da cittadine ci si chiede che fine abbia fatto il frutto nato dal contrasto tra cittadini e politica, per riassumere, il discorso sulla casta.

La risposta a questa domanda è tanto implicita quanto inquietante: il frutto è l’uomo forte, più forte dei precedenti salvatori della Patria.

Più la politica lascia degenerare i problemi, e sembra abbia interesse a lasciarli degenerare, e più i cittadini oppressi dalle emergenze sono rifugiati, più che rifugiarsi essi stessi, nell’uomo della salvezza. A destra come a sinistra.

Inutile fare nomi, inutile dire che la soluzione che la casta, incapace di autoriformarsi per definizione, ha scelto per se stessa è quella di diventare tutt’uno con l’immagine dei capi. Sono i capi che rappresentano se stessi nell’energia autoritaria e nelle “soluzioni finali”.

Nasce prima l’uomo forte o nascono prima le situazioni emergenziali che lo reclamano? Non siamo noi a dover aggiungere dietrologie alla cultura nazionale del complotto. Il complotto è fatto da uomini che possono farlo e che lo agiscono nella disponibilità contingente dei poteri, ovvero nulla che possa immediatamente essere riportato al tipo di oppressione subita dalle donne, che è ordinaria e non emergenziale. Complotti, emergenze sono le diversioni di una costruzione gerarchica data e oggi più che mai violenta perché in crisi.

La cultura del complotto, sia agito che assistito, nasconde la vera natura della realizzazione del teorema maschile che conduce al “bisogno del capo più forte”. La vera natura di quanto accade è l’esasperazione del conflitto tra la legittima aspirazione femminile a governare il presente e il futuro e la difesa del predominio maschile. 

Il governo nel terzo millennio in modo più evidente ed impudico non pratica l’ordinaria amministrazione, ovvero la prevenzione delle emergenze.

Non solo le così dette catastrofi naturali, che certo a volte lo sono, non solo nelle conseguenze del consumo dissennato e non solo nelle conseguenze della speculazione finanziaria, si delineano azioni governative sempre più assimilabili ai regimi dittatoriali, perché svincolate dalle regole cui sono sottoposti i cittadini comuni. Lo sviluppo della democrazia che deve condurre i sudditi ad essere cittadini pari tra loro, in un simile stile di governo è indesiderabile, o meglio, indesiderabile come sempre per il governo.

Il rapporto esistente tra la quotidianità delle donne e la dimensione pubblica rivela molto più della semplice incapacità a governate: rivela la necessità dello stato di continua emergenza. Sarebbe altrimenti inspiegabile lo stato di clandestinità e invisibilità nelle quali si compiono gesti necessari.
Sono i gesti che normalmente le donne compiono in quel territorio detto lavoro di cura, quel lavoro gratuito e volontario, ma senza il quale tutto si ferma.

L’importanza di quei gesti, nient’affatto automatici ma compiuti per scelta responsabile, è ben presente a tutti. Il fatto che questa sfera non occupi alcuno spazio nella distribuzione del prestigio e della rilevanza politica risponde evidentemente all’esigenza di distrarre le risorse dai bisogni primari.

C’è però un aspetto più decisivo per l’occultamento del lavoro di cura: i gesti responsabili delle donne sono la contraddizione quotidiana degli stili di governo, delle emergenze, della “necessità dell’uomo forte”, perché risolvono e prevengono.

Lo sguardo esterno sull’emergenza successiva al terremoto de L’Aquila, privo del dolore e lutto subìto direttamente, ha rivelato, come sempre, l’impossibilità di far convivere responsabilità femminile e gestione autoritaria delle emergenze.

La televisione ed i giornali ci hanno rimandato la realtà (non importa se rappresentata o semplicemente documentata) di donne, più che immobili, immobilizzate, paralizzate, certo dal dolore nelle prime ore, ma successivamente dall’irregimentazione dei gesti più naturali del provvedere a sé “nello spazio possibile”. Nulla lasciato all’intelligenza e alla riorganizzazione personale.
 
Anche nel potere ognuna rintraccia continuamente il segno dello stemperamento dei gesti femminili “sul prestigio del capo”, così come risulta stemperato sulle donne il disdoro della gestione politica, più che mai nelle mani forti del capo.

Può altrettanto essere rintracciata, nella politica, la necessità che i gesti delle donne vengano rinominati: perché la capacità di governare da donne è un fatto, e può essere liberata dal disdoro della direzione ordinariamente maschile, che ha aspetto e sostanza analoghi a quel che vediamo relativamente alle violenze sessuate.
 
Non si tratta di proporre, per le regionali del marzo 2010, una campagna eroica quanto inutile del genere “donna vota donna” ma di rinominare e rendere pubblico il sostegno della presenza possibile delle donne nelle assemblee elettive. Le donne che portarono la lettera scarlatta dell’UDI nelle precedenti tornate elettorali, segnalavano di non essere estranee, ma di essere tenute estranee al potere.

Ciò nonostante alcune donne sono nelle istituzioni, se pure marcate dalla benevolenza dei capi, se pure nell’invisibilità del contributo delle elettrici, se pure nell’iniquità del sistema elettorale.
Le leggi regionali, anche per effetto del rifiuto delle quote simboliche pronunciato con 50e50 (la legge nazionale d’iniziativa popolare dell’UDI) configurano in alcune realtà un quadro diverso da quello nazionale nelle elezioni dei rappresentanti, qui è possibile rinominare, se pure ad alti costi, l’elezione di donne “nonostante i capi”. Se dovesse continuare a prevalere l’indifferenza all’elezione o no di donne nelle assemblee elettive, la conferma all’uomo forte otterrebbe ulteriori e drammatiche conferme.    
 
Tutto delinea una prospettiva che pare indispensabile affrontare, e si tratta della probabilità, non troppo lontana, che i poteri per la loro conflittualità interna si rendano incapaci di interpretare qualsiasi credibilità pubblica, non solo per le donne intese come soggetto politico, ma anche per un gran numero di cittadini “disimpegnati” o “accordati col sistema”. Una svolta autoritaria concreta, non retoricamente pronunciata come è stato finora, può emergere per autoinvestitura. Le donne sicuramente costituiscono l’unica alternativa.
 
È nella necessità di affrontare questo momento politico che la soggettività politica del femminismo ha l’opportunità di indirizzare gesti responsabili rivelatori, in netta opposizione alla gestione irresponsabile ed ordinaria dei vertici. Si tratta di parole che possono essere pronunciate, di gesti che è possibile fare.

Posted in Fem/Activism, Pensatoio.