di Feminoska
Quando
ero una ragazzina, ancora lontana dalla pratica femminista ma già vicina a
quella animalista, ricordo che mi faceva molto ridere un adesivo che recitava “Se vi piace sparare agli uccelli, sparate al vostro” e sotto mostrava la
vignetta di un cacciatore dall’aria inebetita e dagli zebedei fumanti. Oggi
pensare alla caccia mi fa ridere molto, molto meno, dal momento che leggo, su
Repubblica, un articolo in cui si spiega che ieri è stato votato un emendamento
che dà alle regioni libertà di deroga per uccelli ed altre specie, che potranno
così essere cacciate in ogni momento dell’anno.
Lo
stesso articolo ricorda, a chi non lo sapesse, che “sull’Italia pende un pesante contenzioso con l’Unione
europea per la violazione delle direttive in materia venatoria: negli anni
passati la quantità e la misura delle deroghe è stata tale da configurare,
secondo Bruxelles, una violazione netta dello spirito della legge a difesa
della fauna e, in particolare, degli uccelli migratori.”
Ripenso
con rabbia al referendum sulla caccia, perso per colpa del quorum non
raggiunto, e mai più riproposto (a proposito, qualcun* sa perché?); e ad un bel
pomeriggio di settembre passato a casa di amici in campagna e all’improvviso
apparire sul loro terreno – non recintato – di un losco figuro che sparava a
destra e manca, e la loro furia e impotenza per non poterlo cacciare (sapevate
che l’art. 842 del Codice civile autorizza i cacciatori a non rispettare una
proprietà privata nell’esercizio del loro sanguinario passatempo?).
Ed
ecco che, nell’anno della biodiversità, l’Italia continua a dimostrare di
essere un feudo, governato da poche potenti lobby col silenzio assenso dei più:
questa è l’ennesima dimostrazione del degrado di un paese allo sfascio, che
disconosce il volere popolare e pratica una democrazia di nome e non di fatto.
Infatti
non si capisce come sia possibile presentare leggi – perlopiù peggiorative – che
trovano il favore solamente del 6 per cento dei votanti! Quanti sono i
cacciatori in Italia? Lo sapete, ve lo siete mai chiesto? Sono valutati
all’incirca in 700.000 unità. Queste 700.000 unità però, tengono in scacco il
Parlamento, a quanto è dato capire.
Vi
chiederete cosa tutto questo c’entri con il femminismo: rispondo che, a parer
mio, è ora che sia chiara ed evidente la connessione tra le diverse forme di violenza
e dominio insite in una maniera di porsi maschile che ha bisogno di misurare la
sua potenza sulla quantità di dolore e morte che riesce a procurare.
Una
fervente ecofemminista, Carol Adams, afferma a questo proposito che
“La
barriera umano/animale, che toglie a questi ultimi dignità e rispetto e li
tratta alla stregua di “cose” è una forma di assoggettamento patriarcale”- che
le donne conoscono molto bene peraltro, dal momento che per molto tempo sono
state e purtroppo in certi casi sono ancora legate e osteggiate nel controllo
della propria corporeità (come tuttora avviene, in maniera brutale, con gli animali).
“Per
abbatterla, è necessario in primo luogo riconoscere questo suo carattere e,
successivamente, adoperarsi per il superamento della società maschilista.”
E
ancora: “L’identità maschile si è progressivamente costruita, nella nostra
cultura, attraverso l’alimentazione carnea e il controllo su altri corpi, che
si trattasse di donne o di animali. “Uomo”, che generalmente nella cultura
occidentale si traduce con “uomo bianco”, si costituisce come concetto e come
identità sessuale solo attraverso la negazione. “Non donna”, “non animale”,
“non di colore”… cioè, “non altro”. Inoltre, la biologia maschilista ha spesso
difeso la supremazia maschile facendo appello alle leggi di natura: il maschio
domina la sua femmina perché è ciò che la natura impone (salvo poi infastidirsi
quando lo si classifica come animale). “Essere uomo” è legato ad una identità,
definita da cosa i “veri uomini” possono e non possono fare. I “veri uomini”
non si vestono di rosa, i “veri uomini” vanno a caccia. È interessante notare
quanti insulti omofobici vengono lanciati dai cacciatori agli attivisti anti
caccia di sesso maschile.”
E’
innegabile che la caccia sia praticata prevalentemente da uomini: l’ecofemminismo
a questo proposito ha sottolineato spesse volte la differenza tra il senso di interconnessione
con il vivente e la capacità e il piacere di entrare in relazione (di vita)
dell’etica femminile, e la supposta interconnessione dichiarata dai cacciatori
quando affermano di cercare quella sorta di “ritorno alla natura” attraverso la
caccia: un ritorno però, basato sull’infliggere morte ad un altro essere
vivente… sicuramente non il miglior modo di “condividere il flusso della vita”!
La ricostruzione femminista della natura
umana include l’esame del modo in cui, in quanto umani, interagiamo con il
mondo non umano. I diritti degli animali per questo motivo non sono antiumani:
sono antipatriarcali. Se il modello di umanità fosse femminile e vegetariano
piuttosto che maschile e carnivoro, allora la nostra idea di natura umana
sarebbe profondamente rimessa in causa. Gli animali sarebbero considerati simili,
a noi legati, e non prede, o
modelli sperimentali, o macchine animate: noi stessi ci vedremmo come
radicalmente legati a questi parenti e non come dei predatori, o
sperimentatori, o padroni.
Viviamo
in una cultura violenta, questo ne è l’ennesimo tragico esempio. La violenza e
il divorante desiderio di potere e dominio sono in generale, prerogativa
prevalente del sesso maschile – con purtroppo, sempre più numerose eccezioni
– e vittime di questa smania
distruttiva sono spesso le donne, gli animali e la natura. Come primo atto
utile ad uscirne, diamo un nome alla violenza alla quale assistiamo o della
quale siamo vittime. L’assassinio di una donna non è un omicidio, ma un femminicidio.
E quello degli animali e dell’ambiente, che ad oggi non si è meritato nemmeno
un nome? Forse un biocidio?
La
caccia, come forma di potere assoluto di vita e di morte, volontà di dominio, sopraffazione,
divertimento che nasce dalla sofferenza e dal dolore “altro”, è praticata dagli
uomini in diverse forme: alcuni cacciano gli animali, molti considerano le
donne prede. E tutto ciò ci
riguarda, perché il sessismo, il razzismo e lo specismo hanno una radice comune
nella cultura in cui siamo immerse, in quella logica maschilista e patriarcale
che vede le donne, così come gli animali e la natura, come oggetti da
manipolare e tenere sotto il controllo di un unico, “virile” PADRONE.
—>>>Segnalo un appello pubblicato su Repubblica alla quale mandare mail e foto del rapporto che si vorrebbe con la natura.
C’è sempre tempo a rivedere le proprie posizioni carnivore;-)In ogni caso, adesso si parla di tradizione ogni volta che si vuole difendere l’indifendibile – ad esempio, la corrida, oltre alla caccia.
Io aborro le tradizioni di morte e di oppressione, sugli animali come sugli uomini. Tanto per dire, da femminista, anche per le mutilazioni genitali femminili si parla di tradizione! I cacciatori non hanno senso di esistere nel 2010, in Italia: cercano di difendere i loro interessi facendo dichiarazioni ridicole, come quando dicono di essere “ambientalisti”… amare la natura così tanto da ucciderla – come le donne, vedi che il paragone calza a pennello? – da scempiare i boschi e i prati con bossoli, cartucce, uccidere animali allevati per quello, o come dicevi tu animali troppo piccoli per essere perfino mangiati, animali con prole… e poi da quando è uno “sport” uccidere?
Io ricordo da piccola, un laghetto in cui veniva praticata la pesca “sportiva”, ricordo i pesci pecati e abbandonati sulla riva a morire, inutili. Il rispetto della vita per alcune persone non è nulla, vista la facilità con cui la tolgono… e il nostro governo segue la stessa linea, e non solo con gli animali! Ce ne rendiamo conto?
Guarda, io sono carnivora convinta. Nulla è più lontano da me di certe posizioni animaliste. Però da piccola vivevo in campagna e verso gli animali cure e rispetto non mancavano mai. Non per ragioni “etiche”, ma perché erano di fatto investimenti per il futuro (se ti moriva il maiale d’inverno non mangiavi). Per questo non sono del tutto contraria alla caccia “a scopo alimentare”. Ma la caccia oggi è “sport” e serve ad uccidere anche animali insignificanti dal punto di vista alimentare. E sinceraramente trovo assurdo allevare 9 mesi un fagiano per poi lasciarlo libero tre mesi per farlo impallinare.
Ma, lasciando da parte la mia posizione personale, ho parlato dell’argomento a casa mia. E sono arrivata alla conclusione che oltre al machismo (e dalla mia posizione direi più che del machismo), la caccia sia riconosciuta come rappresentazione di una tradizione. E come tante tradizioni considerata da difendere a priori, al di là dei giudizi di inutilità ed idiozia.
Non considero per questo la cosa con minore gravità, visto i polveroni che da alcuni anni sta sollevando questa difesa delle tradizioni. Di cui io mi sono abbondantemente rotta le scatole. E non credo sia un caso che questa “difesa” abbia a che fare con il maschilismo, il fascismo, il razzismo.
Mi sa che su questo prima o poi mi tocca postare qualcosa sul mio blog…
La caccia è proprio uno “sport” da primitivi… giocare a fare la guerra ammazzando i più deboli… vi consiglio http://www.donneanimali.org/ e http://www.laboratorioantispecista.org/…antinati