[Foto di Rylie Rasler]
di Feminoska
Immersa mio malgrado nella
frenesia del regalo natalizio, mi ritrovo di fronte una commessa della specie
che più aborro, quella che ti chiama continuamente “Signora” anche se l’aspetto
della signora proprio non ce l’hai, salvo poi trattarti come una demente
declinando in mille toni – spesso di scherno – quell’epiteto falsamente
ossequioso.
Nell’attesa mi immergo nella
riflessione linguistica stimolata da tale epiteto: “Signora”, titolo di
rispetto che in origine meritavano solo le donne sposate, come a ribadire
ancora una volta che, senza l’eterna ombra del maschio di fianco, valiamo proprio poco.
Sopporto, anche se vorrei dirle
che può piantarla di trattarmi da principessa sul pisello e cominciare a
rivolgersi a me come essere umano, e la osservo nel suo tentativo continuo di
creare “alleanze tra serve”: mi riferisco a quei luoghi comuni che rifiuto di
sopportare ancora, e sommamente rifiuto quando le parole provengono dalle
donne. Lei, d’un tratto, si gira verso di me e un’altra “Signora” e sbotta:”
ieri mio marito era a casa, mentre io ero qui a lavorare: così ha dovuto
mettere in ordine, passare l’aspirapolvere, e quando sono tornata mi ha detto
di aver capito come mai la sera sono sempre così stanca e sclerata!”
La “Signora” di fianco a me
annuisce sorridendo e parte con la manfrina di rinforzo a questa minestra
scaldata della normalità del doppio lavoro femminile – che purtroppo a volte
contiene così tanto di auto celebrativo, di auto martirizzante – dando ancora
più rilevanza a quanto il termine “Signora” sia vuoto di significato. Io
resisto, fino a che la commessa posa insistentemente lo sguardo su di me che
alla fine non ce la faccio più e in tono neutro proclamo: “Beh, io le cose le
ho messe in chiaro subito: o ci si divide il lavoro in casa al 50%, o ognuno
resta a casa sua”.
Lei risponde al volo, come se se
lo aspettasse, con il tono riservato alla più grande delle imbecilli: “ma sa
“Signora”, mio marito lavora dalle 7 del mattino alle 8 di sera, anche volesse
non potrebbe proprio farcela.”
Aridaje. Ci sono cascata di
nuovo. Perché ci sono donne, e ne sono convinta, che si crogiolano in questo
ruolo auto commiserante. Si vede che in fondo hanno bisogno di credersi Wonder
Woman sotto mentite spoglie, sono quelle del “Sono carica di lavoro come un
mulo, ma se mi dici che vuoi darmi una mano ti dico di no, perché nessuno fa le
cose meglio di me”.
Ora… sarebbe valso qualcosa dirle
che il mio compagno lavora in un centro commerciale e per via del ruolo che
ricopre e della esecrabile politica aziendale lavora 6 giorni su sette,
praticamente sempre di domenica, dalle 8 alle 10 ore tutti i giorni?
Perché questa santificazione del
martirio, mi chiedo? A me l’automartirio fa più incazzare che altro. Ho visto
mia madre compierlo tutta la vita, ma questo non ha avuto l’effetto
dell’imprinting su di me, al contrario. Mi fa una rabbia che non si può nemmeno
descrivere, tanto è grande.
Odio Cenerentola, la colf dello
status quo. Odio Biancaneve, la badante dei sette nani. Odio la bella
addormentata nel bosco, che se ne sta lì in coma ad aspettare la figura
maschile che la risvegli o le stacchi la spina.
E massimamente odio che
Cenerentola canti con gli uccellini mentre spolvera, che Biancaneve saltelli
coi coniglietti mentre relegata in casa bada a quei 7 rimbecilliti, e che la
bella addormentata stia lì a ronfare mentre la vita le passa accanto.
Cosa c’è
da cantare? Le donne sono le peggiori carceriere di se stesse, su questo non ho
più dubbi.
Arrivo a casa. Il mio compagno mi
chiede un consiglio: una collega gli ha confidato di essere stata picchiata dal
ragazzo, perché l’aveva tradito. Gli racconta che all’ospedale le hanno chiesto
se voleva sporgere denuncia, lei ha risposto che ci voleva pensare. La persona
che gliel’ha domandato ha commentato: “ Io non vi capisco.”
Lei chiede un consiglio, cosa
deve fare? Il mio compagno le dice che la violenza è sempre sbagliata e non
deve accettarla, che deve denunciare .. lei risponde che in fondo, è stata un po’ colpa sua.
Colpa sua. Perciò si merita le
botte. Colpa sua. Perciò accetta di ricevere sms in cui le si dice che forse
gliene ha date troppo poche. Colpa sua. Chissà quante ne dovrà prendere per
considerare di aver espiato il suo peccato.
Essere donne non è una colpa.
Essere libere e pretendere la propria libertà non è una colpa, o meglio lo è in
un certo sistema, in quel sistema che ci vuole sempre in colpa, sempre
prigioniere. In quel sistema che, se non metti la tua vita in mano ad un uomo,
ci vuole puttane, o zitelle, o in ogni caso “a disposizione”. Così nel caso ci
capitasse qualcosa di brutto si potrà dire che ce la siamo cercata,
comportandoci fuori dagli schemi. Questi bei rassicuranti schemi che tanto
assomigliano ad una perla avvelenata in una coppa di buon vino.
Li vedo all’opera ogni giorno.
Nelle amiche che, quando sono
fidanzate, non escono la sera se non insieme a lui, anche se sono donne adulte,
con l’unica eccezione della serata tra donne – il gineceo è permesso in alcuni
casi, meglio se la serata si svolge a casa di qualche amica … Il dramma esplode
quando lui, che è uscito da solo coi suoi amici maschi per la battuta di caccia
d’ordinanza, se la trova di fronte nello stesso locale, che si diverte mentre lui la immaginava al sicuro al pijama
party delle rincoglionite.
Nelle mogli che giustificano i
propri mariti che paiono tutti lavorare 12 ore al giorno – ma non le sfiora
l’idea che stare fuori casa 12 ore non significa lavorare 12 ore? – e si
sentono poi delle perpetue missionarie della carità, mentre la realtà è che
abdicano alla propria vita in via definitiva.
Nelle madri che cessano di
esistere quando arriva il pupo, chiamato “il piccolo tiranno” con gli occhi
intrisi d’amore e – di nuovo – autoflagellazione, e che non si chiedono se sia
giusto finire relegate in casa perché non esiste una soluzione sociale
differente al lavoro di cura obbligatorio femminile.
Sinceramente, ne ho le ovaie
piene. Non mi fregano più con queste vuote ipocrisie.
Io ho la nausea di tutto questo,
e spero di averla fatta venire anche a voi, care, carissime “Signore”.
Buon Natale.
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– Rylie Rasler
Oh, se può consolarti, la prima cosa che Cenerentola e compagne hanno fatto dopo essere state salvate dai maledetti monarchi capitalisti azzurri è stata andare in depressione e scappare con il giardinire, di sicuro!
Comunque, hai ragione su tutto. I martiri mi sono sempre stati in quel posto, e le martiri che sono contente di esserlo peggio.
Se continuiamo così, rimarremo per sempre delle servette che, o, lavorano, ma è un dettaglio…
Condivido appieno quanto stai scrivendo. La colpa, l’ho sempres scritto e detto, è delle donne, che non si ribellano. Ma bisogna pur dire che alcune di loro anche se lo fanno non ottengono grandi risultati. Io ho smesso di dare una mano a casa, perché mio fratello non lo fa. Lavoriamo entrambi, io faccio la giornalista e quindi non mi sembrava giusto che dovessi servirlo e riverirlo. A dir la verità il servilismo non mi è mai piaciuto. E’ stato difficile, a volte mia madre mette il broncio e spesso me lo fa pesare.
cara amica, hai proprio ragione.quoto tutto, sopratutto che ” le donne sono le peggiori carceriere di se stesse”.Il fatto è, che abbiamo talmente assorbito questo tipo di cultura, che anche per chi, come me, crede di essere e praticare la “cultura della parità”, poi ci cade come una pera cotta, sopratutto poi nelle feste comandate. Non è semplice, c’è bisogno di reimpostare il programma “educazione della specie umana”, magari cominciando a raccontare favole diverse ai nostri bambini.