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Storie di donne deportate

 

Riportiamo da Macerie la storia di due donne recluse nel Cie di Torino e poi deportate ‘come Stato securitario comanda’.

Bon voyage, madame

Due storie di donne recluse nel Cie di corso Brunelleschi a Torino

Zora
è una donna marocchina sui cinquant’anni, da dieci residente in
Francia. A novembre entra in Italia per far visita ad alcuni amici.
Giovedì 5 viene fermata a Novara per un semplice controllo, ma Zora non
ha i documenti con sé. Parla solo francese e arabo, e non riesce a
spiegare alla polizia la sua situazione. Condotta al Cie di Torino, ci
rimarrà quasi un mese. Non ha il coraggio di dire ai suoi figli in
Francia che si trova in prigione, si vergogna troppo. E allora fa da
sé: gli ultimi otto giorni di reclusione Zora li passa in sciopero
della fame, e solo per questo motivo viene liberata. Ufficialmente il
motivo della sua liberazione è “inidoneità sanitaria”, e questo c’è
scritto sull’ordine di allontanamento dall’Italia che i funzionari del
Centro le rilasciano, con i migliori auguri di “bon voyage madame”,
quando la portano in carrozzina fin sulla soglia del Centro, dove
finiscono i 70 euro al giorno che Zora ha fruttato loro.

Anche
Nadia è marocchina, e ha 21 anni. Hanno cercato di espellerla due
volte, ma all’areoporto ha fatto un casino tale che entrambe le volte
l’hanno dovuta riportare al Centro. E Nadia era pure incinta, al
secondo mese. Lo era prima di perdere il bambino in seguito a una
caduta nella doccia, pare. E comunque sia andata, i colpevoli sappiamo
chi sono. Pochi giorni dopo l’aborto, alle tre di notte, quattro
poliziotti (due donne e due uomini) hanno svegliato Nadia per
deportarla, portandola via in mutande, senza neanche lasciarle il tempo
di prendere le sue cose. E “bon voyage, madame”.

Posted in Anticlero/Antifa, Omicidi sociali, Storie violente.