Si chiamava Giulio e non potevo fare a meno di amarlo. Per me era tutto: il mio amico, mio marito, mio figlio, mio padre.
L’amore, quello vero, si distingue per un dettaglio: quando pensi alla persona che ami ti preoccupi che tutto vada bene, che stia in salute, che abbia una buona vita. Tutto il resto non conta.
Solo alla morte non c’è rimedio, diceva mia madre, e capii quel concetto quando lei morì perchè la morte ti separa per sempre dalle persone e in quel preciso momento ti rendi conto che tutto il resto è una cazzata.
Ti rendi conto che hai perso un sacco di tempo inutilmente, per questioni di principio, per paranoie e sciocchezze senza senso.
Sicchè ogni volta che venivano a dirmi che Giulio ne aveva combinata una delle sue chiedevo subito "Come sta? Sta bene, vero?". Giulio decisamente io lo volevo vivo: come, quando, dove e perchè non era importante.
Questo è il sentimento grave contro cui combatti mentre qualcuno ti dice che tuo figlio deve pagare per una colpa. Pensi: gli faranno del male; non starà bene; potrebbe persino morire. La paura più grande è quella della perdita e ogni lutto ritiene di avere l’esclusiva del dolore. Così non importa se altre madri hanno sofferto per un male inflitto ai propri figli e alle proprie figlie. In quel momento non vedi nessun altro se non il sangue del tuo sangue, la carne della tua carne.
Ci sono i casi in cui le donne non vedono i mariti mentre toccano le figlie. E’ difficile vedere con chiarezza quando il cuore si spacca tra un dolore e l’altro. C’è un problema di opportunità e convenienza e in quella situazione non vuoi proprio scegliere di che morte morire perchè qualunque pezzo elimini comunque muore anche una parte di te.
Poi ci sono i casi in cui i mariti provano a fare morire te e quella è la parte più semplice perchè resisti e resisti e resisti ancora finchè al dolore per la perdita sostituisci la necessità della sopravvivenza. Quei mariti li lasci se ti senti in pericolo e se tutti ti dicono che in casa, in famiglia, sei al sicuro quel pericolo non lo senti mai finchè non arriva il giorno che muori.
Ma in ogni caso è quell’amore che distrugge, qualunque sia la molla che lo spinga e lo amplifichi.
Vorrei non essermi mai innamorata. Vorrei non sentire quel dolore. Vorrei non aver sentito la necessità di difendere il mio amore. Ma ho vissuto un lutto e dovevo impedire che lui morisse per mano d’altri.
Così accadde quella notte. I carabinieri vennero a dirmi che Giulio aveva fatto una cosa grave. Mi interessava sapere se stava bene. Qualunque cosa avesse fatto, l’essenziale era saperlo vivo. Sarebbe stato lo stesso con mio marito, perchè sapete: le donne spesso non sono gelose. Se mio marito l’avessero beccato con un’altra o con un altro avrei solo voluto vederlo vivo. Per lui non era la stessa cosa. Lui mi avrebbe rimproverato di essere ancora viva e avrebbe provveduto a riparare alla mancanza.
Giulio era vivo e il problema era stabilire il rischio. Dicevano che aveva stuprato una ragazza. Io non capivo. Che vuol dire "stuprato"? Lei era ancora viva? E se era viva di che si lamentava?
L’ho vista, sapete? Era una bella ragazza. Un po’ troppo truccata effettivamente. Pensavo che Giulio avesse gusti migliori. Sua madre era come lei, avevano la stessa camminata. Suo padre stava in disparte. Si vedeva che non era a suo agio a stare dalla parte delle donne.
Ho studiato tutta la famiglia come si fa prima di una guerra. Mi interessava sapere di che armi disponessero per sperare di togliermi Giulio.
Lui invece era dispiaciuto. Mi diceva di non aver capito. Che lei lo aveva fatto cadere in trappola. Gli aveva fatto credere che ci stava e poi aveva reagito male.
"Ma che vuol dire reagito male?"
"Ma niente, si è messa a fare la pazza. Ho cercato di calmarla ma lei era una furia…"
"E tu che hai fatto?"
"Le ho dato qualche schiaffo per farla calmare. La tenevo ferma…"
"E come la tenevi ferma, cuore di mamma?"
"Con una mano sulla bocca e le braccia strette con una mano…"
"Ma perchè non l’hai lasciata andare?"
"Perchè diceva che mi avrebbe denunciato, che le stavo facendo male…"
"E allora che hai fatto?"
"Ho avuto paura, ma’. Le ho dato uno schiaffo più forte e lei è svenuta…"
"E poi che hai fatto, fijo mio?"
"Sono scappato! Avevo troppa paura ma’…"
Mentre mi diceva quelle cose sentivo fitte atroci dappertutto. Giulio l’avevo perso alla prima frase, alla prima parola e il resto l’aveva fatto quella ragazza di pessimo gusto, con il trucco eccessivo e l’abbigliamento eccentrico.
Un lutto è un lutto e si affronta male in ogni caso. Scoprire che quella cosa che hai partorito è diventato un essere debole e senza fantasia ti lacera l’anima peggio che se fosse morto davvero.
Voi non potete capire quanto è duro piangere un figlio da vivo. Perciò ho aspettato che lo destinassero ai domiciliari.
Quella mattina aveva la stessa faccia insicura. Quelli che hanno paura e che non capiscono sono i peggiori. Avrebbe sbagliato ancora perchè bisogna avere certezza di come va il mondo per stare bene sulla terra.
Avevo partorito una cosa senza empatia. Avevo cresciuto uno come tanti. Perchè io non sono mai stata niente di speciale. Ho sempre e solo saputo amare pensando alle cose essenziali.
Quella ragazza volgare, con un chilo di trucco sul viso, nascondeva le ferite di una notte di violenza e botte. E quando questo mi fu chiaro non ebbi dubbi. Mio figlio era già morto. Trafiggergli il cuore è stato un attimo.
Lui si chiamava Giulio. Era mio figlio e lo piango da morto. Lei si chiama Valeria e anche lei ora è mia figlia ed è rinata.
Mi scrive tutti i giorni e sarà lì fuori ad aspettarmi quando uscirò.
Ho imparato che le figlie e i figli per averli non è detto che bisogna partorirli. Bisogna guadagnarseli.
—>>>immagine da riotclitshave