La forza di rompere le catene e scegliere la propria felicità ha un prezzo, che ogni donna rischia di pagare quando prende in mano il timone della propria vita.
Che si tratti di scegliere di amare un uomo che odora di altri profumi o prega un altro dio, che si tratti di lasciare un uomo che soffoca le nostre aspirazioni nella tomba della quotidianità della fede che porta al dito, che si tratti di volere un figlio sapendo che quello stronzo che ci ha assunte userà quella lettera in bianco che ci ha fatto firmare stroncando la nostra carriera, che si tratti di voler diventare velina costi quel che costi, quando una donna decide e afferra in mano la propria esistenza, spesso paga un prezzo troppo alto, un surplus di sofferenza, di morte, fisica, psicologica e sociale, “in quanto donna”.
Femminicidio. La prima causa di morte per le donne nel mondo, in Italia. La prima causa di infelicità. Femminicidio: ogni pratica sociale discriminatoria o violenta, rivolta contro la donna “in quanto donna”, nel momento in cui la stessa sceglie di autodeterminarsi e di non aderire passivamente al ruolo sociale scritto per lei dalla società patriarcale (brava madre, moglie, figlia, oggetto sessuale), posto in essere col fine di annientarla fisicamente, psicologicamente, nella sua libertà e posizione sociale.
Sanaa era una di noi. Quello che ci accomuna tutte è che prima o poi, in qualche forma, ci troveremo a dover combattere, faccia a faccia con l’odio di un maschio incapace di accettare la nostra capacità di scegliere in autonomia cosa fare della nostra vita, del nostro corpo.
Noi lo sappiamo, che il resto -colore della pelle, religione, depressione, passione, disoccupazione- è solo una giustificazione apparente di questo odio, la circostanza in cui esso si manifesta, non certo la causa fondante.
Sanaa uccisa prima di tutto perché ha disobbedito a suo padre. Ha pagato con la vita. Come Irene, uccisa dal padre in agosto perché non gli piacevano le sue amicizie e le sue serate a base di eroina. Come la figlia di Giorgio Stassi, che in maggio si è vista ammazzare da suo padre il ragazzo perché non voleva che si vedessero. Come Sabrina, che in aprile ha visto il padre Pier Luigi Chiodini abbattere a sprangate il ragazzo che lui non voleva per lei davanti ai suoi occhi. Qualche nome, per non dimenticare. Perché è comodo rimuovere facce, nomi, storie di altre di noi che hanno pagato con la vita le loro scelte di libertà, o l’incapacità di liberarsi da uomini che le opprimevano.
Se è facile riconoscere il razzismo, sembra che ci sia un impegno collettivo per rimuovere l’esistenza del sessismo.Facile parlare di omicidi culturali, guerra di religione, e ignorare sistematicamente che dietro ogni donna morta per amore, o per religione, c’è un uomo che l’ha uccisa convinto che lei non avesse diritto di scegliere da sola.
E’ violenza di genere, che trova la sua causa nel mancato riconoscimento da parte dell’assassino del fatto che quella donna che ha davanti non è una sua appendice, un essere sottoposto al suo volere, ma è una Persona la cui dignità e libertà di scelta va rispettata.
Una Persona con cui mettersi in relazione, non da correggere, proteggere, educare o punire.Non importa se gli uomini dicono che ci ammazzano per amore, per vendetta, per onore, o per giustizia divina. Non importa se a chi governa fa comodo strumentalizzare queste giustificazioni per stringere la morsa del controllo sociale e portare avanti politiche securitarie.
Che lo facciano per forza di numeri, ma non con la nostra connivenza, non in nostro nome.Noi ci siamo per ribadire che la nostra vita e la nostra libertà di scelta hanno un valore assoluto, sempre. E che non ci devono essere giustificazioni per nessuno: né per il padre geloso né per il padre fondamentalista.
fede,
spero davvero – ne sono certa (biricchin@!!!) – tu non abbia xx anni e che ne abbia parecchi di più. se tu avessi tutte queste consapevolezze e questa proprietà di linguaggio in femministese a questa età ci sarebbe da gridare al miracolo.
ce ne sono tante come te o sei unica nel tuo genere? :)))
comunque grazie del tuo intervento.
a proposito della professoressa bisogna che lo diciate alla gelmini dato che afferma che chi fa politica in classe perde il posto di lavoro…
ciao
Ciao, sono una ragazza di xx anni che legge questo blog da qualche mesetto ma si decide a commentare solo oggi per pigrizia.:)
Grazie a te e all’autrice dell’articolo. A lei perchè ha trovato le parole per sfatare il mito dell’omicidio per motivi culturali, che fomenta il razzismo. L’unica “cultura” che uccide le donne è quella maschilsta, gli unici valori che ci reprimono sono maschilisti. E questa la verità che “gli italiani brava gente” non vogliono accettare, dando la colpa di volta in volta per questi delitti a albanesi/rumeni/lillipuziani, a seconda della moda del momento.
Poi, i miei maggiori ringraziamenti vanno alle FikeSicule (non so quante siete) :
perchè non vi lasciate scoraggiare da maschilisti e fasci vari;
perchè avete il coraggio di critcare con coerenza e ironia;
perchè grazie a voi ho capito che il mio posto non è quello di madre/moglie/oggetto sessuale, e che non è vero che le donne devono farsi desiderare a letto, o che vogliono solo e sempre sposarsi;
Per avermi fatto ridere gioire, piangere, arrabbiare, comprendere, perdonare, combattere;
in sostanza, perchè esistete e siete fiere di esistere.
Ok, finita la parte dei ringraziamenti strappalacrime, passiamo ai fatti concreti:
ieri la mia professoressa di religione ha parlato un po’ del delitto di Saana, naturalmente dicendo che noi cristiani non ci saremmo mai sognati di uccidere una figlia:
wow, ma allora le storie di tutte quelle ragazze assassinate da padri violenti, non sono vere, sono io che ho le allucinazioni!
Ci ha detto anche di chiedere opinioni in famiglia a proposito di questo fatto, di discuterne con i nostri genitori.
Ma io ci ho rinunciato, anche perchè il compagno di mia madre saltebbe su a dire che i rumeni sono bastardi dentro, inside (uhm, dite che dovrei informarlo del fatto che siamo tutti di razza caucasica, che italiano e romeno derivano dallo stesso ceppo linguistico e un altro paio di cosette?) e se provo a ribattere che anche noi italiani eravamo considerati ladri dalle nazioni in cui emigravamo, lui risponde che, comunque, eravamo tutti lavoratori, tranne i mafiosi ovviamente.
Avrei dovuto rispondere che, se la mafia si è dffusa ovunque, questi mafiosi non erano pochi.
Avrei dovuto rispondere che lui non li conosceva di persona, gli emigranti italiani di tantissimo tempo fa, e che noi ancora adesso abbiamo nel mondo la fama di gente pigra e sporca.
Ma, purtroppo, certe risposte brillanti mi vengono solo la sera quando ripenso al diverbio, o se sono fortunata il pomeriggio.
In ogni caso, anche se le avessi trovate subito, lui mi avrebbe zittito dicendomi che sono solo una bambina che sa ancora di latte.
Grazie per le tue parole, i tuoi contributi e la tua voce per le Donne.
Sarai subito linkata nel mio blog.