Ancora a proposito del dibattito su "il silenzio delle donne", un contributo di Floriana Lipparini tratto da Il Paese delle donne.
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Non stiamo in silenzio. E’ scomparsa quell’agorà che Hannah Arendt definiva "cittadinanza attiva".
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Mi sembra però che il dibattito innescato dall’intervento di Nadia Urbinati dia spazio a un equivoco: confonde il non esserci con il non comparire. È vero, le “nicchie” femministe non stanno sulle prime pagine dei grandi quotidiani, nei salotti televisivi e nelle news dei telegiornali. Eppure esistono, ma agli occhi del teatro mediatico non possiedono sufficiente appeal e non offrono elementi di spettacolo.
Non voglio fingere che le sparse membra di quello che un tempo è stato il movimento delle donne siano al di sopra delle critiche. Per numero e per varietà di errori non ci siamo fatte mancare niente, come del resto accade a quasi tutti i movimenti che conoscono alterne fasi fisiologiche.
Mi sembra però che il dibattito innescato dall’intervento di Nadia Urbinati dia spazio a un equivoco: confonde il non esserci con il non comparire. È vero, le “nicchie” femministe non stanno sulle prime pagine dei grandi quotidiani, nei salotti televisivi e nelle news dei telegiornali. Eppure esistono, ma agli occhi del teatro mediatico non possiedono sufficiente appeal e non offrono elementi di spettacolo.
Il femminismo non è semplificabile in uno slogan e purtroppo non basta dire “sì, noi possiamo” per attrarre nuove energie. Forse perché ci manca una leader carismatica? Ma il leaderismo politico è proprio tra i fenomeni più lucidamente criticati dal mondo femminista.
I mezzi a nostra disposizione sono le parole che nascono dalle relazioni e dalle esperienze, quelle parole che secondo quanto è stato scritto sull’Unità cerchiamo e non troviamo. Eppure, avete provato a farvi un giro su internet? Avete idea del numero di siti e di blog gestiti da donne, e della loro vivacità? Avete letto gli articoli che vi compaiono? Quelli di riflessione e quelli di attualità? Le notizie, le iniziative, gli appelli? Lavoro prezioso e gratuito, naturalmente (e questo sembrerà una pecca a chi pensa che il valore si misuri in euro). Ma anche quando queste donne chiedono espressamente spazio per far sentire all’esterno la propria voce su fatti di bruciante attualità, non trovano eco sui media ufficiali.
E questo è strano, nell’era del citizen journalism, quel modo diverso e autogestito di fare comunicazione di cui ovunque si sta riconoscendo l’importanza.
Troppo semplice, purtroppo, dire che dobbiamo tornare in piazza per contare nella realtà. Esiste ancora una realtà condivisa? Quando si dice “stare in piazza” s’intendono le piazze vere, fatte di selciato, alberi e marciapiedi, o quelle di carta dei giornali? Le videopiazze al plasma o le vetrine di affollatissimi e visitatissimi blog? Folle diverse abitano queste diverse piazze e nella maggior parte dei casi s’ignorano, non s’incrociano.
Comunque, nemmeno il ritorno in piazza garantisce alle donne di “esistere” pubblicamente, ossia di influire sulla realtà. La piazza a Roma l’abbiamo ben riempita, al primo corteo di Usciamo dal silenzio contro la violenza, qualche anno fa. Ma anche se la violenza sulle donne continua a fare vittime con impressionante frequenza, l’importanza di quell’evento ben presto è svanita senza quasi lasciare traccia e nulla ha fatto la politica per modificare nel profondo la mortifera cultura di un maschilismo che dovrebbe essere superato, e invece ci si ripresenta nelle sue peggiori espressioni.
Certo siamo poche a insistere, solitarie davanti al computer o nelle rare sedi d’incontro scampate al deserto della vita urbana, ma non credo sia questa la principale causa cui si deve una clamorosa “inesistenza pubblica”.
È troppo grande ormai il divario di potere tra chi è sul palco, dentro la scena, e chi invece sta fuori, in mezzo al pubblico, perché ancora pensa che sia giusto stare dalla parte della base. Ed è proprio sul significato da attribuire a ciò che viene definito pubblico che da un po’ di tempo noi “sopravvissute” stiamo riflettendo.
Non sono scomparse le donne in rivolta, o perlomeno non tutte, è scomparsa invece quell’agorà che Hannah Arendt definiva “cittadinanza attiva”, lo spazio dove si svolge il dibattito aperto che rompe l’anonimato della folla indistinta e permette di “esistere” influendo sulla vita della collettività. Una sfera diversa dalle aule parlamentari e dalle tribune televisive, la sfera della polis nel senso antico del termine.
Femminismo al potere? Ma di cosa parla questo simpatico anonimo meridionale? Il punto è capire la visibilità e l’invisibilità delle donne in questa società italica allo sbando e lui presenta una società in cui noi comandiamo? Questa voce maschia è emblematica. Fa capire come sia percepito da molti, nn tutti per fortuna, ma molti, il femminismo nel 2009. Orpello fuori luogo. Conquista acquisita. Reminiscenza nostalgica di signore benestanti e borghesi, o intellettuali di sinistra. Ho letto beppe grillo stasera e caso strano oggi parlavo con una coppia di amici. Dicevamo che la teoria è nulla senza la pratica, senza l’attivismo. Il femminismo funziona se la gente lo capisce, se arriva nelle scuole da quando i bambini hanno 5 anni, se nei governi non ci vanno le carfagne e le binetti, se smettiamo di mascherarci e di renderci bambole. Se pretendiamo rispetto e considerazione dai nostri uomini o dalle nostre donne. La società italiana è senza intellettuali, senza sogni. Sono un pò triste stasera, ma la mia volontà è resistere….Proviamo ad organizzarci e ad unirci. A studiare insieme. Ad arrivare a chi non sa…Un bacio a te fikasicula (da un’altra sicula..)
come ti dicevo hai frainteso.
punto primo la roccella non è e non è mai stata una femminista.
lei viene dalla chiesa e ha fatto il family day.
la binetti non è e non è mai stata femminista.
la santanchè non è femminista a meno che per femminismo non intendiamo uno strano modello evoluto della fascista del terzo millennio.
quali sarebbero dunque le femministe al potere?
e sarebbero così tante da farti addirittura dire che sono la maggioranza?
ti consiglio dunque di cercare il significato del termine femminismo. capire come è perchè ci si chiama femministe, attraverso quali percorsi, cosa si è vissuto. chi sono le cosiddette femministe al potere.
tutte quelle che conosco io non hanno nessun potere neppure nei partiti nei quali militano figuriamoci potere nel governo dello stato.
hai delle informazioni sbagliatissime e credimi so che è così.
e questa discussione non mi piace perchè c’e’ parecchia misoginia e pregiudizi nelle cose che dici. non sono critiche consapevoli.
mi piacerebbe sapere il perchè di questo accanimento altrimenti sarebbe carino tu rivolgessi altrettanto astio verso gli uomini al potere, quelli si la maggioranza assoluta non solo al governo ma ovunque comprese le nostre case.
in che senso ho frainteso?
secondo me, le donne sono ancora lontane da raggiungere una quota degna nelle stanze dei bottoni ma credo che lo scorrere degli anni risolverà questo problema. Sempre se non si demolisce ulteriormente lo Stato sociale. Dubito possano raggiungere il 50% , almeno senza spinte politiche, finchè vi sarà il “problema maternità biologica” a renderle meno competitive per una parte delle loro vita. Per il 50%, ottenuto per meriti femminili, credo si debba aspettare l’utero artificiale.
sul femminismo invece penso sia al potere. magari le femministe al potere hanno tradito gli ideali(lo saprete voi femministe antagoniste ) però se le sedicenti femministe sono presenti in tutti i partiti ad alti vertici ed hanno la gestione di risorse pubbliche.
se oggi mi dicessero, comandano più le femministe, i socialisti,i liberali, i comunisti.. direi le femministe.
di certo non posso mettermi io a sindacare il femminismo di una liberale che si dichiara femminista e nel contempo chiede di strappare risorse per meridione ed immigrati in nome dell’anti-statalismo.
o non mi metto a sindacare il femminismo di una Roccella che vota provvedimento clericali.
sarebbe come mettersi a sindacare il comunismo di qualche dittatore sovietico o il tangentismo di qualche socialista.
quelli sono parte del movimento nolenti e volenti. è un problema interno al movimento(femminista in questo caso).
poi ci sarà la femminista che sgobba e non chiede poltrone, il socialista onesto, il comunista democratico..e magari pure il fascista “brava gente”
credo che tu abbia frainteso. dopodichè vorrei ricordarti che etsi parlando di donne visibili. c’e’ tutto un mondo di femminismi e di donne che non vedi e che non sono quello di cui parli tu.
in ogni caso si tratta di nicchie. o non mi dirai che le donne sono al potere e che noi possiamo tornarcene a fare la calza, vero?
come “nicchie femministe” ?!
ma se le femministe sono di casa su tutti i giornali della Sinistra!
La DeGregorio non è femminista? Sansonetti non è femminista (per come possa esserlo un uomo)? ilManifesto non è femminista? tutte le donne del PD si dichiarano femministe.
persino nell destre si dichiarano femministe! La Roccella, la Santanchè parlano di un loro (presunto) “altro femminismo” ma non si dichiarano contro il femminismo.
in ogni grande città vi è un circolo femminista spesso finanziato dal pubblico ed ogni partito ha un dipartimento dedicato alle pari opportunità.
Tutte le candidate a destra ed a sinistra , chiedono poltrone, in nome delle donne.
boh! come fai a dire “nicchia”? a me sembra ormai piuttosto mainstream, commerciale.
a me è capitato di sentire una giovane donna politico, di famiglia molto più che benestante e con genitori liberal, con lavoro super-privilegiato rispetto ai suoi coetani lamentarsi di “NOI donne” sfruttate ed emarginate !
invece sulla agonia della cittadinanza attiva sono abbastanza d’accordo ma non idealizzerei quel che vi era prima. Da Salvemini a Berlinguer passando per Nenni, è tutto un ricordare gli interessi e le clientele che spingevano molti ad interessarsi di politica.