Condivido la bella notizie letta sul sito de Il Paese delle Donne. Una intervista di Cristina Papa alla regista Paola Sangiovanni a proposito del suo film "Ragazze la vita trema". Buona lettura!
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Il 10 settembre, nell’ambito del Festival del cinema di Venezia, sezione Giornate degli autori, verrà proiettato Ragazze la vita trema, per la regia di Paola Sangiovanni, prodotto dalla Metafilm e Fake Factory in collaborazione con Paneikon. Abbiamo intervistato la regista, Paola Sangiovanni, che ha affrontato il tema del percorso d’arrivo al femminismo a partire da contesti ed esperienze differenti attraverso il racconto di quattro donne: Alessandra Vanzi, Liliana Ingargiola, Maria Paola Fiorensoli e Marina Pivetta.
Ragazze la Vita Trema è il tuo primo lungometraggio. Alle spalle di quest’esperienza, che percorso c’è?
Sono laureata in Storia critica del cinema e il mio interesse e amore per il cinema è nata all’università. Ho cominciato a lavorare molto giovane nel cinema e ho lavorato a lungo come assistente alla regia e come segretaria di edizione e quindi ho molta esperienza di lavoro sul set. Contemporaneamente ho realizzato diversi cortometraggi, lavori di video arte, dei back stages e il mediometraggio Staffette, sul periodo della Resistenza, anche questo un lavoro che ho incentrato su voci di donne con l’intento d’arrivare dal percorso personale alla narrazione storica.
Ragazze la Vita Trema ripropone quindi l’archetipo di Staffette , ma perché scegliere questa volta il femminismo?
L’idea mi è venuta durante la post produzione di Staffette, perchè avevo elaborato un metodo durante le interviste, il rapporto che ho avuto con queste donne e siamo arrivate, nelle interviste che non ho montato, non solo degli anni della Resistenza ma anche del periodo successivo e ho avuto la necessità di continuare il discorso, d’approfondirlo. Io sono del ‘65, sono della generazione che è venuta dopo quella delle protagoniste. Negli anni in oggetto, io ero un’adolescente, ho percepito, ho sfiorato tante cose ma avevo un bisogno non solo narrativo, personale, di confrontarmi. Ma soprattutto è il presente, quello che vedo attorno, che vivo sulla mia pelle, in quanto donna, che mi interroga!
Cosa significa per te lavorare sulla memoria?
I miei non sono lavori su commissione, perciò è ovvio che ci sono anche io, come donna e come regista siccome sono molto interessata alla trasmissione di memoria soprattutto in un paese in cui la memoria è bandita, gli accadimenti storici sono rimossi ma m’interessa molto anche esprimere, più che le considerazioni, le domande e anche le sofferenze, che io in quanto donna vivo nel mondo e in questa società così strutturata. Contemporaneamente, mi interessa il punto di vista delle donne sulla storia.
In che modo la scelta di queste quattro donne risponde alla tua ricerca?
Prima di tutto rispondono, a me personalmente, fornendomi degli strumenti interpretativi del presente, per non dare per scontate le cose che vediamo intorno.
Le cose per esempio che sono state fatte in quegli anni e che hanno raggiunto dei risultati…non era per niente scontato che li raggiungessero! La cosa che m’interessava perciò non era solo parlare del femminismo di quel periodo ma partire dalle loro infanzie per capire ciò che è accaduto dopo. Capire quello che era stato elaborato dentro. Ognuna di loro ha messo in comune, spontaneamente, ciò che aveva elaborato e che è diventato un progetto politico, un desiderio, una possibilità di cambiare lo status quo.
Siccome oggi viviamo in un mondo in cui invece il corpo delle donne, così come dice Alessandra nell’introduzione di questo viaggio nella memoria, è usato da tutti e per tutto in modo osceno, lei dice esattamente questo. Il corpo delle donne è tornato oggi a essere uno strumento di cui si può fare qualunque cosa e sul quale possono passare tanti significati.
Tu ritieni chiuso quel percorso, come se fosse stato una parentesi?
No, penso proprio di no, però siamo sicuramente in una fase regressiva in cui la violenza è tornata a essere molto presente e quindi è necessario fornirsi di nuovi strumenti per leggerla, perché non è sempre così manifesta e leggibile elementarmente. Infatti uno dei temi è la violenza, in tutte le sue forme, anche in quelle apparentemente più superficiali come il vestirsi in un certo modo durante l’adolescenza, con le gonne strette e i tacchi alti, perché non è affatto superficiale il come ci si veste. Da lì passa anche il rapporto con gli uomini, con la società. Ho voluto ripercorrere le tante violenze di una società in cui ancora non esisteva il divorzio, antica per le donne.
La cosa molto bella e molto vitale è che questi racconti certe volte sembrano che siano nel presente, che stiano parlando dell’oggi, ma io non credo che sia perché le conquiste che sono state fatte non ci siano, ci sono, altrimenti la nostra società sarebbe ancora peggiore di quella che è adesso, però bisogna ricominciare a parlare e per farlo bisogna che questa memoria passi e sia una cosa viva. Le quattro protagoniste – e per inciso, il fatto che due, Maria Paola e Marina, siano della stessa associazione il Paese delle donne è fortuito, ho lavorato per due anni a questo lungometraggio, ho fatto molte interviste – non sono delle testimoni, sono portatrici di una memoria viva e tutto il documentario va in questa direzione.
Per Ragazze la Vita Trema ho utilizzato un vasto materiale di repertorio tratto da archivi varii, pubblici e privati e ringrazio le protagoniste per la generosità con la quale mi hanno messo a disposizione una parte della loro via e il loro materiale privato.
Di questo lavoro che adesso andrà a Venezia e girerà con te e senza di te, offrendosi come tutte le opere creative a sguardi diversi, cosa ti è rimasto dopo aver montato l’ultima immagine del film?
Mi ha intrigato e mi intriga la possibilità di guardare al mondo in modo diverso; questa energia, questa luce, questa necessità… mi verrebbe da dire questa disperata vitalità che la libertà si possa incarnare.
Come mai hai scelto la casa di produzione Metafilm?
La Metafilm ha già prodotto Staffette . Avevamo già lavorato bene insieme. È una produzione indipendente con tutto quel carico di fatica e di incertezza che si porta dietro fare un documentario in Italia con una produzione indipendente. Da una parte c’è un assoluto rispetto per la mia creatività e le mie proposte e il mio lavoro che ho fatto in assoluta autonomia, dall’altro c’è la fatica di dover sempre inventare dei modi di come realizzare i propri desideri con limitatezza di fondi e di spazi. Colgo l’occasione per ringraziare i miei collaboratori artistici: Nicola Moruzzi (montaggio), Giorgio Giampà (musiche originali), Eleonora Patriarca (fotografia), Marzia Cordò, Daniela Bassani e Stefano Grosso (montaggio del suono).
Ricordiamo che “Ragazze la Vita Trema” verrà proiettato al Festival di Venezia il 10 settembre, Sala Perla 2, ore 17,30.