Due interrogatori. La stessa donna. Due stupri. Il primo commesso da un romeno. Il secondo commesso da un italiano. Dato che gli stupri ora coincidono con le festività (quello di capodanno, di ferragosto…) scegliete voi quella che più vi piace come momento di questo racconto (pasqua, natale, san giuseppe, l’immacolata concezione…).
Luogo: stanza con un tavolo, due sedie. Personaggi: inquirente, denunciante. Nei dialoghi i due personaggi saranno indicati con I e D.
Primo interrogatorio
Stanza illuminata, sul tavolo: acqua, fazzolettini. Una atmosfera accogliente. Giusta temperatura, ne’ calda ne’ fredda. L’inquirente siede sullo stesso lato della denunciante. Espressione comprensiva, incoraggiante.
I – Signorina la prego si accomodi. Mi dica tutto. Vuole un po’ d’acqua? Desidera la presenza di un familiare? Una psicologa? Ha bisogno di assistenza?
D – Grazie. Un po’ d’acqua si. Mio padre mi aspetta fuori. Va bene così. Ho già parlato con la psicologa.
I – Come vuole. Se ha bisogno di qualcosa, a disposizione. Mi vuole raccontare?
D – Si. Come ho detto al suo collega… ero al parco seduta su una panchina. Leggevo un libro.
I – Certamente. Lei ha diritto di andare al parco a leggere quando vuole. Continui…
D – Stava facendo buio e io volevo finire il capitolo. Si è avvicinato un tizio.
I – Ha ragione signorina, anch’io prima di mettere da parte un libro devo almeno finire il capitolo che sto leggendo. E che ha fatto questo tizio?
D – Mi ha chiesto se avevo una sigaretta…
I – E come glielo ha chiesto: era lucido, puzzava d’alcool…?
D – No no, mi ha solo chiesto una sigaretta. Gli ho risposto che non fumo.
I – Giusto. Ottima risposta. E lui? Cosa ha fatto lui?
D – Deve aver frainteso perchè ha preso quella risposta gentile come un invito.
I – Sono sempre così, tu gli dai un dito e loro si prendono un braccio.
D – Si è seduto vicino a me e io ho provato a continuare a leggere…
I – Ha fatto bene. Ne aveva diritto. Era lui che doveva andarsene. E allora? L’ha toccata?
D – Si, mi ha messo una mano sulla spalla e io mi sono allontanata di scatto…
I – E lui? Che ha fatto lui? Mi dica tutti i particolari signorina perchè bisogna dimostrare che questo animale ha fatto quello che non doveva fare.
D – Lui mi ha trattenuta per un braccio. Mi guardava negli occhi.
I – Come, come la guardava?
D – Non saprei. Era arrabbiato. Mi ha costretta a sedermi di nuovo.
I – Costretta come. L’ha spinta? L’ha strattonata? Le ha fatto male?
D – Mi ha tirata verso di lui e poi mi ha trascinata dietro un cespuglio.
I – Non l’ha vista nessuno? Qualcuno può testimoniare? E’ solo una formalità, comunque non si preoccupi…
D – Non credo, no. C’era un signore che portava a spasso il cane ma si era fatto tardi e come le avevo detto io ero rimasta a finire il capitolo.
I – Si si, naturalmente. Non si preoccupi. Tanto a noi per inchiodarlo basta l’esame del dna.
D – Lui mi ha buttata per terra e si è messo sopra di me. Una mano tappava la mia bocca e l’altra mi toglieva le mutandine.
I – Quindi c’e’ anche l’aggressione. Quello lì dalla galera non esce più.
D – Si è slacciato i pantaloni e in un attimo mi ha allargato le gambe e mi ha stuprata.
I – Lei ha gridato? Ha chiesto aiuto? Ha lottato? Si è difesa? Stia tranquilla, sono tutte cose che verranno confermate dalle analisi medico scientifiche.
D – No. Prima mi aveva tappato la bocca e poi sono rimasta impietrita. Piangevo. Ho tentato di tenere le gambe strette ma lui era forte e ha impiegato un attimo a fare tutto.
I – Lei non lo ha graffiato? Non poteva morderlo? Non ha detto niente?
D – Lui mi teneva le mani. A morderlo non c’ho pensato e in quel momento non ho trovato niente da dire. Piangevo.
I – Ma certo, cara signorina, lei era sotto shock. Cosa avrebbe potuto dire. Lo sa che invece trovo che sia stata brava? Se reagiva avrebbe potuto rischiare la vita…
D – Io speravo solo che finisse presto.
I – Infatti. Perciò le dico che è stata brava. Lui ha finito e se ne è andato…
D – Si. Mi ha detto che ero bella. Ha finito e mi ha guardata per un attimo. Poi è andato via.
I – Come l’ha guardata? Mentre la stuprava faceva dei versi? Era animalesco? Spingeva con forza? Con molta forza?
D – Mi ha guardata senza vedermi. Come se io fossi una cosa. Mentre mi stuprava diceva delle cose nella sua lingua. Teneva gli occhi chiusi. Spingeva forte. Mi ha fatto male.
I – Un animale. Lei ha avuto la sfortuna di incontrare un animale. E’ una fortuna che sia rimasta viva. Dopo la sua denuncia abbiamo sgomberato il campo rom che c’era vicino al parco. Abbiamo preso sette uomini e quello che lei ha riconosciuto ha dei precedenti ed è già in carcere. La sua foto è su tutti i giornali. Tutti devono sapere di che mostro si tratta. Grazie signorina perchè le dimostreremo che il suo sacrificio non è stato inutile. Con la sua denuncia lei ha impedito ad altre donne di incontrare quella bestia.
La denunciante sospira. L’inquirente la rassicura ancora con lo sguardo. Sipario.
Secondo interrogatorio
Stanza buia con lampada accesa puntata sulla denunciante. Sul tavolo, niente. Temperatura alternata, troppo caldo, troppo freddo. L’inquirente siede di fronte alla denunciante. Espressione giudicante, severa, incredula, sfottente.
I – Signorina allora, riepiloghiamo per mettere tutto a verbale.
D – Avrei bisogno di bere qualcosa. Non avete un po’ d’acqua?
L’inquirente si alza di scatto. Sbuffa scocciato. Apre la porta e lancia un urlo verso un punto del corridoio. Qualcuno gli porge un bicchiere d’acqua. Lo poggia sul tavolo costringendo la denunciante a fare un movimento scomposto per riuscire a prenderlo.
I – Allora signorina. Vuole raccontare come sono andati i fatti secondo lei?
D – Si. Come ho detto al suo collega… ero al parco seduta su una panchina. Leggevo un libro.
I – E’ una imprudenza questa, lo sa signorina?
D – (China la testa. La prima sensazione è la vergogna, segue il senso di colpa.) Stava facendo buio e io volevo finire il capitolo. Si è avvicinato un tizio.
I – Ah, era anche buio e lei indugiava sulle pagine di un libro. Doppiamente pericoloso. Lei non era consapevole di quello che può succedere in un parco a quell’ora? Non li legge i giornali? Comunque mi dica, il tizio veniva proprio verso di lei o è lei che lo ha guardato come per invitarlo ad avvicinarsi?
D – Ma si che li leggo i giornali ma era solo tardo pomeriggio e io volevo soltanto leggere il mio libro. Non ho fatto niente per invogliarlo a venire da me. Si è avvicinato per chiedermi una sigaretta.
I – Lei voleva leggere il suo libro e noi siamo in servizio 24 ore su 24 per garantire a lei la libertà di farlo ma una cittadina responsabile deve collaborare. Invece sono quelle come lei che rendono difficile il nostro lavoro. Insomma lui voleva una sigaretta. Mi sembra una cosa normale, no?
D – Non saprei. Io non avevo sigarette in mano e infatti gli ho detto che non fumo.
I – Come glielo ha detto? Sorridendo? In modo eccessivamente gentile? Lo sa che non bisogna mostrarsi troppo disponibili, lo sa vero?
D – Ho risposto in maniera educata. Ho solo detto che non fumo. E’ lui che ha frainteso e che ha interpretato quella risposta come un invito.
I – Ne è sicura? Perchè sa, noi verificheremo tutto e se non ci sono testimoni per lei diventa difficile confermare la sua versione…
D – (Arrabbiata) Certo che ne sono sicura. E’ lui che ha deciso di sedersi vicino a me. Io l’ho ignorato e ho provato a continuare a leggere…
I – Ecco vede? Un’altra al suo posto si sarebbe alzata per andarsene. Non gli avrebbe permesso di pensare che lei accettava la sua compagnia. Poi dipende anche da come era vestita…
D – Io ho il diritto di stare in un parco e le panche sono a disposizione di tutti. Non potevo dirgli di andarsene. e se vuole saperlo ero vestita come ci si veste d’estate, con una maglietta e una gonna leggera.
I – Lei ha scelto di restare. Noi faremo comunque il nostro dovere ma deve capire che ci sono regole che voi dovete rispettare. La maglietta era aderente? Scollata? Lasciava intravedere il seno? La gonna era trasparente?
D – Non capisco a quali regole si riferisca. C’e’ una regola che dice che io non posso stare al parco a leggere? La maglietta era solo una maglietta, scollata come sono le magliette d’estate. La gonna era di cotone leggero.
I – Lei fa dell’ironia e questo dimostra che forse non è molto turbata per l’accaduto. L’abbigliamento è una componente fondamentale per agevolare gli stupri. Se lei per esempio avesse avuto dei jeans… Mi dica della sua biancheria intima: era visibile? Com’era fatta?
D – (Molto arrabbiata) Così se io avessi indossato i jeans lei mi avrebbe creduta e con maglietta e gonna invece no? La mia biancheria intima stava sotto i vestiti, un semplice slip e un reggiseno.
I – Faccio finta di non averla sentita. Veda di non provocare signorina, noi siamo qui per lei. Continui la sua versione dei fatti. Poi risentiremo lui.
D – Le dicevo che si è seduto vicino a me, mi ha messo una mano sulla spalla e io mi sono allontanata di scatto…
I – Forse voleva attirare la sua attenzione per chiederle l’ora? Forse è lei che ha avuto una reazione inconsulta?
D – No no, lui mi ha trattenuta per un braccio. Mi guardava negli occhi. Era arrabbiato. Mi ha costretta a sedermi di nuovo. Mi ha tirata verso di lui e poi mi ha trascinata dietro un cespuglio.
I – Non l’ha vista nessuno? Qualcuno può testimoniare per confermare la sua versione? Perchè vede, se non c’e’ nessuno che possa testimoniare è la sua parola contro la sua e lui dice che è andata in tutt’altro modo.
D – Non credo ci fosse qualcuno, no. C’era un signore che portava a spasso il cane ma si era fatto tardi e anche lui era andato via. Comunque dovrebbe bastare l’esame del dna, no?
I – E no cara signorina. Il dna non è una prova sicura. Dipende dai livelli di compatibilità, e poi bisognerà sentire il perito di parte dell’accusato. In ogni caso l’esame del dna confermerebbe soltanto che voi avete avuto un rapporto sessuale non che lui l’ha stuprata. Per quello che ne sappiamo lei può aver conosciuto questo ragazzo, le è piaciuto, si è appartata con lui e poi ha raccontato la storia dello stupro. D’altronde perchè una ragazza andrebbe sola in un parco a quell’ora se non per conoscere qualcuno?
D – (Stremata) Ma non è vero! E’ tutto come le ho detto. Lui mi ha buttata a terra e si è messo sopra di me. Una mano tappava la mia bocca e l’altra mi toglieva le mutandine.
I – Beh, anche questo va verificato. Lei è una ragazza giovane, forte, avrebbe potuto opporsi, dargli un calcio e scappare…
D – No, le dico. Lui si è slacciato i pantaloni e in un attimo mi ha allargato le gambe e mi ha stuprata.
I – Lei ha gridato? Ha chiesto aiuto? Ha lottato? Si è difesa? Le analisi medico scientifiche ci dicono che lei ha delle escoriazioni ma potrebbe aver gradito un rapporto hard…
D – (Sempre più incredula) No. Prima mi aveva tappato la bocca e poi sono rimasta impietrita. Piangevo. Ho tentato di tenere le gambe strette ma lui era forte e ha impiegato un attimo a fare tutto.
I – Lei non lo ha graffiato? Non poteva morderlo? Non ha detto proprio niente? Perchè sa, tutto ciò è veramente incredibile. Lei viene stuprata e non grida, non chiama aiuto, non lotta per difendersi, non dice niente…
D – Lui mi teneva le mani. A morderlo non c’ho pensato e in quel momento non ho trovato niente da dire. Piangevo. Ero sotto shock. Volevo solo che finisse presto. Avevo paura. Se reagivo potevo rischiare la vita.
I – E no, cara signorina, se reagiva avrebbe potuto fermarlo, scappare, invece è rimasta e in queste condizioni è un problema stabilire chi tra voi due dice la verità. Cosa è successo dopo?
D – Lui mi ha detto che ero bella, ha finito, mi ha guardata e se ne è andato.
I – Ah, le ha fatto un complimento. Come l’ha guardata? Con complicità? Intesa? Per sugellare il momento vissuto insieme?
D – Ma quale momento… e quale complimento. Mi ha guardata senza vedermi. Come si guarda un oggetto, una cosa. Mentre mi stuprava mi diceva delle cose con accento romano. Teneva gli occhi chiusi. Spingeva forte. Mi ha fatto male.
I – Signorina, abbiamo messo tutto a verbale. Dopo la sua denuncia abbiamo parlato con l’accusato. E’ cresciuto in una famiglia di persone perbene. E’ di buona famiglia. Non ci sembra proprio il tipo da fare cose del genere. Peraltro è un bel ragazzo, non avrebbe bisogno di commettere uno stupro per avere una relazione con una donna. Nel quartiere dove è cresciuto lo conoscono tutti. Vive vicino al parco e va ogni giorno a correre puntualmente alla stessa ora. Certo può essere stato un raptus, forse aveva bevuto, in particolari circostanze tutti diventiamo un po’ aggressivi. Lei è proprio sicura di voler confermare la sua versione? Lei non vuole rovinare una persona senza motivo, vero? Non è che lo conosceva e si è appostata al parco per vederlo passare e attirare la sua attenzione? In ogni caso per ora l’accusato è protetto dal riserbo… sa, il diritto alla privacy.
D – Un po’ aggressivo? Quello mi ha stuprata. Io confermo tutto. Lui mi ha stuprata ed è lui che ha rovinato me.
I – Lei quindi si assume tutta la responsabilità di quello che sta dicendo? E’ cosciente del fatto che se l’accusa non venisse confermata dai riscontri lei potrebbe essere denunciata per falso?
D – Sono cosciente. Mi assumo la responsabilità.
I – Lei sa che dovrà essere sottoposta a perizia psichiatrica? Che dovrà superare dei test e dovrà dimostrare di essere una persona perfettamente equilibrata?
D – Si, lo so. Ho già subito le perizie mediche. Mi hanno sezionata millimetro per millimetro. Il mio corpo è sotto inchiesta. Le mie abitudini sono sotto inchiesta. State facendo l’autopsia alla mia vita: se bevo, se mi drogo, se ho amici, quanti uomini frequento. Come se si cercasse di dimostrare che sono io la poco di buono che non ha diritto di esistere… Comunque, sbaglio o le sue sono intimidazioni?
I – Come si permette. E’ mio dovere illustrarle tutte le conseguenze del caso. Se non lo facessi lei potrebbe accusarmi di non essere stata doverosamente informata dei rischi connessi alla denuncia. Le devo dire anche che l’iter giudiziario è lungo e l’accusato resta libero fino al compimento dei tre gradi di giudizio. E’ persona affidabile e dunque non c’e’ pericolo di fuga…
D – Affidabile? Mah. Mi dica dove devo firmare.
I – Se lei è sicura può firmare in fondo al foglio, a destra.
D – Fatto. Ora posso andare?
I – Certo. Nessuno la trattiene. Resti a disposizione.
La denunciante apre la porta, seguita dallo sguardo ostile dell’inquirente. Cammina fino a raggiungere l’uscita. Si dirige verso il parcheggio. Apre la portiera dell’auto. Entra. Siede. Mette in moto. Lungo la strada piange e urla. Fondamentalmente urla e poi respira profondamente. C’e’ da prendere la rincorsa. La strada è tutta in salita. Sipario.
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—>>>L’immagine viene da qui
La cosa che mi urta è il riferimento alla “famiglia perbene” della seconda intervista.
E’ ignobile.
@ Marcolfo: a me risulta che gli stupri ci siano sempre stati. Smettiamola con questa ennesima giustificazione, “povero maschio insicuro e con il senso di inferiorità, di fronte alla donna fin troppo decisa e consapevole”. Ci saranno anche uomini insicuri e frustrati quanto vuoi, ma tale livello di insicurezza e frustrazione difficilmente sarà alla pari di quello che generalmente le donne vivono ogni giorno (tanto per fare un esempio, hai presente le disparità in ambito lavorativo?).
E’ chiaro che il problema è, ed è sempre stato, come vengono viste le donne: oggetti da utilizzare a proprio piacimento. Senza arrivare a parlare di stupro, se una donna è da sola su una panchina sta senz’altro provocando, ed è normale, anzi sacrosanto, che un uomo si senta in diritto di approcciarla. Anche se lei non dimostra di gradirlo. In fondo, lui mica è frocio, e se lei sta da sola sicuramente è perché vuole compagnia.
Così come viene considerato normale, anzi sacrosanto, fare battutine apparentemente innocenti su qualsiasi individuo di sesso femminile capiti a tiro. Avevo un collega che, a qualsiasi richiesta gli facesse una donna, rispondeva con frasi del tipo “beh, oggi che hai quella camicetta attillata non posso certo dirti di no”, e quando io gli ho fatto notare lo squallore (e la banalità!) di certi atteggiamenti, mi ha risposto “è chiaro che qualsiasi donna vorrebbe complimenti del genere, è inutile che fingi che non ti piaccia”. Ecco, secondo me è questo il tipo di mentalità più pericolosa, che si cela inizialmente dietro l’apparente “ammirazione e adorazione della donna” (cito parole testuali) e che poi arriva a trovare giustificazioni anche per le violenze più intollerabili.
io credo che la recrudescenza di violenza contro le donne (soprattutto mogli, compagne e fidanzate) sia dovuto ad un senso di inferiorita’ dell’ uomo nei confronti della donna. I maschi son stati cullati da millenni in cui il potere che avevano sulle loro compagne era dato di fatto e indiscutibile. Con le piccole conquiste avute dagli anni settanta con il femminismo, l’uomo si e’ trovato di fronte un soggetto che pretende di essere trattato da pari grado e lo fa’ in modo deciso e consapevole, questo ha scombussolato completamente il maschio non abituato ad un confronto paritetico. Non vuole ammetterlo, ma invidia l’indipendenza e la capacita’ di azione della donna, allora arriva a usare la violenza per negare la propria incapacita’ ad assumersi le responsabilita’ che un confronto alla pari richiederebbe
d-K, mi trovo perfettamente d’accordo con te (a questo punto delle perle rare, anzi uniche).
Vorrei chiedere dove sono persone come te (una domanda in generale, perché io fino adesso non ne ho trovate, a parte qui, ed iniziano i dubbi sul mondo… rarità, appunto). Dove sono persone in grado di pensare all’altro come un soggetto, capace di relazionarsi con l’altro umanamente, non seguendo la logica delle macchine. Domando seriamente, in questo mondo dove ogni donna è una cosa (le polemiche sull’Afghanistan… ma le donne? ripeto, come già scritto, qualcuno si fila la singola donna costretta a patire qualcosa suo malgrado, inconsapevole, incapace di poter vivere pienamente l’unica vita che le spetta in santa pace? Nessuno si domanda questo? Che non esiste altra possibilità di esistenza?)
E poi, piccola divagazione. Su un gruppo di Facebook si è innestata una polemica riguardo il femminismo, in riferimento al significato. Avrei voluto continuare a rispondere, ma poi mi è sorto un dubbio che mi ha fatto desistere. In pratica ogni mia affermazione è stato manipolata fino a farne il capro espiatorio per ribadire la posizione inferiore che SPETTA alla donna. Esatto. Tutto quel parlare di matrimonio, di padri a cui vengono negati diritti, la protezione maschile, il mantenimento… sono soltanto modi per dire chiaramente che io non ho diritti. Sono convinta che continuare a parlare con quella gente (uno si chiama anche Libertà… Libertà! aiut…) equivale a parlare con un muro. Quindi è del tutto inutile. Tutto ciò per arrivare ad un’unica, semplicissima, considerazione: una gran parte di persone identifica il femminismo con la condizione dell’essere donna. Ecco, risolto il mistero. L’odio contro il femminismo nasconde un profondo, inammissibile, rancore, desiderio di distruzione totale di questo essere inferiore, marcio, schifoso. Ecco. Contenti, dico io. Contenti di nascere da un essere inferiore schifoso abominevole senza pregi orribile un mostro che vi ha generati. Bravi. Siete capaci soltanto a risolvere equazioni differenziali ultra super megagalatticche con diecimila problemi, ma non siete in grado di risolvere una semplicissima operazione di logica: se siete nati da un essere la cui esistenza si identifica con l’inferiorità e incapacità (la biologia è quella, la genetica pure, dal momento che si parla di sangue), voi siete, al suo pari, inferiori e incapaci…
Ultima cosa. Questo sistema si alimenta con il potere di repressione, di sopraffazione, mentre si teme la donna come possibile portatrice di valori altri, non necessariamente legati alla competitività sfrenata, alla sopraffazione, ai valori del capitalismo. E qui cade l’asino. Chi ha paura di perdere il potere tenta in ogni modo possibile, fino a ricorrere alla distruzione totale di chi teme. Molti maschi vedono in noi niente altro che un nemico da combattere. Anche quando ci si sposa. Anzi, secondo me il matrimonio è la culla della guerra.
Sono terribile, lo so, scusami
Una delle frasi che più odio ma che si sente pronunciare di continuo è “…se andava vestita così in giro/…se andava in giro in quel posto così isolato/…se s’è fidata di uno appena conosciuto, allora un po’ se l’è cercata!”. Come essere umano mi fa incazzare perché da un lato cerca di giustificare l’ingiustificabile, dall’altro finisce per dare la colpa alla vittima, come se avesse avuto a che fare con dei coccodrilli, con un predatore incapace di controllare i propri impulsi: non avvicinarti al fiume perché rischi di diventare il pranzo di un rettile, non è la stessa cosa del “non vestirti così/non andare lì/ecc.”: la differenza è lampante, perché sembra così difficile vederla?
Mi do una parziale risposta: fintanto che non scomparirà una certa cultura che vede nell’altr* un oggetto da sfruttare (donne/uomini; lavoratori/lavoratrici; immigrat*; ecc.), spesso priv* di un reale possesso di sé stess*, non muterà nulla.
Qualche mese fa una persona raccontandomi alcuni episodii vacanzieri parlò della pericolosità di un certo luogo sottolineando che una volta, davanti ai suoi occhi, un gruppo di giovani stava per violentare una ragazza dopo aver pestato il ragazzo (fortunatamente l’intervento di diverse persone bloccò gli aggressori e li mise in fuga). La frase con cui chiosò il racconto mi ha permesso di capire tanto anche del suo passato, del perché avesse reagito con tanta inconsulta violenza ad un tradimento, fino a pagare penalmente. Disse, infatti: “Gliela stavano per violentare!” … “Gliela stavano”? Questa frase mi rimbalzò per la scatola cranica come in un flipper mandandomi un attimo in tilt… “GLIELA STAVANO”? Casomai stavano per violentarLA… Violentavano la ragazza, non un oggetto di proprietà del compagno. Non GLI hanno graffiato l’auto!
Nella mente di questa persona una donna è una PROPRIETA’ del partner, come l’auto o lo stereo o il portafogli: come ogni oggetto questo non può ribellarsi, né tradire e se non funziona adeguatamente può essere maltrattato o abbandonato. Portando alle estreme conseguenze questo tipo di mentalità (non che questa persona la pensi così, non lo so), un “oggetto” trovato per strada o in un parco “senza proprietario” è di chi se lo prende, anche solo per usarlo qualche minuto e poi gettarlo via.
Cosa fare per cambiare queste idee? Me lo chiedo spesso ma non ne vengo a capo…