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Roma: presidio di solidarietà con le donne afghane

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PRESIDIO DI SOLIDARIETA’ CON LE DONNE AFGHANE

Sabato, 18 aprile – ore 15
Davanti all’Ambasciata dell’Afghanistan
Via Nomentana, 120 Roma (angolo via 21 aprile)

 
Contro
la legge del governo afghano che legalizza lo stupro dei mariti nei
confronti delle mogli, obbliga le donne a non opporre resistenza, vieta
loro di uscire di casa, di cercare lavoro e di andare dal dottore senza
il permesso del marito, affida la custodia dei figli esclusivamente ai
padri e ai nonni.
 
– Il 31 marzo è stata approvata la legge e non è ancora stata ritirata

Il 12 aprile è stata ammazzata da due sicari Sitara Achakzai, da sempre
difendeva i diritti delle donne oltre a essere  consigliera provinciale
a Kandahar, roccaforte dei talebani.
– Una lunga serie di donne
sono state punite per aver sfidato il fondamentalismo dei talebani: la
ballerina Shabana massacrata a gennaio nella valle di Swat, la
poliziotta Malalai Kakar colpita a settembre a Kandahar, le giornaliste
Shikeba Sanga Amaj e Zakia Zaki ammazzate nel 2007, la politica Safia
Amajan assassinata nel 2006.
– Il 15 aprile a Kabul 300 donne
afghane che stavano manifestando contro la legge sono state prese a
sassate e violentemente insultate da una contro manifestazione di
uomini talebani sotto gli occhi della polizia.
L’occupazione
dell’Afghanistan da parte delle potenze occidentali dura da 8 anni.
L’Italia in particolare è incaricata proprio della ricostruzione del
sistema giuridico dell’Afghanistan. E questi sono i risultati.

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VILLAGGI AFGHANI O CITTÀ DELL’OCCIDENTE SEMPRE DI PATRIARCATO SI TRATTA

di Lea Melandri [da Zeroviolenzadonne.it]

Il
blog di Giuliana Sgrena il 12 aprile ci ha informato che Sitara
Achikzai, eletta nel consiglio di Kandahar nel sud dell’Afghanistan ed
impegnata nella difesa dei diritti delle donne, è stata assassinata da
due uomini armati mentre tornava a casa dal lavoro, a piedi. Dove sono
quei governi, capi di stato e uomini politici che si sono indignati per
la legge che intendeva legalizzare lo stupro da parte dei mariti e
perché non mostrano lo stesso sdegno per l’assassinio di una donna
politica che vi si è opposta mettendo a rischio la sua vita?

Accanto
all’allarme per la crisi economica, la disoccupazione crescente, le
manovre dei potenti della Terra per porre un argine alla rabbia dei
ceti più colpiti, nelle ultime settimane sono tornate ad occupare un
posto non trascurabile questioni che vengono ancora genericamente
riferite alla vita personale, alla sfera intima, alla coscienza del
singolo, benché sempre più intersecate con le istituzioni della ‘cosa
pubblica’. Da un lato, è passata, come sempre, la cronaca pressoché
quotidiana degli stupri e degli omicidi in famiglia, con l’unica
variante del tipo di parentela che ogni volta lega la vittima
all’aggressore. Dall’altro, si è venuto imponendo, per circostanze tra
loro apparentemente lontane, un dibattito acceso su leggi e principi
costituzionali, parlamenti e Consulte, diritti, libertà delle persone e
poteri dello Stato, laicità e imposizioni religiose, garanzie
democratiche e consuetudini tribali.

La norma votata dal
parlamento afgano, che legalizza, per la minoranza sciita, lo stupro in
famiglia e la totale dipendenza della donna dall’uomo, la revisione, in
Italia, da parte della Consulta, della legge 40 sulla fecondazione
assistita, per quanto riguarda “l’impianto unico e contemporaneo” di
“non più di tre embrioni”, il caso di Kante Katadiatou, la donna
ivoriana ricoverata per parto all’ospedale Fatebenefratelli di Napoli e
inquisita per “identificazione urgente”, in nome di una clausola del
decreto sicurezza non ancora approvato  -ma si potrebbe aggiungere
anche la vicenda parlamentare del testamento biologico-, parlano
sostanzialmente della violazione di alcuni diritti e libertà essenziali
della persona, garantiti, nei Paesi che si considerano ‘civili’ e
‘democratici’, dalle rispettive Costituzioni, e negli altri casi da
organismi e convenzioni internazionali. Le reazioni che hanno
provocato, i cambiamenti di rotta, le spaccature all’interno di gruppi
politici che si pensavano ideologicamente compatti  -i cento deputati
del Pdl che si sono espressi contro l’emendamento della Lega, inteso ad
abolire il divieto di segnalazione, da parte dei medici, degli
immigrati senza permesso di soggiorno-, gli interventi di Fini contro
lo “Stato etico”, in difesa della laicità, la decisione del presidente
Karzai di congelare una legge fatta per negoziare il consenso della
minoranza religiosa più oltranzista, dicono che le vicende essenziali
riguardanti la vita nella sua interezza  -il rapporto tra i sessi, la
nascita, la morte, la salute, ecc.-, tenute a lungo fuori dalla storia,
dai linguaggi e dai poteri pubblici, hanno la forza ‘perturbante’ di
una ‘stirpe oppressa’ dalla civiltà, che oggi chiede il conto.
Ma
come definire il contesto economico, culturale e politico, nelle sue
incomparabili differenze, che oggi, di fronte all’imprevisto, balbetta,
si contraddice, attacca e si difende? Se Pierluigi Battista, sul
“Corriere della sera” (2 aprile 2009), ha provato a
riproporre con poco successo quello che è stato il cavallo di battaglia
della destra più vicina al Vaticano  -lo “scontro tra Islam e
Occidente”-, questo non vuol dire che le democrazie occidentali e le
loro affiliazioni in terre lontane e inospitali non siano tutt’oggi
convinte della loro superiorità e unicità, incapaci di interrogarsi su
quei residui arcaici, che le rendono così simili alla culture
‘tribali’, su quelle inclinazioni fondamentaliste che ancora confondono
religione e politica, legge divina e libertà della persona. Se la
contrapposizione tra mondo civile e barbarie appare così netta, se
qualcuno, nonostante i casi di violenza quotidiana che lo smentiscono,
può ancora parlare di “donne liberate” dell’Occidente, se ci si può
illudere che basti schierarsi “in difesa delle donne”, rendere
giustizia alle “vittime” identificando di volta in volta l’oppressore
con qualcuno che è ‘altro da sé’  -lo straniero, lo psicopatico, il
politico in cerca di consenso facile, ecc.-, è perché una barriera,
forte del senso comune e di un pregiudizio millenario, ancora avvolge
le molteplici, multiformi ‘culture’ create dal dominio maschile, in una
maschera impenetrabile di neutralità.
Ma
se proviamo a scostare il velo, il paesaggio cambia, il confine tra le
città dell’Occidente e i villaggi afgani si fa mobile e impercettibile,
i dogmi delle gerarchie vaticane somigliano stranamente ai codici
tradizionali della Sharia, la deriva verso lo “Stato etico”, il
fondamentalismo religioso, criticato e combattuto dall’Occidente in
altri Paesi, appare per quello che è, la prima e l’ultima sponda del
patriarcato, il tentativo, di fronte all’irruzione di una ‘preistoria’ 
-il corpo, la vita personale, il rapporto tra i sessi- mai del tutto
addomesticata, di riprendersi un potere antico: il sequestro dei corpi,
l’appropriazione della vita dei singoli, la cancellazione di quella
conquista inalienabile dell’incivilimento che è l’autodeterminazione,
il diritto di ogni persona “a prendere in libertà le decisioni più
intime” (Stefano Rodotà). Non è un caso che, nel dibattito che si è
acceso intorno a questi temi, si parli ancora esclusivamente di
“bioetica”, come se la vita che è stata ridotta a corpo biologico, la
persona, a cui si vorrebbero togliere libertà e diritti, non fosse
stata, prioritariamente, quella della donna; non è un caso che tutte le
vicende di cui si è parlato sopra abbiano come protagonista il sesso
femminile  -sia come ‘oggetto’ di violenza che di tutela-, e mai , come
ci si dovrebbe aspettare, la consapevolezza e la cultura femminista
che, da oltre un secolo, ha cominciato a scuotere i privilegi e le
certezze della comunità storica degli uomini.
La legge afgana, che
sulla sponda ‘civile’ del mondo ha suscitato tanto sdegno, se si
riuscisse a guardarla per la verità ‘domestica’, violenta, quotidiana,
e pressoché senza tempo e patria, che porta allo scoperto  -la
cancellazione della sessualità femminile, la donna espropriata di
volontà ed esistenza propria, sottoposta a un potere di vita e di
morte, esclusa dallo studio e da responsabilità pubbliche-, potrebbe
finalmente far riflettere sull’unico dominio, quello di un sesso
sull’altro, che sfugge alle analisi, e quindi ai cambiamenti, che
qualcuno ipocritamente vorrebbe circoscrivere a intoccabili “differenze
culturali”, altri al terreno non meno rispettabile e riservato della
sfera intima. Al sessismo esplicito, impugnato dai mullah come legge
naturale, fa riscontro, per la parentela evidente, l’insignificanza -intellettuale,
politica, professionale- in cui sono tenute le donne ‘emancipate’
dell’Occidente, casalinghe, madri, mogli sempre e comunque, o, nel
migliore dei casi, ‘conduttrici’ di un discorso unico e privilegiato
tra uomini, che occupa ininterrotto da secoli la scena pubblica.

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RIFLESSIONE. MARIA GRAZIA CAMPARI: DIRITTO DI FAMIGLIA: DONNE NELLE SPIRE DELL’ORDINE PATRIARCALE?
[Dal sito della Libera universita’ delle donne di Milano]


Giunge dall’associazione femminista afgana Rawa (http://pz.rawa.org/it/index.htm, www.rawa.org) una riflessione sulla recente proposta di legge che autorizza gli abusi sessuali compiuti dal marito sulla moglie in nome di una pretesa tradizione del Codice di famiglia sciita. La disposizione e’ considerata quale legittimazione di una pratica ampiamente diffusa che trova il suo antecedente logico nel Trattato di riconciliazione nazionale stipulato dal governo Karzai con esponenti
talibani e fondamentalisti, avallato dalle potenze occupanti, Usa in testa.
 
La legge e’ attualmente sospesa, anche a causa delle reazioni internazionali, ma Rawa ritiene che verra’ ripresa dal Parlamento di prossima elezione, che, prevedibilmente, vedra’ un’ampia presenza di signori della guerra e di esponenti pro-talibani, essendo le potenze occupanti piu’ interessate ad assicurare a se’ il gas dell’Asia centrale che non ad assicurare la democrazia agli afgani. Di qui la richiesta di mobilitazioni che contrastino i gruppi misogini e fondamentalisti.
 
Una causa giusta, da sostenere nell’interesse di una democrazia partecipata e plurale, unica forma di democrazia effettiva, quella escludente, comunque camuffata, dovendosi, al contrario, ritenere espressione di un ordine oligarchico, spesso connotato da misoginia. Un ordine strutturato sulla diseguaglianza biologicamente motivata, coerente al sistema patriarcale, che ha gravato a lungo, sia pure con pesi differenziati, anche sulle donne italiane. La Carta Costituzionale lo smentiva formalmente nei suoi principi fondamentali (art. 2 e art. 3) fin dal 1948, ma molta acqua doveva passare sotto i ponti. Le previsioni del Codice Civile Mussolini-Grandi del 1942 (art. 143 e seguenti) e quelle del Codice Penale Mussolini-Rocco del 1938 (art. 570 e seguenti) sancivano una struttura famigliare fortemente gerarchica, una moglie soggetta alle decisioni e ai voleri del marito (insignito di "potesta’ maritale"), sottoposta ai di lui "mezzi di correzione o di disciplina" morali e materiali, fino a lambire il limite estremo del maltrattamento. Gli abusi erano, poi, sanzionati assai lievemente: con pena fino a sei mesi e, in caso di lesioni, con pena ridotta di un terzo rispetto alla normale previsione edittale.
 
Un’ottica proprietaria e subalterna della donna che consentiva una serie di abusi, non ultimo quello di natura sessuale, presentato come "debito coniugale", nell’ambito di una concezione assai unilaterale della morale famigliare e del dovere di assistenza imposti per legge. Si e’ dovuta attendere la meta’ degli anni Settanta e la riforma del diritto di famiglia (L. 19.5.1975 n. 151) per dare corso a principi costituzionali (art. 29 e 30 Cost.) di parita’ fra i coniugi e fra figli legittimi e
illegittimi (nati fuori del matrimonio), per l’abolizione della patria potesta’, sostituita dalla potesta’ di entrambi i genitori. Solo in epoca ancora piu’ recente, con la legge del febbraio 1996 (art. 609
bis e seguenti Cod. Pen.), il reato di stupro e’ stato rimosso dal titolo del Codice Penale dedicato ai "delitti contro la moralita’ pubblica e il buon costume", l’incesto non e’ piu’ crimine contro la "morale famigliare" ma entrambi crimini contro la persona, lesivi della libera disposizione di se’ e della autodeteminazione sessuale.
 
Una lenta e non uniforme evoluzione giurisprudenziale ha preso avvio dall’art. 2 della Costituzione repubblicana ed e’ giunta ad inquadrare la sessualita’ quale modo di espressione della personalita’, da tutelarsi come diritto inviolabile della persona. Secondo le pronunce piu’ illuminate della Corte di Cassazione la lesione del diritto alla sessualita’ determina per la vittima un danno da ingiustizia le
cui conseguenze pregiudizievoli devono essere accertate e quantificate in termini di risarcimento del danno materiale, morale e alla vita di relazione (esistenziale). Inoltre, la giurisprudenza ormai prevalente considera che la violenza sessuale possa avvenire anche fra marito e moglie, non essendo coperta da quello che tradizionalmente si definiva come "debito coniugale". Non solo
l’assenso al rapporto deve essere esplicito, non viziato o estorto con minacce, ma deve considerarsi sempre revocabile anche in relazione alla tipologia del rapporto stesso, per come viene determinandosi.
 
In caso di imposizioni, specialmente se ripetute, alla moglie e’ stato riconosciuto titolo a richiedere la separazione con addebito al marito e anche il danno esistenziale per gli effetti dannosi subiti nella propria vita quotidiana di persona offesa, sottoposta a patimenti fisici e psichici che hanno impedito lo svolgimento di una vita coniugale serena e informata al principio dell’amore e del rispetto reciproco. Puo’ esserci "un giudice a Berlino", ma va ricercato e sollecitato attentamente, senza timidezze, sostenute dal rispetto di se’. 

Posted in Fem/Activism, Iniziative.


One Response

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  1. Lisistrata says

    Compagne, mentre noi lottiamo per òla liberazionme della donna guardate cosa mette come firma questo sporco fascista maschilista:

    Alle donne e ai gatti si può mettere un burka e un guinzaglio, gli
    uomini e i cani dovrebbero rilassarsi e imparare ad usarli. I Talebani.

    Il bastardo che si firma LexTutor la usa come firma per TUTTI i suoi messaggi:

    Dobbiamo intervenire e fargli vedere chi siamo.
    Saluti a pugno chiuso