Quando arrivammo al nord, con le valigie di cartone, per prima cosa ci mancava il sole. Eravamo in crisi d’astinenza da mare. Mentre il babbo si incatenava per ore nei turni di fabbrica, noi provavamo a sentirci più a casa.
Ricordo la prima discussione con la signora del piano di sotto. Si lamentava delle briciole. Si lamentava dell’acqua che veniva giù dai panni stesi. Si lamentava del rumore e dell’eccessivo vociare. Si lamentava della risata allegra di mia madre.
Perché in Sicilia si vive lo spazio dentro e fuori le mura di casa. Perciò si mangia volentieri in balcone o sul terrazzo, si stendono i panni all’aria aperta poiché il sole li asciuga subito. Che dire poi delle nostre parlate rumorose. Siamo gente dall’espressività vocale autentica, il nostro tono è festoso. Qualche volta ci capita anche di litigare e proprio non ci riesce di sibilare come fanno questi qui del nord. La risata di mia madre poi è un vero e proprio miracolo. E’ contagiosa e quando lei ride la sua faccia si trasforma e ti mette allegria. Mia madre è un mondo solare è pieno di calore. La signora del piano di sotto invece è così triste, con quei capelli tinti che sanno di inquinamento e colorante messo male. Ha gli occhi spenti e secondo me non ride mai.
Mio padre tornava dal lavoro e amava averci tutti in casa. Da noi è usanza parlare mentre si mangia. La signora del piano di sotto invece mangia davanti alla televisione, da sola. I suoi figli la vengono a trovare solo raramente.
Una volta le ho chiesto se aveva bisogno di qualcosa. Lei però guardava strano e rientrò in fretta per mettersi a spiare le mie mosse da dietro le tendine. Stavo asciugando i capelli con il sole del mattino. Una cosa strana da fare in questo posto senza luce.
Mio padre lavorava come un mulo e qualche volta tornava a casa arrabbiato perché lo chiamavano terrone. Aveva braccia forti e una volontà di ferro. Un uomo in grado di scaricare metallo pesante per ore e ore senza lasciar sfuggire mai un lamento. Per fare contenti i padroni non si era neppure iscritto al sindacato. Gli altri scioperavano e lui al lavoro. Gli altri a chiacchierare e lui al lavoro. Ancora sperava di essere stimato per il suo valore, per quello che sarebbe riuscito a dimostrare. Non lo sapeva ancora che qui sfruttano gli esseri umani e di sicuro non li apprezzano se si fanno sfruttare meglio.
Mia madre si svegliava presto al mattino e cominciava a pulire e cucinare per servire la famiglia. La signora del piano di sotto alla riunione di condominio chiedeva cosa aveva di così importante da fare per svegliarsi tanto presto. Così mia madre camminava in punta di piedi e puliva e cucinava piano, senza fare rumore, fino a che l’inquilina dispettosa non tirava su le tapparelle. Tentò anche di conquistare la sua simpatia e le portava pietanze e piccoli regali ma quando fu che un accappatoio cadde dal nostro balcone al suo lei non volle restituirlo. Disse che bisognava che imparassimo ad essere più civili e si precipitò a gettare l’indumento nell’immondizia.
Era il più bell’accappatoio di mio padre e allora la mia mamma si appostò e si improvvisò equilibrista per scovarlo tra sacchi puzzolenti e resti di quella boriosa gente. Più che altro per evitare di dover dire a mio padre la verità. Sapeva che non avrebbe reagito bene.
Un giorno mia madre mise una bella tenda al balcone, come si usa fare in Sicilia. Di quelle che poggiano sulla ringhiera. Così lei poteva sedersi a cucire o sbucciare le patate mantenendo un po’ di privacy. In Sicilia si fa soprattutto per stare fuori senza prendere una insolazione.
La signora del piano di sotto allora disse che quella tenda rovinava il prospetto dell’edificio. Non andava bene e poi mia madre era l’unica ad usare il balcone. Dovette smettere quando arrivò il reclamo dall’amministratore del palazzo.
In Sicilia si usa che le donne scendono in strada a raccontarsi tante cose e nel frattempo cuciono. Sbucciano le mandorle fresche, schiacciano le olive, seccano i pomodori per farli sott’olio. Mia madre prese a radunarsi sul giardinetto dinanzi casa con un gruppo di altre donne. Ce n’erano alcune meridionali e giusto un paio siciliane di Sicilia e si sa che quando ci si incontra in un paese straniero ci si sente un po’ come fratelli e sorelle.
Chiacchieravano ed era un gran piacere per me ascoltare le loro storie che parlavano di mondi che io non avrei mai conosciuto, frequentato assiduamente. A loro non restava che quello: un vago ricordo della Sicilia e delle loro abitudini. A me restava solo quella memoria collettiva di voci di donne che non si sentivano più a casa.
Le signore del condominio allora fecero una petizione perché una volta ad una donna del sud era caduta per sbaglio una ciotola piena di dolci fatti in casa portati apposta per le altre. Così quell’impasto morbido, accuratamente rosolato fino a diventare croccante e innevato di zucchero fine, si era versato per terra. La donna del sud ne raccolse una parte e pensò ingenuamente che i pezzetti oramai mischiati alla terra potevano restare lì per gli uccellini.
In seguito quelle donne si incontrarono in casa di una di loro, ma non fu più lo stesso. Se chiudi un ricordo o una nostalgia in gabbia non ti restano che le sbarre.
Mia madre l’ho vista sfiorire così, poco a poco, incastrata in un lastrone di cemento armato, un modesto appartamento di condominio, lei che al suo paese era una donna conosciuta e stimata. Lei che ogni mattina dava il “La” ad una conversazione che correva di balcone in balcone, di voce in voce, fino a formare un coro di suoni e risa che dichiaravano tutta la vitalità di quel luogo.
Al nord era diventata una donna senza storia, con gli occhi spenti di una che condivide al massimo punti di arrivo ma mai di partenza. Con quella melanconia addosso fatta di ricordi negati in un posto in cui non si aveva neppure il diritto alla nostalgia.
Le avevano tolto tutto, il suo sole, il suo mare, il suo balcone, la sua risata gioiosa e rumorosa, le chiacchiere tra donne, i suoi occhi vivaci. Aveva imparato a tacere invece che parlare, a strisciare invece che camminare, ad annuire anche quando voleva dire di no, a negarsi il diritto ai ricordi per il bene dei figli. Perché loro avevano cambiato città per noi.
Ora che mio padre e mia madre non ci sono più, io e mio fratello abbiamo deciso di cambiare vita. Vogliamo andare in un posto dove gli occhi non sono spenti, dove si parla invece che sibilare, dove si comunica ancora e dove forse possiamo provare a restituirci quel pezzo di vita che ai nostri genitori è stata negata.
Casa venduta a prezzo di favore ad una coppia di amici nordafricani, vicini e vicine mandati ‘affanculo e zaini in spalla. Ce ne torniamo da dove siamo venuti. Non perché ci hanno cacciati. Solo perché questi qui, del nord, sono tutti depressi, frustrati e paranoici. Avrebbero bisogno di una seria terapia collettiva…
Dopo lo stretto di messina, già da sopra il traghetto, cambia persino il colore della nostra pelle. Si diventa luminosi ad essere a proprio agio. Infine, ci sentiamo a casa, ancora stretti nell’abbraccio di mia madre.
—>>>E’ la memoria di una storia vera. La dedico alla persona che me l’ha raccontata.
kzoe: le parole a cui ti riferisci sono quelle che mi hanno detto e vengono dall’esasperazione. vengono dalla negazione della propria identità, del proprio diritto ad esistere a partire da quello che si è. vengono dalla voglia di riappropriarsi fino in fondo di una memoria sottratta e quando lasci un posto accade anche che ti capita di causare rotture e di far emergere solo tratti negativi (se ne potrebbe parlare per ore). altrimenti non riusciresti a ricominciare…
ovvio che è una conclusione sbagliata ma l’ho scritta lo stesso perchè è esattamente la conclusione alla quale arriva chi è discriminato.
noi lo sappiamo: gli integralismi, gli scontri tra culture, sono sollecitate dall’aggressione e l’aggressione spesso stimola integralismi.
è ovvio che al nord non sono tutti uguali così come al sud non sono tutti meravigliosi individui.
definivo il carattere di una storia.
se vogliamo paragonarla a quello che sta succedendo ora io penso che causerà irrigidimenti identitari. e gli irrigidimenti identitari sommati alla voglia di controllo di un territorio sono all’origine delle guerre tra bande a new york, o in francia per esempio…
se uno non si sente accettato dalle persone finisce per odiarle. questo non lo dico io. semplicemente avviene.
ad una generalizzazione corrisponde un’altra generalizzazione uguale e contraria. perchè se si soccombe sotto la spinta della generalizzazione e della semplificazione difficilmente si riescono a concepire e intravedere le complessità.
perciò quello che ho descritto non è per me un atteggiamento giustificato. è solo una conclusione che comprendo e che a mio avviso ha una origine precisa che non sta nella cattiveria di chi si sente discriminato.
spero di essere riuscita a chiarire meglio…
FikaSicula: “Dopo Napoli, Roma. Campi nomadi in fiamme. Uomini e donne che lanciano bottiglie molotov contro altri uomini e donne colpevoli di essere nati altrove e di essere malvestiti e straccioni. Forze di polizia in assetto di guerra che sgombrano campi, sotterranei e giardini, cacciando via (non si sa verso dove) una umanità dolente, solo perché povera e straniera. E, al seguito della polizia, camion della nettezza urbana che caricano e avviano alla distruzione materassi sporchi, suppellettili rotte, vecchi elettrodomestici (cioè le case dei poveri). Il tutto mentre circolano bozze di disegni di legge in cui si criminalizza un popolo e si affida al carcere (e ai suoi omologhi: i centri di detenzione, presto tali anche nel nome) la funzione esclusiva di discarica sociale. E ciò senza opposizione, senza proteste eclatanti, mentre in Parlamento si consuma il rito surreale di un palazzo pacificato”. (dal manifesto di oggi)
Ok, (in parte) ci sarà anche dietro la camorra, ma il problema non é regionale, la propaganda razzista ha occupato tutta la campgna elettorale e oggi a Verona si é manifestato anche per questo motivo…
Quando dici che questa é gente di merda sono daccordissimo con te, ma se ci sono in giro dei razzisti questo non significa che i napoletani o gli italiani sono tutti degli stronzi. La mia critica si riferiva a queste parole (tra altre): “Solo perché questi qui, del nord, sono tutti depressi, frustrati e paranoici. Avrebbero bisogno di una seria terapia collettiva…”
Queste parole non mi piacciono e le ritengo offensive nei confronti di tutte le compagne e i compagni del nord che lottano per un mondo migliore.
kzoe: non so se si tratta di barriere insuperabili. si tratta del fatto che chi “accoglie” normalmente lo fa per “assimilazione” e non per rispetto delle identità già esistenti.
avere una vena identitaria per me non è un fatto negativo. quello che trovo negativo semmai è il fatto che c’e’ chi mi chiede di rinunciare alla mia identità per aderire alla sua. ed è questo l’unico modo che in italia spesso si mostra per accettare chi è “diverso”.
il razzismo è di chi non rispetta nulla di me e vuole che io abbandoni ogni aspetto della mia cultura per mimetizzarmi e fingere di essere una di loro. così finisce che io non sono più nessuno ne’ una di loro ne’ quello che ero. se non è razzismo quello che ti obbliga a rinunciare a te stesso dimmi cosa lo è.
e chi viene prevaricato in questo modo ha tutto il diritto ad essere attaccato ai propri ricordi, alla propria cultura. ha tutto il diritto a non avere alcuna stima delle persone ospitanti. non per razzismo ma solo perchè queste persone (come i napoletani con i rom) sono delle persone un pochino di merda – e te la dico con un eufemismo.
dire che è gente di merda può andare bene o non si può dire perchè altrimenti il mio diventa razzismo all’incontrario?
quando si è lontani poi è chiaro che si ricordano gli aspetti più positivi ma in sicilia di grandi città ce ne sono pochine e il grigiore manca perchè c’e’ il sole. le persone alienate sono molto meno perchè non ci sono fabbriche e non ci sono i ritmi del nord. ci sono molti altri problemi, gravissimi, ma quando vai in un posto in cui ti capita persino di doverli dimenticare significa che devono proprio averti fatto molto male.
sulla radicalizzazione identitaria a napoli io non saprei. quello che vedo è il fatto che la camorra vuole spazzare via una etnia con il benestare dello stato. in questo l’unica radicalizzazione identitaria che vedo è quella della camorra che non cede il potere di decidere chi entra e chi esce dalla sua città.
x imprecario: grande. vengo a leggerti 🙂
beccato l’articolo messo online a mezzanotte e copiato da me 😉
la sensazione di fuoriposto mi sembra corretta. In molti dei vostri discorsi c’ è una marcata vena identitaria, riconoscibile nell’ idea che esistano barriere culturali insuperabili tra “noi” (siciliane) e “loro” (gente del nord). Questo atteggiamento può facilmente sfociare nel razzismo più barbaro, come é accaduto in questi ultimi giorni a Napoli. Qui a scatenare le violenze é stata la radicalizzazione identitaria del “noi” (cittadini napoletani, italiani ecc) contro di “loro” (i diversi, i rom). C’ é da stare attenti…
E poi, il mare c’é anche al nord e i palazzoni grigi e le persone alienate ci sono anche nelle periferie delle grandi città del sud. Certo quando si abbanona la propria terra é normale portarsi con sè i ricordi più belli.
a presto
grazie della segnalazione Imprecario ma stamattina non sono proprio riuscita a beccare manifesto. aspetterò lunedì 🙁
fuoriposto e undelio buonasera 🙂
il punto non è il razzismo all’incontrario (che non c’e’: si tratta della normale reazione di chi ha tentato di integrarsi in tutti i modi e invece è stato schiacciato)il punto semmai è quello che dice undelio. c’e’ effettivamente una difficoltà estrema da parte di chi viene dalla mia terra a sradicarsi e ripiantarsi da un’altra parte.
sarà il fatto di venire da un’isola che è piena da tutti i punti di vista. sarà il fatto che quando ci si sposta si trovano parecchi vuoti e il grigio avanza (anche metereologico… che è una cosa alla quale ti assicuro si fa fatica ad abituarsi).
sara’ che si fa fatica a sentirsi a casa se tutti quanti non fanno altro che dirti che non sei a casa tua…
boh…
non so
notte
Io credo che c’e’ una differenza netta di cultura sociale tra nord e sud, e devo dire che noi del sud non riusciamo mai ad ambientarci ed assimilare questa diversita’ culturale, anche quando andiamo all’estero, tutto cio’ porta ad uno scontro sociale che spesso ci penalizza
non so se dire che mi è piaciuto la descrizione dell’alienazione o che mi è dispiaciuto quella vena di razzismo all’incontrario (contro i settentrionali).
saluti terroni
mi dicono che è uscito sul manifesto una intervista ad Umiza (donna Rom di un campo di Roma) sul manifesto di oggi. Non ho ancora comprato il manifesto ma conosco abbastanza Umiza per consigliartene la lettura. Sti “pulciari” del manifesto purtroppo non metteranno il link fino a lunedì
E’ la vita vissuta di moltissime persone che la memoria collettiva non ricorda piu’..
grazie per aver fatto tornare indietro la mente a racconti di persone care che ancora ricordavano la loro vita passata