E’ un libro
a cura di Anna Capitani che raccoglie interventi di donne sul bel mondo della tecnologia
osservato da un punto di vista di genere. Personalmente sono stata
molto interessata nel leggere l’intervento di Marzia Vaccari con la
passione che trasmette nel ricordare i come, i perchè, i progetti della
Associazione Orlando.
Quello di Federica Fabbiani con la narrazione dei dietro le quinte del coraggioso FemCamp [QUI trovate i video di tutti gli interventi al FemCamp]
mi ha strappato molti sorrisi perchè capisco ogni parola di ciò che
dice e perchè – a distanza di un po’ di tempo – mi rendo conto anch’io
di come sia autoreferenziale, paranoico, totalitario il mondo dei
bloggers. Soprattutto sono d’accordo sul fatto che opporre una critica,
una nuova visione dei linguaggi, una nuova proposta che mal si
inserisce sulle "certezze" stagnanti già sperimentate, nel mondo dei
bloggers che si autoalimentano con mezzucci, piccolezze, linkini e
classifiche, vale una "scomunica" o comunque una sorta di mobbing
attivo che talvolta diventa persino "linciaggio virtuale" [Di questo e molto altro avevo parlato nel mio "Abc della femminista teknologica" – che presto vedrete aggiornato e integrato in una versione 1.1].
Mi è piaciuto l’intervento di Giulia, anche per motivi affettivi, che parla del progetto "Sorelle d’Italia"
e di come lo aveva immaginato all’inizio, motivato da un gesto di
ribellione e da una bella spinta visionaria. Ho trovato belle e interessanti in
generale un po’ tutte le descrizioni, per un motivo o per un altro. Per
alcuni ho avuto difficoltà a tirare fuori dalla descrizione accademica
le informazioni che mi piaceva trovare. Ma è un giudizio personale e
può essere che voi invece troverete utile ogni descrizione, specie se
siete digiun* dell’argomento.
A quello che già il libro
narra così bene io aggiungerei che c’e’ una categoria di donne che
hanno appreso – soprattutto nell’ultimo decennio – l’uso della
tecnologia per motivi puramente militanti, quindi squisitamente
politici. Essere donna e attivista, con una certa impostazione
politica, crea quindi una ulteriore separazione, un gap nel gap, un
divide nel divide, un "gender political divide" che non può essere
colmato ne’ con la preparazione intesa in senso meritocratico ne’ con
la semplice (si fa per dire) valorizzazione delle differenze.
Il "gender political divide"
sta in mezzo al "political divide" – che va oltre ogni genere – e al
"gender divide" che ci riguarda. E’ una sorta di aggravante che pone le
donne che ne vengono coinvolte nella posizione di essere non soltanto
delle "cassandre" discriminate spesso soggette a "scomuniche". Il "gender political
divide" può essere un modo per definire lo scontro attivo tra identità
politiche forti o tra una identità politica forte e una identità
teknopatriarcale tout court.
Quello che voglio dire, ma
credo di averlo già detto un bel po’ di volte, è che non è vero che la
rete annulla le differenze. Non è neppure vero che nella rete è
semplice rientrare in una filosofia post-genere. Cioè: può essere vero
che ciascun@ può assumere in rete l’identità che si sente addosso, che
la rappresenta meglio, quindi il genere al quale vuole aderire, ma se
il mio genere è di femminista mestruata, sarà quello il mio modo di
rappresentarmi in rete.
La rete non è dunque il
bel mondo senza regole, asessuato, post genere che molti, soprattutto
uomini, continuano a sublimare. La rete è un mondo pieno zeppo di
uomini che hanno creato regole quasi indiscutibili, metodi, linguaggi,
priorità e finalità. Quel che è peggio è che la maggior parte di questi
uomini non hanno neppure una visione libertaria ma piuttosto ingenerosa
e autoritaria dell’uso del mezzo tecnologico. Ed è lì che si colloca il
"gender political divide".
Comunque la pensiate, spero vorrete leggere questo bel contributo rilasciato con licenza Creative Commons:
—>>>E’ acquistabile o scaricabile gratuitamente online. QUI potete trovare tutte le informazioni e il link a partire dal quale potete scaricare la pubblicazione.
hai scritto qualche post su Mary Daly o Donna Haraway?
ciao
non so dirti perchè loro parlano di tecnologia in senso generico e io parto invece da un punto di vista abbastanza radicale che nella tecnologia investe anche su un piano etico.
la tecnologia diventa quello che chi la usa la fa diventare. però ad esempio mi piace molto una parte dell’ecofemminismo con la sua capacità di ridefinire il rapporto con la terra. la natura. cioè quello che c’era prima della tecnologia.
però entra in contraddizione con la biotecnologia e le questioni che abbiamo più volte trattato in rapporto alla fecondazione assistita etc etc …
insomma è abbastanza complesso e non basta un commento per spiegare.
di certo io mi appassiono di tecnologia non perchè la amo alla follia ma perchè mi serve usarla. di questa passione non ci farei addirittura un “movimento” ecco 🙂
ciao
a proposito di tecnologie… che ne pensi di movimenti come il transumanesimo:
http://www.transumanisti.it/
?
dello sperma femminile/ovulo maschile e dell’ectogenesi?