Le minacce di stupro a bolzaneto. Le molestie e il trattamento sessista. Ricordo ogni particolare tratto dai racconti di chi è passato da quel terribile luogo di tortura.
La tendenza fila dritta verso la rimozione perché è troppo duro sapere di stare in un paese dove esiste un esercito di nazisti in libertà che quando vuole e se può tira fuori il manganello e minaccia di fartelo sentire grosso e duro e pesante e violento in mezzo alle cosce. Come si fa a voler ricordare che tra quegli agenti perennemente difesi da fascisti dalla voce roca, da individui sparsi in quel pessimo panorama che è il partito “delle libertà” (quali siano le libertà di cui parlano ancora non ci è dato sapere…), c’era una stramaggioranza di bestie feroci che una volta rinchiuse a fare i carcerieri si sono eccitate e calate nel ruolo.
Tutto questo viene ricordato nel processo che si celebra a Genova, che pare essere diventata in ogni senso la capitale dell’assenza dei diritti [Leggi su Supporto Legale le trascrizioni delle udienze]. I pubblici ministeri hanno chiesto per i 45 imputati 76 anni di pena in totale. Vale a dire che a molti di loro, se condannati, verrebbe al massimo attribuita una pena di un annetto a testa. In Italia non è riconosciuto il reato di tortura e spesso non si può più neppure parlare di abuso di potere. Come si spiega che in Italia viene considerato più grave spaccare una vetrina che vessare, infierire crudelmente sugli esseri umani? Volete scommettere che tutti quelli che torturavano dentro il carcere di Bolzaneto sono per la difesa della vita ad oltranza e contro l’aborto?
Siamo in balia di un esercito di fascisti guidati da dittatori vestiti con abiti firmati che si permettono di dare a noi lezioni su cos’e’ la libertà. Vi suggerisco di leggere questa pagina scritta dal giornalista D’Avanzo e poi vi copio e incollo un altro articolo che entra nel merito della richiesta di pena e analizza la questione in maniera più ampia.
Bolzaneto: la normalità del male
Martedì 11 marzo 2008 i pubblici ministeri Petruzziello e Ranieri
Miniati hanno letto le loro richieste di pena per i 45 imputati per i
fatti di Bolzaneto: le condanne ammontano a qualcosa come 76 anni
complessivi, ma solo per 15 degli imputati la pena supera la soglia
della condizionale8 di questi quella
dell’indulto (tre anni). Per i restanti trenta le condanne sono di
circa un anno (o meno) a testa, anche considerata la peculiarità delle
condizioni che si sono verificate a Bolzaneto – hanno detto i pm. Il
problema è che non c’è nulla di straordinario in Bolzaneto, se non il
fatto che ciò che è accaduto sia sostanzialmente di dominio pubblico.
La caserma del VI Reparto Mobile di Genova a Bolzaneto nel
luglio 2001 era uno dei due luoghi adibiti a ricevere i fermati e gli
arrestati per poi trasferirli ai carceri di destinazione (o rilasciarli
nel caso dei primi). L’altro luogo era Forte San Giuliano, una caserma
dei Carabinieri. A Bolzaneto per l’occasione si costruì una palazzina
in cui le forze dell’ordine operanti in ordine pubblico dovevano
portare i fermati, consegnarli agli uomini della Digos e della squadra
mobile presenti, con i quali dovevano redigere gli atti relativi al
fermo o all’arresto. Gli arrestati poi dovevano essere "passati" alla
polizia penitenziaria, immatricolati, visitati e trasportati (o
tradotti come si dice in gergo) nei carceri di Alessandria, Pavia,
Voghera, Vercelli.
In realtà – come ormai tutti sanno – a
Bolzaneto sin dall’arrivo le persone venivano sottoposte a una sorta di
contrappasso violento e umiliante, una specie di vendetta, in cui le
forze dell’ordine si autoqualificavano di fatto come avversari dei
manifestanti. Questa è la prima inversione che spesso si cerca di
fomentare per sminuire i fatti della caserma: nessuno delle persone in
stato di "ristretta libertà" ha dato luogo a episodi di resistenza o di
violenza, e quindi la decisione vigliacca e vile di esercitare la
violenza anziché di svolgere il proprio compito ha una sola origine ben
definita. Le persone venivano accerchiate, insultate, minacciate e picchiate nel cortile, poi venivano minacciate e percosse negli uffici della Digos e della squadra mobile, al fine di far loro firmare dei verbali redatti in italiano anche per gli stranieri.
Ogni volta che le persone venivano spostate dalle celle di sicurezza
all’ufficio trattazione atti e viceversa, dovevano passare in mezzo a
due ali di agenti che continuavano a menare calci, pugni, sgambetti, insulti, sputi. Nelle celle di sicurezza le persone non potevano stare sedute, ma dovevano stare in piedi con la faccia al muro, le braccia alzate e le gambe divaricate,
tanto che molti hanno avuto malori e conseguenze anche a medio-lungo
termine per la posizioen imposta. Senza contare gli episodi di violenza
fisica e verbale gratuiti. A questo punto i fermati venivano
rilasciati, non dopo essere stati fotosegnalati dalla scientifica (dove
però non avviene nessun episodio di violenza), mentre gli arrestati
passavano nelle mani della Polizia Penitenziaria, dove il trattamento nelle celle continuava: divieto di andare in bagno o l’accompagnamento con pestaggi e umiliazioni; violenze gratuite; minacce e intimidazioni continue. Dalle celle gli arrestati venivano immatricolati senza consentire loro di avvisare i familiari o i propri consolati,
poi vengono perquisiti e visitati nella stessa stanza, dove agenti e
medici li trattano con violenza e scherno. Poi tornano alle celle e
infine tradotti ai carceri, alcuni dopo oltre 30 ore di permanenza nella struttura temporanea senza cibo e acqua. Per molti l’arrivo in carcere è praticamente una liberazione.
Per tutto questo i pm avrebbero voluto usare il reato di tortura, che però in Italia non esiste,
nonostante il nostro paese sia firmatario della convenzione delle
Nazioni Unite sulla tortura del 1989, che impegna i paesi firmatari a
tradurre in disposizioni di legge il contenuto della convenzione: a
venti anni di distanza nessuna legislatura è stata in grado di portare
a termine questo compito. Al di là di questa carenza i pm hanno deciso
di individuare e punire con pene più severe il cosiddetto livello
apicale, ovverosia i capi dell’ufficio trattazione atti, i capi del
sito di bolzaneto, dell’infermeria, del servizio di traduzione, dei
servizi di vigilanza alle celle: in pratica hanno ritenuto che il loro
ruolo di responsabilità e garanzia fosse più importante e quindi da
punire con più fermezza. Da questo livello hanno deciso di escludere il
responsabile formale del sito, il magistrato Alfonso Sabella che pure
vi era passato e che aveva a maggior ragione un ruolo di garanzia nei
confronti di chi transitava in quei siti. Ma la solidarietà di casta
non conosce confini. Viceversa hanno ritenuto che i livelli intermedi e
gli agenti che effettivamente sono stati i protagonisti dei trattamenti
fossero responsabili solo di episodi da inserire in un clima di
impunità da attribuire ai loro dirigenti. Eccezioni sono ovviamente gli
agenti individuati e riconosciuti con chiarezza come protagonisti di
singoli atti di particolare crudeltà: ad esempio Pigozzi che prende a
due a due le dita della mano di un arrestato, AG, e le divarica fino a
strappargli la mano. Il risultato finale sono una richiesta di pene (da notare che spesso i tribunali comminano pene inferiori alle richieste del pm) di circa 76 anni,
una sola assoluzione, ventinove posizioni in vista di prescrizione e
comunque entro i termini della condizionale, quindici posizioni con
pene un po’ più cospicue.
Tutti soddisfatti? Direi di no, per almeno due motivi importanti (e una miriade di motivi più triviali): in primo luogo queste
condanne equivalgono a meno della metà degli anni di carcere chiesti ed
ottenuti per le 25 persone accusate di aver partecipato agli scontri
della giornata, e l’atteggiamento dei pm nei confronti degli
imputati è stato improntato a un garantismo e una prudenza esasperati,
tali che se non vi era prova certa del fatto e dell’identificazione di
un imputato come autore di quel fatto, si sono pronunciati sempre e
comunque per l’assoluzione (fermo restando l’ottimo lavoro svolto dai
pm nel clima di difficoltà che un processo contro le forze dell’ordine
rappresenta sempre). Non che nessuno sia interessato al fatto che
queste persone passino mille anni in carcere, ma una condanna più dura
in un caso come questo dove siamo alle porte della prescrizione sarebbe
stato un segnale più forte da parte della procura rispetto a quanto è
avvenuto e quanto avviene tutti i giorni (vedi sotto). E’ facile capire
come chiunque sia passato da Bolzaneto e non abbia denunciato quello
che vi avveniva lo faccia in malafede e si renda corresponsabile di ciò
che è accaduto. Mettete nell’equazione i campi dove tenevano i
desaparecidos in Argentina al posto di Bolzaneto e vedrete che i conti
tornano. Ma la giustizia si fa garante dell’onere della prova della
commissione di un reato solo quando questo reato è esercitato da chi
sta tra i ranghi del potere: infatti per le 25 persone accusate degli
scontri di piazza, non vi è stato alcuno scrupolo né nell’individuare i
singoli reati commessi, né nello scegliere un capo d’accusa che avesse
senso: servivano pene esemplari, e si è usato il reato necessario,
anche a dispetto della realtà. La conclusione amara a cui uno deve
giungere è che è meglio torturare come sottoposto centinaia di persone,
che non spaccare due vetrine o lanciare quattro sassi: nel primo caso prendi 10 mesi e sei libero, nel secondo prendi 10 anni di galera.
Il secondo punto problematico è la motivazione per le pene contenute
richieste per gli esecutori materiali: secondo i pm le condizioni della
caserma di Bolzaneto sono state eccezionali, nella commistione di
diverse forze dell’ordine, nella poca chiarezza degli ordini, nella
concitazione di quei giorni. Questa straordinarietà ha convinto i
procuratori a non chiedere la recidività delle condotte e a chiedere in
prima persona l’applicazione della sospensione con la condizionale
della pena. Il problema è che quanto
è avvenuto a Bolzaneto non è per nulla eccezionale, ma è la prova
vivente di quanto avviene tutti i giorni in moltissimi luoghi del
paese, nelle caserme, nei centri di permanenza temporanea, nei carceri
e alle volte (si vedano i casi recenti di Aldrovandri e di Sandri per
citarne due) anche nelle strade. Bolzaneto è la rappresentazione
dell’anima nera di una buona parte delle forze dell’ordine, della
sensazione di chi veste una divisa di essere al di sopra della legge e
di poter esercitare arbitrariamente il proprio potere su tutto e su
tutti, in particolare su coloro che sono detenuti (o comunque
"ristretti" nella loro libertà come i migranti in un CPT o i fermati in
una cella di sicurezza della questura). L’arroganza e la prepotenza di
moltissimi (non tutti, ci mancherebbe, non facciamo della facile
demagogia) membri delle forze dell’ordine è un dato di fatto, e
qualificare Bolzaneto come eccezione forse non rende un grande servizio
alla possibilità che tutto questo cambi. Ma la strada perché le persone
si interessino veramente di come funziona il mondo che le circonda e di
come si esercitano il potere del controllo e della repressione è ancora
molto lunga. Bolzaneto in questo senso è un’occasione persa, alla
ricerca di infilare tutto sotto il tappeto considerandolo come un
episodio terribile ma isolato. Il male è molto più ordinario di quello che piace pensare.
Maggiori Informazioni: supportolegale.org
Questo articolo è stato pubblicato originariamente su carmillaonline e precaria.org
car *Lameduck,
grazie per avermelo segnalato. l’ho letto e hai fatto un ottimo post. ottima analisi che segnalerò in un mio prossimo post dove parlerò di elezioni.
hai visto il programma di forza nuova? un loro punto è: in italia, senza gli extracomunitari si può!
io intenderei questo come una minaccia di genocidio xenofoba e invece tu guarda in italia questi qui sono candidati e partecipano alle elezioni.
mah…
bacione 🙂
ho citato l’articolo di D’Avanzo su Bolzaneto nel mio post di oggi. E’ banale chiedersi se in un qualsiasi altro paese europeo sarebbe successo lo stesso? Quanti altri paesi hanno un partito che, nel proprio programma elettorale, invoca misure drastiche contro i “disobbedienti” ( e le disobbedienti, presumo)? Non criminali o terroristi ma disobbedienti. Come dire che bisogna credere (in Dio), obbedire (a Silvio) e combattere (per Bush)?