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#SexWorking: sessismo e moralismo di certe abolizioniste!

Da Abbatto i Muri:

Sulla bacheca facebook di Angela Azzaro si discute e commenta l’intervista a Pia Covre (che vi invito a leggere per conoscere il suo punto di vista) a proposito di sex working, abolizionismo, atteggiamento culturale e marginalizzazione dei soggetti.

Si interviene a ruota per ragionare di diritti, autodeterminazione, rispetto della rivendicazione dei/delle sex workers.

Intervengo anch’io scrivendo che questi sono temi in cui non si può ragionare per “fede”. E’ necessario il riconoscimento dei soggetti e della loro autodeterminazione. E’ necessario l’ascolto. Ci sono i/le sex workers ai/alle quali non piace essere definite né vittime né colpevoli. Hanno proposte, rivendicazioni, da fare. Si autorappresentano. Ricucire loro il marchio, che poi diventa stigma, della vittima senza starle a sentire sulla base di una convinzione personale non è utile. Esistono le vittime alle quali vanno dati strumenti per salvarsi da sole e poi esistono quelle che scelgono questa professione. Esiste una rete europea di sex workers che afferma che il sex work is work, il lavoro sessuale è lavoro, e esige che sia riconosciuto in quanto tale, perché qualunque lavoro senza tutele, marginalizza, lascia spazio a ricatti e sfruttamento. Evitare di porre divieti significa che chi denuncia sfruttamento sarà aiutat@ e chi invece no potrà godere di garanzie delle quali ogni lavoratrice e lavoratore ha diritto.

A chi dice che non si può mai scegliere il mestiere della prostituta si risponde che: lo stesso ragionamento si può fare sull’aborto. C’è chi ritiene che non sia mai una scelta e sulla base di questa convinzione ci si esercita in forme più o meno repressive di abolizionismo e proibizionismo. Ma una legislazione laica deve lasciare che chiunque scelga e possa godere di garanzie. Non può passare una morale unica che sia valida per tutte.

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Partire da se’, per alcuni uomini, significa scendere dal pulpito

statuaDa Abbatto i Muri:

O dal piedistallo. O dal balcone, a seconda dei casi. Perciò sono restii a farlo.

Avevo scritto questo post commentandone un altro. Avevo fatto un errore: in realtà l’autore del pezzo che commentavo aveva parlato di se’ e questa cosa devo dire che me lo fa piacere molto di più. Pur tuttavia le critiche fatte ad un certo paternalismo, che esiste, restano perché troppa oggi è la tentazione da parte di un certo femminismo istituzional/borghese di legittimare paternalismi e forme “buone” di patriarcato e troppi sono i paternalisti che non attendono altro che l’opportunità per fare delle donne, delle stesse femministe, strumenti buoni per realizzare il proprio progetto sociale, un progetto che adopera le donne considerandole soltanto “vittime”, disconoscendole come soggetti, non rispettandone mai la libertà di scelta. Paternalisti sono i provvedimenti sollecitati dai femminismi istituzional/borghesi in Italia e Francia. Lo è il provvedimento contro il femminicidio, che si sostituisce alle donne vietando la revoca della querela, e lo è anche quello sulla prostituzione in Francia discusso e promosso nonostante le durissime critiche e l’opposizione netta da parte dei/delle sex workers. Paternalista e ugualmente neofondamentalista è il provvedimento spagnolo contro l’aborto, perché il tema è sempre lo stesso: esiste chi sulla nostra pelle realizza biopolitica e sui nostri corpi legifera, pone divieti, in nome di un bene superiore da tutelare.

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Diritto delle donne al lavoro…sessuale

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Traduzione a cura di feminoska di questo articolo di Beatriz Preciado.

Produzione e vendita di armi: lavoro. Uccisione di una persona applicando la pena capitale: lavoro. Tortura di un animale in un laboratorio: lavoro. Fare una sega ad un pene con la mano fino a provocare eiaculazione: crimine! Da cosa si può capire che le nostre società democratiche e neoliberali rifiutano di considerare il sesso come un lavoro? La risposta non va ricercata nella filosofia morale o politica, ma piuttosto nella storia del lavoro femminile nella modernità. Esclusi dal campo di applicazione del sistema produttivo in nome di una definizione che li rendeva beni naturali inalienabili e non negoziabili, i fluidi, gli organi e le pratiche corporee delle donne sono state oggetto di un processo di privatizzazione, cattura ed espropriazione che si confermano al giorno d’oggi attraverso la criminalizzazione della prostituzione.

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