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Un’idea veramente originale: la fica!

unoDa Intersezioni (di Lorenzo Gasparrini):

Finisce il 2013, inizia il 2014 e si sa: è tempo di calendari. Quello per la violenza sulle donne “va un casino quest’anno” (cit.). Oh, finalmente si spendono tempo, energie e risorse per mettere in casa di tante persone qualcosa che, per tutto l’anno, ricorderà un’emergenza sociale così importante come la violenza di genere. Ma come si fa a ricordare un tema tanto spinoso per tutto un anno? Vediamo qualche esempio, tra i tantissimi.

Bruno Oliviero fotografa Kyra Kole

Antonio Oddi fotografa Giorgia Giannandrea

“Il calendario delle studentesse” di Arakne Communication

Ecco come! Con la fica! D’altronde, si sa: i vecchi metodi sono sempre i migliori.

Divertitevi a cercare altri esempi. Le rappresentazioni, al di là delle parole di circostanza di tutti i professionisti interessati, sono del tutto aderenti ai consueti schemi visivi della fotografia di moda più conformista. Simboli e frasi svuotate di senso, patinature, trucchi ed effetti stancanti, pose e scatti già visti migliaia di volte. In tutti i casi, corpi di donna nelle posizioni e negli abiti preferiti dal machismo pornocommerciale: intimo variopinto, qualche sguardo torvo, strappi e tagli, aderenze, magrezze, frasi a effetto, sorrisi di purezza sotto il fard.

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Posted in Comunicazione, Corpi/Poteri, Disertori, Pensatoio, Sessismo.

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One Billion Rising, Eve Ensler e le contraddizioni del femminismo carcerario*

Da Abbatto i Muri:

Quando qui dicevamo che non va proprio bene un femminismo che esorta le donne ad affidarsi a tutori, paternalisti, patriarchi di Stato rinunciando all’autorganizzazione, all’autogestione, all’autonomia necessaria a individuare proprie soluzioni che non legittimino repressione, istituzioni forti, galere, tutte figure istituzionali e cose attraverso cui e dentro cui si pratica violenza anche contro le donne, non si sapeva che la stessa riflessione ampia la stavano facendo in tante in giro per il mondo, stufe e arcistufe di femminismi istituzionali e paternalismi di Stato, e questa cosa ha perfino un nome: lo chiamano “femminismo carcerario” (ovvero un femminismo contrario a – o che addomestica- quello intersezionale, antirazzista, autodeterminato, anticapitalista, non forcaiolo, che ricorda i tempi in cui le femministe libertarie si opponevano al carcere; femminismo carcerario sarebbe invece quello che usa giustizialismo e sponsorizza le galere come presunto strumento di liberazione delle donne). E grazie alla compagna che ha scoperto e tradotto quel che bolle in pentola altrove. Come sempre accade, nel bel mezzo del provincialismo da cui siamo sommers*, quando pensiamo di essere sole a sviluppare intuizioni e pensieri altri capita che per respirare bisogna guardare un po’ più lontano. Quell’ossigeno è un regalo. Perciò grazie a chi lo fornisce, con pazienza, con le traduzioni, con la capacità di non rassegnarsi a quant* ti dicono che così è e così dovrà essere per sempre, o a chi ti ordina, a volte, di lasciare che il femminismo sia immutabile, dogmatico, autoreferenziale e chiuso in se stesso. Di questo femminismo, delle critiche ad esso rivolte, di neocolonialismo e dintorni parla l’ultimo post di Incroci De-Generi. Leggetelo. Perché è davvero utile. Buona lettura!

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Da Incroci de-generi che traduce Prison Culture:

Eve Ensler sembra aver scoperto la violenza di stato…per molti versi nello stesso modo in cui Colombo scoprì l’America. Si è dichiarata pronta a discutere e affrontare le conseguenze negative della criminalizzazione in aumento. Non più di qualche mese fa, il One billion rising, la campagna globale anti-violenza di Ensler, incoraggiava  le sopravvissute alla violenza interpersonale innanzitutto a riferire di stupri e aggressioni alle forze dell’ordine. Questa, secondo la campagna, era la strada per costringere coloro che perpetuano violenza a “farsi carico” delle loro azioni.

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#NoTav: repressione e intimidazioni morali per inibire la solidarietà!

notavDa Abbatto i Muri:

A voi, amanti delle lotte altrove, emozionati quando arrivano notizie dalla Turchia, la Tunisia, e tutte quelle belle nazioni presso cui le rivoluzioni e le azioni di resistenza parrebbero maggiormente motivate come se di capitalismo, sfruttamento e monopolio di territori e della vita delle persone si soffrisse solo lì, e dunque a voi rivolgo una domanda schietta, non prima di avervi definito quadro, contesto e ragione di quella che è diventata una battaglia dello Stato, in difesa delle imprese, contro chi lo Stato lo fa, ovvero le persone, gli abitanti di un preciso territorio.

Avrete certo notato il susseguirsi di notizie che ragionano di crimini e misfatti compiuti ad opera di taluni NoTav. E già pronunciare il nome del movimento, esibirne la bandiera, come fu per la Mannoia o Caparezza, significa essere accusati di responsabilità morali quando si parla di azioni violente contro le persone. Il punto è che a me pare che di persone violentate ve ne siano, certo, in quella valle e sono le stesse persone precipitate da metri e metri da un traliccio scampando la morte per un pelo, quelle che hanno curato e guarito lividi e ferite a seguito lancio pietre, grandinate di lacrimogeni, manganellate sul muso (così raccontano) per predisporre fermi di quella o la tal’altra Marta.

Continued…

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