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Sono migrante, clandestina, sex worker e chiedo la regolarizzazione

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Da Abbatto i Muri:

Sono migrante e di mestiere faccio la prostituta. Arrivo da lontano e vivo con difficoltà la mia scelta. Non sono vittima di tratta, la migrazione è stata una mia scelta così come la prostituzione. Il mio è un lavoro che mi permette di realizzare qualcosa per me e i miei figli. Ne ho due e stanno con mia madre, nel mio paese, purtroppo, perché le leggi sono complicate e conviene un po’ a tutti mantenerci in condizione di clandestinità.

Ho avuto un problema e sono in attesa di capire quello che mi succederà perché per restare in Italia c’era una persona che mi aveva assunta, con regolare contratto, per fare le pulizie a ore. Questa persona è stata in qualche modo intimidita, ha avuto paura di essere accusata per favoreggiamento, non solo del reato di immigrazione clandestina ma anche di prostituzione, perciò non mi ha rinnovato il contratto e il mio permesso di soggiorno è scaduto. Non ho allora più un lavoretto diurno e sono in attesa di risposta per la mia richiesta di rinnovo del permesso e tutto ciò nonostante io abbia soldi da parte, paghi regolarmente l’affitto e riesca a mandare i soldi a mia madre affinché cresca bene i miei figli.

Continued…

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Il femminismo e lo stigma negativo sulla scelta individuale

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Da Abbatto i Muri:

Una volta non essere allineate era un valore. Ora è stigmatizzato in negativo, in funzione di una necessità di un nuovo ordine sociale, e anche alcune femministe lo chiamano “individualismo”. Il punto è che le più grandi ribellioni di cui sono a conoscenza hanno avuto inizio proprio da azioni individuali.

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Il corpo non è mio? Le abolizioniste ne rivendicano la proprietà!

Da Abbatto i Muri:

In quale direzione poteva evolvere la discussione se parte da un “il corpo è mio ma non è mio”? In senso abolizionista (della prostituzione), è ovvio. Perché la deriva delle discussioni tra femminismi è tutta in senso autoritario.

Dicevo, e lo ripeto, che è una trappola, un trucco e che questa retorica è pronta a stigmatizzare chiunque non la pensi così e dunque anche le sex workers, le precarie autodeterminate, quelle che sono “soggetti” non per assoggettamento alla volontà del gruppo ma perché vivono la soggettività a partire dalla propria, consapevole, rivendicazione di autonomia.

Dire “il corpo è mio ma non è mio” significa che c’è qualcun@ che potrà decidere al mio posto, che può arrogarsi il diritto di privarmi della libertà di scelta, che può mettere in discussione il concetto stesso di libertà e autodeterminazione, che può reinventarselo per adattarlo all’esigenza di indottrinamento imposto a donne che dovranno pensare, respirare, decidere e finanche sognare all’unisono e dichiarando obbedienza al capo, o alla capa.

Da tempo la discussione sulle donne è diventata impraticabile. L’irrevocabilità della querela sulla questione della violenza, la sottrazione di un diritto per consegnare il tuo corpo alla tutela dello Stato, lo stesso Stato dal quale bisogna prendere le distanze a gambe levate perché ci impone restrizioni su sessualità, contraccezione, aborto, il paternalismo infame che vittimizza a più non posso le donne e che amplifica e legittima soltanto quelle che si lasciano vittimizzare; i ragionamenti contorti, autoritari, intrusivi, quando si ragiona di violenza sulle donne, che pretenderebbero di fare diventare quel problema una offesa alla morale invece che ad una persona, dunque togliendo alle donne il diritto di decidere quando, se e come denunciare. L’invadenza nelle scelte sessuali, personali, l’invito a tutte, utilizzando lo strumento dell’emergenzialità e della paura, di riunirsi dietro le barricate ad affidarsi ad altre che poi ti portano dritte a votare per i loro partiti. Quella maniera autoritaria di rimettere in discussione perfino l’età del consenso delle donne, la loro maggiore età, chiedendo di innalzarla perché la libera scelta oramai non è considerata libera, non esisterebbe la consensualità giacché tu sei considerata minore e minorata finché l’apposita commissione, di matriarche e patriarchi riuniti, non ti dirà che sei adulta, dove “adulta” sta per “una che la pensa come noi”.

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