Siamo precarie, illegali, disoccupate, criminali, zoccole e latitanti. Abbiamo ordini di sfratto, occupazioni sulle spalle, siamo inseguite dagli ufficiali giudiziari. Abbiamo saltato bollette e pagamenti perché non abbiamo soldi. Lavoriamo in nero, in rosso, in strada, in casa, non lavoriamo affatto. Abbiamo la fedina sporca di lotte, denunce, occupazioni, manifestazioni, resistenza in piazza. Ci chiamano terroriste e siamo femministe, donne, lesbiche, trans, madri, senza conto in banca. Viviamo riciclando vita e bisogni. Ci prendiamo il diritto di respirare, amare, scopare, mangiare, bere, ridere, viaggiare.
#CriminalGirls: la nostra dignità è offesa dalla povertà!
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– Maggio 15, 2013
Roma, 31 Maggio/2 Giugno: GendErotica, Fem Power e Queer Femininity!
Festival internazionale a cura di Eyes Wild Drag
In collaborazione con
Nuovo Cinema Palazzo e Teatro Valle Occupato
Roma, 31 maggio – 2 giugno 2013
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– Maggio 14, 2013
Il medioevo: in nome della difesa delle donne!
Da Abbatto i Muri:
Discutevamo qui con thehighpeak. Di paure, barricate, cani sciolti. 🙂
C’è che discutere tra persone che talvolta hanno idee differenti non è mai una cosa semplice. Io discuto con chiunque non voglia zittirmi/cambiarmi, in un modo o nell’altro, con violenza.
Non sono abituata a mettere lettere scarlatte sulle persone diverse da me. Mi piace che la comunicazione tra umani sia personal/politica. Ci si racconta, reciprocamente, in una affermazione positiva, senza che il racconto di un@ diventi di per se’ la negazione del racconto dell’altr@. E in tutto ciò non serve essere perfettamente affini. Non è così che funziona lo scambio dialettico dell’umanità.
In questo periodo, per esempio, c’è una cosa che mi turba un pochino ed è il fatto che si insiste in questo marchio di infamia per chi mette in discussione il termine “femminicidio” mentre si avvalorano e legittimano tutte le posizioni, incluse quelle pessime, di chi pronuncia la parola femminicidio senza saperne niente. Parlare acriticamente di femminicidio non regala santità così come parlarne criticamente non può regalare affinità con il demonio. Io mi rifiuto di credere che questo debba essere il percorso di inclusione ed esclusione nel discorso pubblico per chi vuole parlare di violenza sulle donne. Femminicidio non corrisponde ad un credo. Non può essere intesa in quanto ideologia rispetto la quale si trova un ulteriore modo di dividere gli umani in buoni e cattivi. Non è possibile che giusto noi che combattiamo contro le paure generate da secoli di formazione sessista riproduciamo schemi che generano altre paure e individuano mostri contro i quali scagliare i nostri poteri di scomunica. Davvero a me comincia a sembrare tutto ciò parecchio inquisitorio. Lo stigma negativo per eccellenza diventa “mette in discussione il femminicidio“, ove per femminicidio si intende il termine e non la violenza sulle donne in se’. Il termine con tutto il carico di emergenza che chi lo pronuncia ostenta. Il che obbliga tutti a essere inclini ad accettare norme autoritarie e repressive che non ci piacciono affatto. Se è questo lo scopo allora smetto di parlare di femminicidio anch’io. Mettetemi nel mucchio, tra i cattivi, e non potete dire che io neghi proprio nulla perché fare un ragionamento critico e laico sulla questione non è “negare“. E chi lo dice ha smesso l’abito civile e ha indossato quello talare, non c’è dubbio.
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– Maggio 14, 2013