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Del femminismo necrofilo e la “vittima” come modello sociale

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Da Abbatto i Muri:

La donna sventrata, impiccata, martoriata, massacrata. Sui media la vedete in tutte le forme possibili e immaginabili. Per mano di commentatrici, blogger e social attiviste quei corpi vengono offerti poi alla folla eccitata che gode mentre spolpa un pezzetto della vittima. Oh, ci fossi stata io al suo posto, sembrano dire in tante. Avrei scritto un best seller e partecipato a mille trasmissioni tv, perché la vittima che sopravvive è l’affare del secolo. Dà lustro ai governi, ai media, ad ogni branco celebrativo e realizza un monito che sta per “i buoni sono questi qui” e tutti gli altri sono cattivi. Oh, se io fossi stato lì a immortalare quel momento, ripensa il fotoreporter, il videomaker, il “giornalista” che vive di macabre oscenità. Ci sono perfino i casi in cui le familiari, come la amabile cugina di Sarah Scazzi, non resistono alla tentazione di godere della beatificazione collettiva celebrata attraverso i media e in una totale dissociazione, per effetto translato, assumono il ruolo della sorella, mater, cugina dolorosa che regalerà al popolo un po’ del suo dolore.

Il femminismo necrofilo, carcerario, feticista del dolore, non disinnesca tutto questo, non decostruisce né sovverte questo immaginario, piuttosto lo alimenta e vi serve in tavola cimiteri, croci, posti a sedere vuoti, sagome simil polizia scientifica, marce in nome delle morte, lista dei cadaveri, giornata in memoria dei cadaveri, statue in memoria delle morte e libri, siti, video, convegni, seminari, racconti, in cui la vittima scompare come soggetto e viene riproposta come mito. Più sei morta e più vali. La violenza non è più una cosa che può succedere e che bisogna risolvere e superare per continuare a vivere. La violenza è quella cosa che ti dà valore. Tu vali perché sei una che ha subìto violenza e giacché lì risiede unicamente il tuo valore continuerai a vivere di una cultura di morte, ancorata al passato, invece che andare avanti e scrollarti di dosso il ruolo della vittima che è il più terribile che ci sia.

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Neocolonialismo, pornoindignazione e sedativi sociali

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Da Abbatto i Muri:

Questa settimana avete avuto la vostra dose di pornomostruosità per pornoindignazione. C’è da soddisfare per un mese anche i pruriti delle forcaiole neocolonialiste che concludono che i patriarcati altrove e le culture di violenza sessista dipendano sempre da fattori etnici e non di tipo culturale. Perciò correte tutte a mettere un like per “salvare” le ragazze che nel mondo vengono offese, umiliate, stuprate e uccise. Ci sono alcune, poi, che dicono: vedete? eccola la dimostrazione del fatto che le donne sono vittime di brutalità atroci perché l’uomo, in quanto uomo, è cattivo. Si dice questo senza che si analizzino le cause e le fonti culturali, chiunque sia a veicolarle, o senza che si ragioni sulla prevenzione, che si provi ad arrivare a conclusioni di buon senso.

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#Zanardo: chi non la pensa come lei odia le “ragazzine”?

Da Abbatto i Muri:

Non mi interessa stabilire quanto e come il lavoro di Lorella Zanardo sia efficace nelle scuole. Lei è portatrice di una sua precisa idea di interpretazione del linguaggio dei media a proposito dei corpi delle donne e ha tutto il diritto di fare, dire, pensare, quello che vuole. Non condivido gran parte delle cose che scrive, se non l’idea di base che spiega di media che raccontano una immagine femminile sempre e solo funzionale ad un certo target sessista, ma una cosa è lo studio di un linguaggio comunicativo e un’altra è invece la maniera in cui poi da quell’idea viene fuori una pretesa evangelizzazione delle ragazzine. Trovo perciò maternalista il tono dell’ultimo post della Zanardo, perché mi pare ricalchi molto quello di Concita De Gregorio nelle sue ultime prove a proposito delle babysquillo e perchè, come purtroppo spesso viene fuori dagli scritti di questo tipo, le ragazze ne escono fuori tutte simili, con eguali esigenze e tutte bisognose di una grande madre che le guidi nella direzione giusta: di qua la maniera errata di mostrare il corpo e di là – ecco, sentite – vi spiego io qual è l’unico modo per essere nude e liberate. In questo senso mi pare che non ci siano “donne che odiano le ragazzine” – e già definirle ragazzine, quindi minorenni, da tutelare e proteggere, ergendosi ad unica protettrice della loro fragile identità, diventa una cosa che mette in chiaro quali siano i ruoli – mi pare invece che ci siano donne che auspicherebbero, come altre volte ho letto, che “giovani attiviste crescono“, dunque ragazze consapevoli e impegnate a puntare l’indignatissimo dito contro questa o quell’altra trasmissione televisiva, non già per costruire qualcosa di alternativo e diverso ma per continuare in una critica, moralizzazione, che finisce per rendere il femminismo un campo di battaglia. Lì è la semplificazione atroce, frutto di anni di cultura che finisce per essere, certo, moralista, in una lotta ideologica che pretende di partire dai bisogni delle “ragazzine” per poi vedere schierate, in campi contrapposti, le titolari dell’impegno a tutela del corpo delle donne e quelle che invece lo consegnerebbero ai maschilisti e al patriarcato.

Forse che parlare di corpi delle donne in un modo diverso e con altri toni, meno maternalisti, significa odiare le donne o addirittura le ragazzine? E non è questo forse il modo di polarizzare uno scontro, giusto a partire da chi usa toni di questo tipo liquidando le critiche come fossero banale frutto della macchinazione del nemico? Esisterebbero perciò le salvatrici con vocazione terapeutica per queste fanciulle dai corpi esposti e poi le altre, quelle che le guiderebbero verso una cattiva strada? Vi spiego cos’è una idea diversa del fare femminismo, che non sia un eterno ribadire che all’estero sarebbero tanto più civili di noi, perché anche noi leggiamo l’inglese e quello che troviamo è che c’è un femminismo mainstream, appunto, che recita lo stesso verbo utile alla vittimizzazione delle donne ma poi ce ne sono mille altri che raccontano cose completamente diverse. Sono, per esempio, femminismi che hanno ben chiara una idea dell’attivismo femminista che non necessariamente produce video, poi libri, seminari, in una perfetta idea manageriale e americaneggiante della diffusione di un pensiero che diventa la ricetta giusta con i dieci passi per vivere felici.

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