di Panta Fika
Anche in Brasile è saltato il tappo e la protesta sociale si è riversata nelle strade di San Paolo, Belo Horizonte, Brasilia, Rio de Janeiro. Leggo da Repubblica che la miccia è stata accesa dal rincaro dei trasporti pubblici e dalle spese per i mondiali di calcio giudicate eccessive. In Turchia gli alberi, in Brasile il costo dei mezzi pubblici e, magari, anche quelle spese per i mondiali giudicate eccessive, stando a Repubblica, cioè, ritenute tali, poi non è mica detto che lo siano. Mi chiedo se Repubblica ignori, o finga di ignorare, che le proteste contro lo smantellamento del villaggio indigeno di Maracanà per le grandi opere dei mondiali di calcio sono in atto almeno da alcuni mesi e riguardano, a Rio de Janeiro come a Istanbul, la gentrificazione di un’area da cui vengono espulsi gli indigeni per far spazio a nuove infrastrutture, architetture commerciali e spazi legati agli eventi sportivi. In Brasile la risposta del governo è stata espressa nella stessa lingua di Erdogan, cioè quella militare, non solo del manganello, ma anche dei proiettili di gomma e dei gas urticanti. E’ accaduto già qualche mese fa, nonostante sembri che non se ne sia accorto nessun@. Neanche le tette al vento di una Femen, che solitamente destano un gran clamore, erano riuscite ad attirare l’attenzione mediatica sullo sgombero atroce di Maracanà.
Già nel passato novembre il movimento copa pra quem?/mondiale per chi? aveva lanciato una petizione online contro lo smantellamento del villaggio indigeno Maracanà e aveva indicato chiaramente le ragioni della sua protesta