di Elisabetta P.
Questo scritto non vuole essere né la dimostrazione di una tesi né la confutazione di un’altra; vorrei provare a fornire un ulteriore punto di vista su una vicenda pubblica, che è stata anche vicenda giuridica, e che prima di tutto, questo è sempre da tenere bene a mente, rimane un fatto umano e privato.
L’occasione per parlare di Linda Susan Boreman, in arte Linda Lovelace, attrice americana di film a luci rosse, tra cui il noto ‘Deep Throat’, e di quel che è accaduto intorno al suo personaggio, mi viene data da questo post. L’ho letto diverse volte, e mi ha lasciato una sensazione di incompiutezza, il tipo di disagio che si prova di fronte ad una ricostruzione parziale.
Nel post si suggerisce che gli abusi, e le indicibili violenze narrate e riferite, sia nei suoi testi autobiografici sia in alcune interviste, da Boreman, siano nati e maturati nell’ambiente delle produzioni pornografiche: quelli che sono degli stralci e delle citazioni di Linda Boreman, divengono infatti esemplari della coercizione che vi può essere nel mondo del porno, ed è proprio qui che si produce un’equazione niente affatto scontata, è qui che alcuni fatti circoscritti e allo stesso tempo controversi (in quanto nell’arco della sua vita Boreman darà versioni contraddittorie di alcuni eventi, soprattutto di quelli correlati ai suoi film e all’ambiente del porno) vengono semplificati e ridotti, senza avanzare nessun dubbio e senza restituire la dovuta complessità a quel che è stato.
Linda Lovelace assurge per l’ennesima volta a simbolo di una generica struttura coercitiva in essere nella cinematografica porno.
Cerchiamo di fare chiarezza in una storia lunga e dalle immancabili zone d’ombra; le violenze, lo spiega la stessa Boreman nell’autobiografico Ordeal (1980), sarebbero state perpetrate dal suo compagno, Chuck Traynor, e hanno quindi una connotazione tipicamente relazionale.
Ciò non vuol dire che chi fosse stato a conoscenza della difficile situazione di Boreman, compresi registi e produttori, non sarebbe dovuto intervenire in suo aiuto, allo stesso tempo non possono essere responsabilizzate tutte le persone che le erano vicine e che Boreman ha incontrato nella sua carriera e nel suo privato.
Un breve estratto dal saggio di Nadine Strossen, Difesa della pornografia (Castelvecchi, 1995):
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