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Identikit sessuato di una vittima di violenza

1173845_637278386291099_1286171987_nDa Abbatto i Muri:

Ve ne descrivo una, poi decidete voi se è una descrizione valida anche per altre persone che conoscete. Intanto questa vittima di cui parlo rutta, scorreggia, caga e piscia. Non è la madonna, non ha l’aureola, non è asessuata. E questa descrizione minima vale per chi pensa che le vittime bisognerebbe adorarle invece che ascoltarle, perché l’ascolto, effettivamente, è più impegnativo, costa fatica e se poi quella vittima parla ti rendi conto che non è una santa e smetti perfino di appassionarti alla sua vicenda.

Perciò affinché certe strenue lottatrici contro la violenza sulle donne possano continuare la loro tenera e solidale attività serve che le vittime non proferiscano parola, così può essere mantenuta l’illusione di celestiali forme che parlano dicendo sempre la cosa giusta perché è loro obbligo quello di essere mostri di perfezione, coerenza e integrità. Santificare la vittima di violenza togliendole umanità, desideri propri, è il modo migliore per sovradeterminarle e sostituirsi ad esse.

A ogni sacerdotessa del tempio, d’altro canto, serve una icona muta, una statua di pietra, un quadro attaccato alla parete con una figura in nome della quale poter dire messa e regalare riti e estreme unzioni. Immaginate lo sconforto di queste volontarie dell’antiviolenza quando la vittima prende vita, parla senza chiedere il permesso e senza essere perfettamente in linea con le loro opinioni, dopodiché usa perfino quel linguaggio che la fa tanto umana. Continued…

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C’era una presentatrice che strumentalizzava la violenza per ottenere audience

Da Abbatto i Muri:

Una volta fui invitata in una trasmissione televisiva, tempo fa. Mi dissero che si parlava di argomenti vari e che la mia presenza era utile perché sapevo cose, avevo fatto cose, avevo scritto cose. In camerino chiedono come sto, e io già non capisco, poi la presentatrice spara il fatto che voci di corridoio dicono che io avrei subito una violenza, però non ne parleremo, no no, è solo per fare due chiacchiere tra noi e darti la mia solidarietà, così dice la conduttrice. Invece arrivo alla postazione, mi siedo, e come avrei dovuto prevedere viene svenduto il mio privato al pubblico che attende dettagli morbosi sulla mia esistenza.

In camerino mi dicevi di aver sofferto tanto – esortava la presentatrice – e il pubblico puntava lo sguardo nella mia direzione sicché già la sola attesa di una mia risposta portò la trasmissione a punte altissime di share. So che non ti piace parlarne perché deve essere parecchio doloroso ma qui siamo tutti con te, guardate pubblico, diteglielo che siamo tutte con lei, fate sentire il vostro calore e affetto. E parte un applauso che avrebbe stuzzicato la vanità di chiunque. Chiunque meno che la mia. Sapete: ho studiato comunicazione, so esattamente quando e come viene usato un fenomeno da baraccone nelle trasmissioni televisive e so quando la persona invitata viene spogliata di dignità e perfino della facoltà di scegliere cosa dire perché quello che importa è fare audience e non c’è altro.

La stessa dinamica potete vederla in atto a partire da chi gestisce spazi su qualunque media. Prendi i blog, per esempio, più la storia è inframmezzata di dettagli macabri e meglio è. Più si riesce a tenere alta l’attenzione di un pubblico di voyeur del dolore e più accessi hai. Perciò sono benvenute le foto macabre, le scene del terrore, le parole che evocano la sofferenza e i processi mediatici all’accusato, perché la vittima serve a sfogare un po’ di istinti forcaioli e inquisitori che già possiedi, li hai dentro, è puro egocentrismo giacché delle persone di cui parli, in realtà, non te ne frega un cazzo. Quello di cui ti importa, alla fine della giornata, del tutto irresponsabilmente, è solo avere un tot di condivisioni e così hai risolto il tuo vuoto identitario, la noia della tua giornata, la tua necessità di proiettare tue sensazioni sulle vicende altrui per compiere elaborazioni sulla loro pelle, così hai realizzato la tua fuga dai tuoi personali problemi, tu che sei una che dice di violenza e narra vittimismo da mattina a sera e candidi te stessa al ruolo di professionista dell’antiviolenza.

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Lettera a una vittima di violenza

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Da Abbatto i Muri:

Cara vittima di violenza, parlo con te che la violenza l’hai vissuta per davvero. Io mi rivolgo a quella che ha avuto la forza e il coraggio di dire No e che ha mollato ogni pur minima certezza per rintracciare nuove parentesi di libertà. Parlo con la donna che sta a spalle dritte, che ha uno sguardo fiero, giacché si sveglia e cammina, con orgoglio, tutti i giorni. Parlo con quella che sa bene che il vittimismo non risolve niente e che dopo un terremoto c’è da tirare su le maniche e ricostruire.

Parlo con te perché io ti conosco, so cosa stai passando, so quanto è difficile e so quanto è rischioso il fatto che tu ti lasci incantare dalla retorica vittimista che sembrerebbe benedire il tuo martirio ma poi, alla luce dei fatti, se anche ti dedica una statua sconcia o un convegno a tema, ti lascia sola nelle cose concrete, quelle che ti servono davvero. Tu sai, mia cara, che quelle come noi con le belle parole possono ripulircisi il culo. Sai anche che a sfruttarti come fenomeno da baraccone, fingendosi interessati alla tua “esperienza”, infine ti usano come testimonial muto, che non può neppure esprimere una opinione, per raccattare benevolenza o addirittura ruoli di prestigio e soldi in quella o nell’altra direzione. Sai che nessuno ti dà gli strumenti che ti servono quando chiedi solo di ricominciare, poter disporre di una casa, un reddito, per non dipendere da nessuno.

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