Questa mattina mi sono imbattuta in un articolo che metteva in relazione la fine del femminicidio con il “modello Malala”. In effetti una relazione ci sarebbe – in realtà anche più di una – ma andrebbe indagata più in profondità di quanto abbia fatto l’autore e ribaltando la prospettiva, perché di Malala Yousafzai noi consideriamo solo la nostra narrazione, quella occidentale, che fa di questa ragazzina l’icona della lotta per il diritto allo studio contro quell’oscurantismo islamico al quale non esitiamo a dare l’esclusiva della qualifica di terrorista. Dunque, Malala Yousafzai come icona della lotta per l’autodeterminazione delle donne contro la violenza patriarcale dell’Islam è la vulgata comunemente diffusa e accettata anche da certo femminismo radical-liberale che però si rifiuta di mettere in relazione questa storia anche con un altro fenomeno, cioè con la cosiddetta sindrome del salvatore bianco.
Stando a quanto leggo, le sue parole sul regime talebano, raccolte in un blog, sono state dei proiettili che hanno rimpicciolito il machismo locale[…]Il modello Malala vale per tutti i territori rattristati da una guerra. Il conflitto italiano è nei corpi morti delle donne che i maschi mettono davanti a sé per dominare la propria paura. Ora, se è vero che il nostro corpo è un campo di battaglia, è altrettanto vero che su quel campo si combattono da sempre non una, ma innumerevoli guerre: non solo quella dei maschi alle prese con la propria paura – di cui ci sarebbe piaciuto sapere qualcosa di più dall’autore dell’articolo in questione – ma anche quella delle istituzioni che si arrogano il ruolo, anche quando non richiesto, di tutori, difensori, normalizzatori e infine salvatori tanto dei nostri corpi quanto dei nostri presunti diritti. Il decreto sicurezza spacciato per decreto sul femminicidio ne è riprova, così come ne è riprova quell’occidente che si è impossessato della storia di Malala e l’ha trasformata in una rasserenante favola dal lieto fine, in cui l’uomo bianco trionfa in qualità di salvatore della ragazzina oppressa e attentata dall’uomo nero.