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La contraddizione di genere e il conflitto di classe

7444_463996093689868_1724386579_nDice Wu Ming 1, in un suo commento:

La contraddizione di genere ha che fare con la divisione del lavoro in base al genere, con la guerra tra poveri in seno al contingente degli sfruttati (lo sfruttato che sfrutta la sfruttata), con un colossale monte-ore giornaliero planetario di lavoro (quello domestico) che non viene riconosciuto come tale e non viene retribuito perché è considerato parte della “naturale” divisione dei compiti tra i generi (è “naturalmente” compito della donna dedicarsi a certe mansioni e non altre). Sessismo e razzismo sono principii regolatori inconfessati del mercato del lavoro, servono a stabilire gerarchie tra i lavoratori, e quindi antirazzismo e antisessismo sono parte della lotta di classe. Bisogna avere un’idea ben riduzionistica del “lavoro” per pensare che la contraddizione di genere sia esterna alla tematica.

Parto da qui per ragionare di donne e lotta di classe. E’ chiaro che, come dice Wu Ming 1, la questione si riferisce al “contingente degli sfruttati”. Ma oltre gli sfruttati ci sono gli sfruttatori e le sfruttatrici e in quel senso la “lotta di classe” viene piegata soltanto alle esigenze di conquista di più alte posizioni di potere a partire da donne che evocano la discriminazione di genere per accedere alle vette attraverso le quote rosa.

Antisessismo e antirazzismo sono parte della lotta di classe ma non possono sostituirsi ad essa, negarla, rimuoverla e in realtà è quello che è successo a partire dal fatto che le alleanze identitarie interclassiste hanno decisamente offerto un alibi a chi voleva davvero rimuovere il conflitto di classe. Le politiche dell’identità (di genere) ad esempio, come si scrive qui, si oppongono al classismo ma lasciano la società di classe intatta.

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Lombardia, legge sui rom. Lettera al Ministro Kyenge

Dall’associazione 21Luglio:

In una lettera inviata al Ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge, l’Associazione 21 luglio esprime profonda preoccupazione per un recente progetto di legge sui rom avanzato da due consiglieri della Regione Lombardia. «Norme discriminatorie e lesive della dignità umana», afferma l’Associazione.

Il progetto di legge che ha motivato la lettera al Ministro è il n. 0059 ed è stato presentato lo scorso 23 luglio dai due consiglieri regionali lombardi Riccardo De Corato e Francesco Dotti del gruppo Fratelli d’Italia. Il testo ha per oggetto “Regolamentazione e disciplina degli interventi sulla presenza delle popolazioni nomadi e di etnia tradizionalmente nomade o semi-nomade nel territorio lombardo” e detta norme in materia di alloggio, accesso ai servizi socio-sanitari e accesso educativo scolastico.

Tali norme, secondo l’Associazione 21 luglio, «sono lesive della dignità umana e gravemente discriminatorie nei confronti dei circa 8.500 rom e sinti che vivono in Lombardia».

La proposta legislativa, in più, si basa ancora una volta sull’assunto infondato che identifica gli appartenenti alle comunità rom e sinte come “nomadi” ponendosi quindi in aperto contrasto con la “Strategia Nazionale di Inclusione dei Rom, Sinti e Camminanti”, adottata dal Governo italiano in sede europea nel febbraio 2012, secondo cui tali comunità sono da considerarsi «ormai sedentarie».

Sul tema dell’abitare il progetto di legge non prevede per i rom e i sinti lombardi alcuna soluzione abitativa diversa dalle “aree di transito” e dalle “aree di sosta”, sebbene la Strategia Nazionale in maniera ripetuta raccomanda come «è un’esigenza sempre più sentita dalle stesse autorità locali il superamento dei campi Rom, in quanto condizione fisica di isolamento che riduce la possibilità di inclusione sociale ed economica delle comunità rom e sinte».

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Il diritto “naturale” delle madri e gli uteri in affitto

autodeterminazioneC’è una discussione in corso, sollecitata da fonti cattoliche (l’Avvenire) ma che coinvolge anche alcune femministe, a proposito del fatto che le coppie che non possono avere figli, sia etero che gay, per cause varie, non avrebbero il diritto di ricorrere all’utero in affitto anche se le donne che affittano quell’utero lo fanno consapevolmente, per scelta, dunque senza alcuna imposizione, e vengono pagate per questo.

Naturalizzare il diritto alla genitorialità fu anche la premessa che consentì in Italia l’approvazione della legge 40, quella sulla procreazione medicalmente assistita, con una zona monca poi di fatto aspramente criticata da sentenze di cassazione e rivisitazioni giuridiche varie. Si imponeva, infatti, che quella procreazione potesse avvenire ma solo con l’uso di ovuli e semi della coppia. Perché se non puoi avere figli significa che la natura vuole così. E di accettazione del destino naturale in accettazione del destino naturale si va avanti per parentesi discriminatorie che non capisco cosa c’entrino con il femminismo.

Per esempio, come già ho scritto, non capisco la posizione della Terragni, sebbene lei sia d’accordo che coppie lesbiche possano avere un figlio, dunque possano accedere all’inseminazione, mentre le coppie gay no. Dunque va bene la “mercificazione” del seme maschile ma quel che riguarda il femminile non si tocca. Si può dire che l’uomo impiega un seme e le donne che donano ovuli e poi affittano perfino l’utero mettono a servizio della natalità su richiesta di altre coppie molto ma molto di più. Ma si parla sempre di libertà di scelta. Se una donna vuole farlo, vuole affittare l’utero, come in generale affitta braccia, gambe, corpo per qualunque lavoro, perché non può farlo?

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