Da Abbatto i Muri:
Arianna scrive:
hai letto come vengono presentate le notizie sulla ragazza in coma e incinta, ferita dall’aggressione del vicino di casa? Una gravidanza di 10 settimane è ancora il tempo in cui si può parlare di aborto (si parla di feto e non di bambino e l’ivg si può fare entro la 12esima settimana).
Ora, al di là della etica del tentare di salvare sempre una vita, e del pathos necessario alla notizia, sul fatto in questione si batte molto il chiodo che – benchè la “madre” sia cerebralmente morta, il “bambino” in gestazione da 10 settimane va salvato.
Sta passando il concetto che sei “madre” da quando hai il ciclo, pure da morta il tuo utero è un santuario, e sei “bambino” da quando scodinzola uno spematozoo in vagina (santificato dal sacro luogo)…
Non avevo letto la notizia e non avevo analizzato i termini usati. Non mi sorprende che in Italia, luogo in cui si porta avanti una retorica antiabortista al punto che ad alcune persone sembrò perfino normale parlare di fecondazione post mortem anche per Eluana Englaro, i media trattino la questione con tanta enfasi e, considerando la ragazza vittima dell’aggressione un semplice contenitore, la cui capacità di relazione vitale non è evidentemente richiesta per fare crescere e nascere quel feto, ne facciano un ulteriore feticcio utile a svuotare di senso la Legge 194.
Per alcuni media, certamente, non c’è situazione migliore di questa giacché se si parla di feti e donne si preferisce quasi che siano defunte affinché non possano pronunciarsi in senso autodeterminato. Non entro nel merito della scelta della ragazza. Immagino volesse portare avanti la gravidanza, forse la sua famiglia concorda con il parere dei medici, anzi spero sia così perché diversamente, in mezzo al gran dolore che stanno vivendo, tutto ciò diventa incomprensibile. In ogni caso non cambia il fatto che il modo in cui i media stanno speculando sulla faccenda e stanno amplificando la notizia è strumentale, fuorviante, e ancora una volta ripropone una mistica della maternità celando il fatto che quando fai crescere un feto dentro una donna morta, chiamata “madre” anche se madre non è stata e non sarà mai, si pone un problema etico di non poco conto.