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Chi tiene i figli e le figlie delle vittime di violenza al riparo dalle conseguenze?

Da Abbatto i Muri:

Vale ha letto il racconto di Patrizia e questo è il commento che ha scritto, di getto, per raccontarsi. La ringrazio davvero e ripubblico qui perché altr* possano leggere, riconoscersi, sentirsi meno sole/i. Buona lettura!

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Anche io ho vissuto con una madre vittima di violenza e ovviamente questo racconto mi scuote e sconvolge molto, perché dentro di me non riuscirò mai a sopire quel rancore e quella rabbia che provo per lei. Mia madre e mio padre si sono separati quando io avevo sei anni. Fin lì direi infanzia piuttosto tranquilla. Mio padre sicuramente era un irresponsabile e un immaturo, ha continuato ad esserlo nel tempo e lo é tuttora, ma mai si sarebbe permesso di fare a me e mia madre quello che ci ha fatto Stefano…

Non ricordo esattamente quando Stefano sia entrato nella nostra vita. Forse avevo 8 anni, non so. Non so nemmeno dire per quanti anni ci sia rimasto. A me sono sembrati tantissimi ma forse sono stati circa 3. Di sicuro a quel tempo avevo un rapporto totalmente simbiotico con mia madre e Lui lo percepivo come un grande intruso. Venne a vivere da noi e io, con la mia logica di bambina che si vedeva derubata dei suoi spazi e dell’affetto esclusivo della sua mamma, lo odiavo. Mia madre non mi ha aiutato per nulla in questo. Era totalmente dipendente da quell’uomo, da quell’amore, da quella passione. Niente discorsi carini per farmi indorare la pillola. Lei si era innamorata e lui veniva a vivere con noi. Punto.

Lui voleva che lo chiamassi “papà” ma io non ne avevo alcuna intenzione. Mia madre lo appoggiava e mi faceva sentire un’egoista per il fatto che non ricambiassi lo stesso livello di affetto che a quanto pare provava lui nei miei confronti. Da quando c’era lui si era trasfigurata. Lui era al primo posto su tutto. Lui le diceva di mettersi i tacchi alti e il rossetto rosso e lei che non l’aveva mai fatto lo faceva. Lui voleva che io adorassi sua madre e suo padre come come loro adoravano me e che li considerassi miei nonni. Dovevo andare interi weekend con loro. Io non li sopportavo. Mi annoiavo. Io ero sempre stata abituata a giocare con i miei amici del cortile, andare spericolata in bicicletta, inventarci nuove avventure, stare sempre all’aperto. Invece dovetti rassegnarmi a passeggiatine mano nella mano con questi nonni acquisiti (che io non avevo scelto) in posti di montagna abitati da 90 persone praticamente tutte in età da pensione.

Continued…

Posted in Affetti liberi, Omicidi sociali, Personale/Politico, Storie violente.


Femminicidio: il corpo delle donne e l’emergenza sociale

«Prevenzione e contrasto della violenza di genere»
Una proposta di riflessione sul decreto-legge n. 93

Lo scorso 8 agosto il governo ha approvato un decreto legge piuttosto composito che tratta anchedi violenza sulle le donne. Il giorno seguente – 9 agosto 2013 – le prime pagine dei quotidiani nazionali annunciavano con entusiasmo l’approvazione di un provvedimento contro il “femminicidio”. Ad oltre un mese di distanza, lo scarto che intercorre tra la complessità e l’eterogeneità dei temi su cui si esprime la legge e la sua riduzione mediatica a un decreto compatto contro la violenza di genere merita di essere interrogato nuovamente (1). Nel frattempo, a partire dal 17 agosto 2013, il decreto è entrato effettivamente in vigore.

La prima ragione per cui approfondire la materia e la forma del decreto-legge 93 risiede nel fatto che in regime di governance biopolitica ogni attività di giuridificazione esplicitamente rivolta a soggettività specifiche e incarnate è, in realtà, portatrice di valenze più generali. In fase di crisi, inoltre, la ristrutturazione degli assemblaggi politico-istituzionali attraverso processi normativi parziali e segmentati tende ad assumere forme e modalità particolarmente accentuate. Questa assunzione primaria – che definisce anzitutto un metodo d’analisi – suggerisce una prima questione. Ovvero: qual’è il senso del decreto sul “femminicidio” nel contesto specifico in cui è stato emanato e con le caratteristiche proprie che lo caratterizzano? Il problema è complesso e non prevede una soluzione unica e definitiva. Tuttavia, la sua formulazione permette di confrontarsi criticamente con un regime discorsivo che, in ultima analisi, sembra impedire la messa a fuoco precisa del fenomeno della violenza di genere. Il discorso pubblico sulla violenza – al contempo istituzionale e mediatico, secondo una dinamica di performatività reciproca tra i livelli – si articola attraverso due strategie retoriche, solo apparentemente contraddittorie. Da un lato si registra la ricorrenza a una retorica emergenziale e, per altro verso, si può osservare il ricorso a una sorta di paradigma della “civilizzazione”.

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Posted in Comunicazione, Critica femminista, Omicidi sociali, Pensatoio, R-esistenze, Scritti critici.


Chi non ha mai fatto finta di avere un orgasmo?

da Abbatto i Muri:

Si, si, si, di più, più giù, ancora, fantastico, eccerto, già vengo, arrivo, sono a meno tre, due e mezzo, due, uno e tre quarti, sguish, lui viene.

Se vuoi che lui finisca prima devi fingere. E questo è quanto. E’ l’unica strategia fondamentale da seguire per evitare di sostenere un peso intollerabile, fastidi intervaginali, sudore gocciolante, il raschiamento derivante da peluria ruvida. E’ quando non ti piace ma te lo devi far piacere per far piacere a lui. A cosce larghe, misuri il tempo e via.

L’orgasmo finto è quella cosa che se la fai in fretta allora lui viene prima, perché lo eccita, e dunque puoi tornare a fare qualunque cosa tu stia già facendo. Chiunque abbia in mente di sapere perché mai ad una donna non possa piacere fare sesso con quell’uomo allora scoprirà che non è frigida, non ha alcuna patologia, che avere orgasmi multipli non significa che è ninfomane e che esigere un cunnilingus non vuol dire essere una puttana.

Darti carta d’accesso al mio corpo, ai miei respiri, alla mia eccitazione, non vuol dire che ti amo, non significa che pretendo che mi ami, perché il sesso non è amore e l’amore non è sesso. Farli coincidere, spesso, quando naturalmente non sono aspetti concilianti, significa generare tragedie.

Visione generalizzata delle relazioni è che se hai accesso al mio corpo allora mi possiedi e la mancata consensualità ad altri rapporti da parte dell’oggetto del desiderio genera autentiche catastrofi. Perché l’oggetto sessuale non è visto in quanto persona, soggetto autodeterminato, ma, appunto, soltanto in quanto oggetto del proprio desiderio.

Dare ad una donna la libertà di fare sesso per piacere e non per dovere riproduttivo di moglie e madre significa anche assegnarle la libertà di gestire la riproduzione. Io faccio figli perché voglio e non come conseguenza al mio desiderio sessuale.

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Posted in Corpi, Critica femminista, Pensatoio, Sensi.