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Uno spot del 1522 che invita alla delazione?

Da Abbatto i Muri:

Ho appena visto uno spot del 1522 in cui si invitano i vicini a chiamare nel caso in cui sanno di una violenza. Ho sentito bene? E’ questo l’ultimo spot? Davvero incoraggiano la pratica della delazione contro ogni scelta autodeterminata?

Una donna che subisce violenza deve risolvere anche una dipendenza e se non sceglie da sola di chiedere aiuto e uscirne qualunque ingerenza esterna sarà sempre respinta, con il risultato, casomai, di rendere ancora più solido, il legame, che assume parvenza di complicità e trasgressione, tra la vittima e la persona che la maltratta.

Non c’è modo migliore per dare appeal alla situazione di violenza che quella di trattarla come un problema morale, di ordine pubblico, responsabilizzando persone terze a “salvare” qualcuno che in ogni caso deve poter avere diritto di scelta.

E quando una persona chiama, dall’esterno, per denunciare che la vicina ha urlato di notte, sempre che non sia perché ha avuto un orgasmo, il 1522 cosa farà? Ha l’autorizzazione di violare la privacy della coppia? Manderà la polizia anche se non è stata chiamata? Esattamente come vorrà imporre l’operazione di salvamento coatto?

Sempre più basita per i risvolti autoritari della maniera in cui la questione in Italia viene affrontata…

A margine, una ulteriore riflessione:

come si spera di dare sicurezza alle donne rendendole insicure, non protagoniste delle proprie scelte? E ancora una volta, se hai in mente di aiutare chiunque la prima cosa che fai è metterti in relazione con quella persona, indicare possibili alternative, informarla, certo, ma chiamare alle sue spalle un riferimento istituzionale, farle piombare in casa la polizia non la aiuterà affatto. La farà sentire solo molto più sola. Inascoltata. Con l’orgoglio di volere dimostrare, appunto, che lei non è una incapace di intendere e volere. Lei non è malata.

Continued…

Posted in AntiAutoritarismi, Comunicazione, Corpi/Poteri, Critica femminista, Omicidi sociali, Pensatoio.


La controriforma delle femministe borghesi

7965_608426979176240_1589971542_nTra donne, si sa, esiste un terzoposizionismo latente, dove il né destra né sinistra si annulla in un donnismo che dovrebbe comprendere tutte le sensibilità. In quanto donne, dobbiamo pensarla allo stesso modo. In quanto donne, d’altronde, siamo ferite, ed è quel “in quanto donne” che annulla, sovradetermina e rimuove ogni differenza. Perché in realtà non è affatto “in quanto donna” ma ” in quanto un certo tipo di donna”.

Rimuovere il conflitto di classe, per esempio, è la conseguenza, forse l’obiettivo, di tanto donnismo, giacché se siamo tutte uguali, perché piangiamo uguale, soffriamo uguale, defechiamo uguale, significa che non ci sarebbe alcuna differenza tra ricche e povere, precarie e borghesi o precarie imborghesite e precarie che non sanno dove sbattere la testa per campare. Né destra né sinistra, appunto.

Rimuovere il conflitto tra identità politiche mira allo stesso, identico, obiettivo e quando parlo di identità politica non parlo di partiti, giacché oggi puoi dirti di sinistra ma se non sei libertaria e punti tutte le soluzioni sulla repressione, sulla censura e sul giustizialismo sei decisamente fascista.

Da quando gruppi di donne, prevalentemente quelle dei collettivi femministi antagonisti, hanno chiaramente detto che delle ammucchiate bipartisan, delle assemblee interclassiste e politicamente trasversali, non sappiamo che farcene, che non basta avere un utero per dirsi unite, ché il punto è confrontarsi sui singoli obiettivi e lì poi scopri che ti è più vicina la persona che credevi più lontana e che ti è più nemica quella che si diceva invece amica tua, da quando tutto questo si è reso evidente, dove generazioni di donne che non sono imborghesite, lottano nei movimenti, scendono in piazza e prendono legnate per rivendicare diritto alla casa, al reddito, all’esistenza autodeterminata, arriva la controriforma delle femministe borghesi.

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Sei post-femminista: l’insulto politically correct delle evangelizzatrici di massa!

UntitledIl concetto viene tirato fuori a partire da contesti in cui non possono più dirti espressamente che sei una seguace del maschilismo. Perché, ricorda: tutto quello che non fa capo al femminismo radicale, ovvero quello delle militanti antiporno e del comitato per la purezza dell’orgasmo, quello che “donna” è meglio in qualunque sua parvenza e se pensa autodeterminata è maschia, ovvero, maschilista, ovvero, politicamente parlando, è post-femminista.

Il femminismo, quello vero, pensato, respirato, finanche defecato da alcune donne, è giusto quello che praticano loro che irreprensibilmente dettano il verbo, la norma, che deve stare bene a tutte.

Per fare passare come buone le loro anacronistiche tesi, a partire dalle quali danno delle puttane alle puttane (ti vendi al patriarcato!!!), delle masochiste a quelle che nel sesso preferiscono farsi legare e danno delle donne permale alle porno star (cattiva, fai ergere peni e induci perfino alla masturbazione qualche donna!!!), son concentrate nel descrivere i mondi di donne che a loro non somigliano come sporchi, orribili, violentissimi, in cui le donne subiscono sempre e comunque, che poi è come dire che se stai in famiglia non ti succede niente, che se ti spogli e se ti esponi alle violenze te ne capiteranno di peggio.

Brutte e cattive le femministe che parlano di post-porno, di prostituzione libera e autodeterminata, di mettere fine alla repressione e alla proibizione. Brutte e cattive quelle che hanno da tempo abbandonato i santi crismi della beddamatresantissimosità e non valorizzano la differenza uterina (siamo queer, perdio!). Brutte quelle che raccontano la precarietà senza fare alcuna distinzione tra tutte le forme di sfruttamento.

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