Oggi sarò lapidaria. E’ il 25 novembre, giorno in cui le istituzioni fingono di interessarsi alla lotta contro la violenza sulle donne. Tutte le reti parleranno di femminicido, parola che, dopo anni, siamo riuscite a far entrare nel lessico ma che, in pochi giorni, sono riusciti a manipolare e usare a loro piacimento.
Oggi è la giornata in cui le istituzioni fanno marketing sui nostri corpi, più che negli altri giorni. Ma il loro disinteresse per la lotta alla violenza contro le donne è palese tanto che:
– Hanno varato una legge contro il femminicidio in cui si chiede solo repressione e maggiore giustizialismo. Di prevenire la violenza non sen ne parla. Hanno varato questa legge farlocca per usarla come specchietto per le allodole e far passare le altre norme repressive che gli stavano a cuore. Hanno strumentalizzato i nostri corpi per chiedere maggiore repressione per i/le No TAV, per giustificare ulteriore violenza contro chi lotta per il proprio territorio, per giustificare una violenza che è anche violenza di genere (lo sa bene Marta).
– La violenza di genere non è solo il femminicido, lo stupro, la violenza domestica, è tutto ciò che l’alimenta, è ogni immagine che riduce la donna a vittima incapace di reagire e quindi bisognosa di tutori. Il tutoraggio è violenza di genere, le forze dell’ordine sono violenza di genere quando si scagliano contro le donne che non ci stanno a starsene a casa.
– La religione alimenta la violenza di genere anche se si continua a negarlo, perché in tutte la donna è sottomessa all’uomo e a dio. Che le istituzioni continuino a negare questa verità e dall’altra parte si dichiarano paladini della lotta contro la violenza di genere è offensivo per i nostri neuroni.
– Il moralismo alimenta la violenza di genere perché la distinzione tra santa e puttana non fa comodo a nessun@ se non a chi deve fare spot elettorali e manifestazioni sensazionali sui nostri corpi.
– Il precariato alimenta la violenza di genere perché ci costringe a rinunciare all’indipendenza economica che è fondamentale per poter uscire da una situazione di violenza.