E’ stata definita una patologia, la sindrome di burnout, per spiegare lo stress eccessivo che deriva dalle professioni nelle quali le persone offrono aiuto.
Tale patologia sarebbe presa in considerazione per mestieri come quelli di: educatori, medici di base, poliziotti (?), poliziotti penitenziari (?), vigili del fuoco, carabinieri (?), infermieri, operatori assistenziali, psicologi, psichiatri, assistenti sociali, fisioterapisti, anestesisti, medici ospedalieri, studenti di medicina, responsabili e addetti a servizi di prevenzione e protezione aziendali, operatori del volontariato, ecc. Queste persone – secondo fonti web – sarebbero caricate del loro stress e di quello della persona aiutata.
E le donne? Tutto il carico di aspettative che ci viene consegnato per assumerci l’onere di uno stato sociale che non si regge sulle proprie gambe? I mille lavori di cura che le donne devono svolgere? Lo stress del quale siamo caricate da tutti/e le persone delle quali ci occupiamo o che si aspettano qualcosa da noi?
Le donne spesso soffrono di depressione. Ne parlo in maniera informale perché non so e non voglio definire una patologia.
Esistono una enorme quantità di disagi che il nostro sistema sociale ha pensato bene di trattare in quanto patologie per indurci a continuare ad essere produttivi/e grazie a dosi massicce di psicofarmaci. Se i lavori descritti sopra ti riducono ad uno stato pietoso non viene presa in considerazione l’idea che forse si dovrebbero cambiare i presupposti e le modalità di vivere quella professione. Si definisce invece “l’inadeguatezza” della persona che non regge lo stress. Si dice infatti che “non è in grado”. Come se essere in grado di reggere lo stress fosse un atto di eroismo.
La definizione di una patologia però nella nostra società è anche un riconoscimento, un appiglio legale per potersi assentare dal lavoro per malattia, per esempio.
Perciò mi chiedo: le donne assumono un enorme carico di lavoro. Se si vive nel modello familiare che la cultura formale ci impone, bisogna assolvere una serie infinita di doveri.
Metti una giornata media di una donna che lavora (se ha ancora questa fortuna) con figli:
- sveglia all’alba, prepara colazione, staccati tre sopracciglia giacchè se le lasci crescere ancora puoi farci le treccine, pettinati rapida, capelli corti per seguire la moda idiota della donna manager fatta apposta per non concederci due minuti di tempo neppure per farci uno shampoo decente, stira due cosine per i figlioli, prepara la borsetta con il ricambio per la mamma ricoverata in ospedale, guarda con aria riconoscente (altrimenti non si sente gratificato, lui) il tuo uomo che si è sentito soddisfatto per le prestazioni sessuali che gli hai offerto la sera prima e per risarcirti del mancato orgasmo ti ha detto “lascia stare cara, ai piatti penso io”, indossa la prima cosa che trovi, uno sguardo allo specchio, cronometro alla mano, tutti in macchina, papa’ deve andare presto in ufficio, tu accompagni i figli a scuola, uno vuole le scarpe color verde, l’altro non vuole uscire di casa se prima non trova il colore pastello marrone, gli chiedi se non può fare a meno del marrone dato che in natura quel marrone lì non esiste, ti risponde che la maestra con il marrone fa colorare gli alberi e i tetti delle case, espressione perplessa, passi oltre, non c’e’ tempo per approfondire la visione cromatica di tutta l’umanità, strisci come un serpente per rintracciare il maledetto colore e dopo averlo trovato ti accorgi che il bambino si è sporcato i pantaloni con la merenda al cioccolato che si è pappato per ingannare l’attesa, ripulisci, corsa rapida verso la macchina, allaccia la cintura, arriva a scuola, lasci i figli, corri al lavoro, attenta a offrire massime prestazioni perché il contratto è in bilico e tu potresti essere tra i licenziamenti dei prossimi mesi, si avvicina l’ora di pranzo, esci dal lavoro, due minuti di socializzazione, corri a scuola dei figli, prendi le creature, portale a casa, prepara da mangiare, nutri i pargoli, aspetta tua sorella, tua suocera, una qualunque donna della famiglia che possa fare le tue veci, gli uomini non possono, le loro pause pranzo sono sempre “troppo complicate da gestire”, bacio ai figli, saluti e raccomandazioni alla babysitter che sostituisce lo scolastico tempo pieno che non c’e’ più, corri ancora al lavoro, ‘azz hai scordato di lavare i denti, hai una gomma da masticare, la menta ti arriva alle orecchie, l’alito potrebbe stendere un elefante, aggiusti i capelli in macchina, metti due millesimi di secondo di rossetto osservando con preoccupazione la piega del doppio mento nello specchietto retrovisore, cinque minuti di stress perché non sei in grado di soddisfare le aspettative estetiche della società d’oggi e non hai voglia ne’ soldi per sottoporti ad aggiustamenti con la chirurgia estetica, ritorni al lavoro, spavalda, quel tempo in ufficio ti sembra l’unica cosa in cui tu esisti veramente, immediatamente qualcuno ti smentisce, arriva il datore di lavoro che ti da una strigliata, se ti da l’impressione che tu sei troppo efficiente come farà a NON rinnovarti il contratto a fine mese? Parola d’ordine: insicurezza e precarietà, finisci il lavoro, corri in ospedale, tua madre ha bisogno di tutto, l’ospedale ha le solite carenze di personale, la pulisci, la cambi, la coccoli, ti fai prendere dalla commozione e dalla nostalgia, parli con lei come fosse la tua unica vera amica, lei annuisce come se avesse capito per davvero, esci dall’ospedale con un nodo in gola e le lacrime che non puoi permetterti perché devi tornare a casa a dare il cambio alla baby sitter, squilla il telefono, il tuo uomo ti dice di fare con calma perché lui è già a casa, alla cena pensa lui, accosti all’angolo di una strada qualunque, accendi lo stereo e canti una canzone cretina dei gipsy king, finiti i dieci minuti di libertà schizzi per tornare a casa, ti senti in colpa anche se non dovresti, succede sempre così, arrivi e lui ti fa trovare ancora tutto per aria, gioca con i bambini, dice che ha “messo a scongelare” il pesce, specifichi che i bastoncini si possono friggere senza scongelarli, posi la borsa, fai una sosta al cesso, corri in cucina, prepari, apparecchi, tutti a tavola, l’uomo è bello pimpante, comunica che il giorno dopo va a fare la sua partitina di calcetto, tu dovrai deciderti a mollargli i figli una sera anche solo per andare a fare l’uncinetto con le zie ottantenni, si mangia, tu sparecchi, lui mette a letto i bambini, ti chiama perché il piccolo vuole assolutamente te, corri a pulire il bimbo, cambiarlo, metterlo a letto, rimboccargli le coperte, resti con lui perché non ti vuole lasciare e pensi alla società che ti giudicherebbe una stronza se a questo punto andassi a farti un bellissimo e meritato bagno, ti addormenti vestita, lui finisce di sparecchiare, si mette sul divano e accende la televisione, non vedendoti arrivare viene a svegliarti, “per stare un po’ con te” – dice, è l’ora delle sue coccole, non puoi dimenticare che lui ne ha bisogno, hai tre figli, con uno ci vai a letto, ti ritrovi a chiedergli di fare presto dato che lui rimette in moto il rito, baci, abbracci, carezze, ti desidera, “anch’io sono stanco, che ti credi. Però ti voglio sempre…”, scema tu perché hai voglia di dormire, così lo fai, concludi, fingi un orgasmo perché lui vuole cacciare via il senso di colpa con un’ottima prestazione, al quinto minuto ululi di piacere, tutto purchè ti lasci dormire, infine crolli e non puoi fare a meno di pensare che il giorno dopo sarà esattamente la stessa cosa.
Quella che ho descritto non è neppure la peggiore delle situazioni, anzi. Possiamo ricavarne però che le donne potrebbero voler mandare a quel paese il mondo, mettersi in sciopero, farsi venire una bella crisi esistenziale, fermare il ritmo.
Molte donne soffrono spesso di depressione da stress. A volte si inceppano. La storia degli ormoni non aiuta tantissimo. C’e’ il ciclo, una volta al mese per tanti anni della vita, le gravidanze, la menopausa. Liquidare lo stress delle donne con frasi del tipo “depressioni per scompensi ormonali” diventa però un bell’alibi. Come dire: è una cosa fisiologica, pura biologia, la depressione ti deve venire per forza, se ce l’hai te la devi tenere, è la natura che ti ha fatta così.
Eppure se cambiassero le nostre condizioni di vita, se la nostra esistenza non dovesse subire talmente tante e tali pressioni da ogni parte, milioni di aspettative che ci causano tremila ansie da prestazione e un grande senso di inutilità se non riusciamo a fare tutto, tanta crudele colpevolizzazione da chi ci dice cosa come quando dobbiamo esistere. Tanta retorica costruita per metterci al muro, per creare i presupposti per le tante forme di discriminazione sociale che subiamo. Donne perbene e donne per male, brave mamme e madri cattive, brave mogli e cattive compagne, brave figlie e figlie ingrate… e ce ne sarebbe ancora da dire.
Perciò davvero non capisco come si possa pensare di fare aspettare le donne fino a 65 anni per una pensione. Ci volete morte, ditelo. Basta saperlo…
Ovvero, se proviamo a ritagliarci condizioni di vita sopportabili non veniteci a dire che dobbiamo fare figli in quantità e che la nostra unica e sola felicità deve stare per forza nella famiglia. La vita è nostra. Ciascuna la cambi per se’. Niente pensione? Ma chi se ne frega. Almeno così non ci sono più alibi. Che parità sia. Ma vera però. Basta famiglia e figli, non rompete le scatole con il welfare di cultura mediterranea e organizzate corsi di sopravvivenza casalinga per gli uomini. Che imparassero a fare da soli e ad assistere le loro mamme e le loro parenti quando ce n’e’ bisogno. Ministro Sacconi: basta fare il biricchino e proporre marchi di proprietà sul corpo delle donne. Vai a cercare trippa da qualche altra parte!
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