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Donne non si nasce, si diventa.


Da Liberazione (via A/Matrix)
di Angela Azzaro

Donne non si nasce, si diventa. La nostra leonessa Ornella

A un certo punto, nel bel mezzo di un discorso, la fronte si
arricciava, gli occhi si stringevano. Ti guardava con fare sorpreso, un
po’ triste un po’ scandalizzato. «Dai, Ornie, non fare così», dicevamo.
Lei si difendeva. «Ma che cosa ho fatto?!». Ma ormai il messaggio era
partito. Era come un segnale che Ornella, la nostra Ornella, ci dava
per dire che stavamo sparando minchiate. Insomma, che noi «donne
biologiche» così ci chiamava durante le tante discussioni con il gruppo
femminista a/matrix, stavamo parlando troppo difficile o in maniera
eccessivamente ideologica o molto distante dal suo percorso. Spesso
aveva ragione, a volte no. Ma raramente lei diceva minchiate. Parlava e
scriveva forbito, con dotte citazioni in latino che ci stendevano
«Ornieeee, bastaaa», ma con un’argomentazione chiara. Netta. Lei, le
cose che diceva non solo le aveva elaborate, capite fino in fondo. Ma
le viveva e sceglieva ogni giorno. Ha fatto così quando ha scelto la
transizione e da uomo è diventata donna, ha fatto così quando ha scelto
di prostituirsi. Ornella ha fatto così fino alla fine.


Cocciuta
, come davvero se ne sono viste poche. Cocciuta anche
nell’affermare cose scomode, come quando se la prendeva con la
concorrenza delle donne dell’est che si prostituiscono. «Sei razzista»
e giù con fior fior di ragionamenti. Lei non batteva ciglio, spiegava
le sue ragioni, ma non credo che l’abbiamo mai convinta. E’ facile
essere politicamente corrette quando le cose non ci toccano da vicino.
In strada, a lavorare, c’era lei. Il suo corpo, il suo desiderio, la
sua rabbia. La strada, la scorsa estate, aveva deciso di lasciarla. Una
decisione meditata. Voleva cambiare vita. Ma a darle la botta finale
l’aggressione di un pappone, che la voleva cacciare dal posto dove lei
lavorava. La ha minacciata con un coltello. E Ornella non ce l’ha fatta
più. La leonessa ha ceduto.


Maria Ornella Serpa
ci ha lasciate una settimana fa esatta. In un
venerdì di maggio come tanti, ma un po’ più silenzioso del solito per
una città come Roma, a causa del ponte del primo maggio. E’ morta in
ospedale al pronto soccorso e ancora non sappiamo perché. Il dolore di
chi l’ha conosciuta e amata non basta per spiegare l’attenzione che le
dedichiamo. Ornella non ha scritto libri (anche se voleva farlo), non
ha ammansito folle, non ha capeggiato partiti, non era una leader.
Ornella era una grande rivoluzionaria. Una che la rivoluzione l’ha
vissuta direttamente. Senza dichiarazioni d’intenti. L’ha vissuta coi
fatti. Ma la sua rivoluzione non muore con lei. Ci lascia un’eredità
bellissima, un futuro che forse neanche vedremo, ma che lei ci ha fatto
intuire.


Impossibile
nominare tutte le briciole che ha disseminato lungo il
cammino e che a noi spetterà seguire, indagare, forse anche realizzare.
Ma ci sono alcuni aspetti che premono di più, che chiedono ascolto.
Subito. A partire dalla morte. Una morte che è difficile non
considerare politica. Rivoluzionaria anche questa?


Ornella
, trans, prostituta orgogliosa e incazzata, aveva scelto di
essere donna. Di più. Aveva scelto di essere una donna speciale. Una
femminista. Combattiva, come quando il 24 novembre, giorno della
manifestazione contro la violenza maschile sulle donne, con le altre
compagne dell’assemblea romana aveva cacciato le ministre dal palco. Il
volto orgoglioso, lo sguardo malinconico di chi troppe volte ha dovuto
subire il potere. Il 24 novembre no. Si era ripresa la parola, il
protagonismo. Quella sera Ornella era felicissima, l’ultima volta che
l’abbiamo vista così.


Ma non dipendeva
solo da quell’azione collettiva finale. Tutta la
manifestazione aveva cantato e urlato. Era quello il luogo che aveva
prediletto. Militante per i diritti delle prostitute nell’ultimo
periodo aveva scelto il gruppo femminista a/matrix come casa politica e
umana. Quante chiacchierate, quante risate. Ma anche quanti scontri e
contraddizioni. «Voi biologiche», dava il là a una dialettica noi/voi,
io/l’altra che metteva paura. Lo specchio si rompeva e dovevano
confrontarci con il cuore del potere patriarcale: la creazione di un
femminile e di un maschile naturalizzati, biologizzati a cui ci
ribellavamo e ci ribelliamo. Ornella, provocandoci, ci portava a vedere
meglio quella contraddizione, ad articolarla ulteriormente misurando lo
scarto tra ideali e vite vissute, tra utopie e desideri sedimentati.


Gli ultimi
sei mesi di vita, lasciano senza parole. Ornella, la
leonessa, è andata con orgoglio e testardaggine incontro alla morte.
Forse stava molto male, ma non lo ha detto. Ha chiesto aiuto, ma come
faceva lei, a testa alta, senza mediazioni, per rifarsi una vita.
Voleva vicinanza, non consigli. Quelli li rispediva al mittente, come
aveva sempre fatto, sbagliando bellamente da sola.


Oggi che non c’è più
resta la domanda se la nostra comunità è in grado
di prendersi cura delle sue sorelle nel momento che, per scelta o per
sfortuna, restano sole ad affrontare con orgoglio un’esistenza diversa.
E’ una domanda ineludibile, una domanda politica. Esiste la possibilità
di autodeterminarsi e di vivere liberamente la propria vita o la
propria morte fuori da un sistema familista o dal pronto soccorso
cattolico? La risposta che viene dalla storia di Ornella è che al
momento è molto difficile. Tragicamente impossibile. Ma c’è anche
un’altra risposta che Ornella avrebbe dato. Con il gruppo a/amatrix
stava lavorando a una proposta di reddito garantito. Si chiama reddito
per l’autodeterminazione. Un modo per garantire a tutte e tutti la
possibilità di scelta a partire dalle condizioni materiali. Un modo
cioè di rompere il sistema familista che impregna destra e sinistra: o
hai una famiglia che ti sostiene oppure crepa. O hai figli, moglie o
marito, oppure chi se ne sbatte di te. Ornella non aveva marito, «gli
uomini mi fanno schifo» ci diceva per provocarci e per raccontarsi,
aveva deciso di camminare da sola. Ne aveva tutto il diritto. Questo
diritto le è stato negato. Ornella non tornerà più. Ma continuare il
suo percorso, la sua lotta è il minimo che si possa fare.

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