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L’antiviolenza ministeriale in video: “Non aprite quella porta!”

metamorfosi

Da Abbatto i Muri:

Breve analisi della comunicazione contenuta nel video “Metamorfosi. Non mi devi chiamare amore“: è una colossale cagata!

Il cortometraggio è stato presentato dal ministero Angelino Alfano e dalla consigliera sulle problematiche legate al femminicidio Isabella Rauti in occasione del summit informale dei ministri dell’Interno europei.

Data la fonte non mi sorprende per niente. Produco un commento, il più possibile, pacato:

– il video si apre con la voce di un uomo, il paternalista, il soccorritore, il salvatore, che invita la donna, soggetto debole, con immancabile livido all’occhio e aria da sconfitta, a denunciare.

Punto primo: quando vuoi parlare di violenza sulle donne devi presentare le donne come soggetti forti, che assumono per se’ la decisione autodeterminata di denunciare, perché da quella consapevole decisione, casomai, passa la loro salvezza, preliminarmente dall’elaborazione che porta a questo, ancor più importante della denuncia stessa. Presentare la solita figura di femmina derelitta che si consegna al primo spazio tutoriale di passaggio, con tanto di marketing istituzionale ai tutori, senza che vi sia un luogo accogliente, qualcosa che somigli alla persona che va in cerca di aiuto, è quanto di più paternalista ci possa essere e corrisponde all’idea di una società che è sorretta da cultura patriarcale.

Infine la scelta è precisa: alle donne viene suggerito di andare dai tutori prima ancora che recarsi in un centro antiviolenza, il che fa intendere il motivo per cui ai centri antiviolenza il governo ha destinato una elemosina e perché, ancora, in ogni decisione assunta dal governo in relazione alla violenza sulle donne, dalla legge sul femminicidio ai percorsi rosa, si ritenga il centro antiviolenza come una specie di luogo assistenziale cui i patriarchi delegano al più il soccorso delle ferite. Come fossero infermierine di uno Stato forte, fatto da uomini forti, che chiamano i centri antiviolenza, relegati ad un ruolo di cura, per mettere cerottini e fare da tassiste alle donne abusate su chiamata dei tutori. Di pronunciare l’esperienza delle donne, quando si parla di antiviolenza, non se ne parla proprio.

– il video continua con questa donna che, appunto, tra una frase fatta e l’altra, non senza teatralità, con livido su faccia da modella che fa tanto fashion victim, torna serenamente a casa e viene lasciata a se stessa nella decisione di aprire la porta a quello che più probabilmente sarà il suo carnefice.

Dunque, non si capisce se il video è una parodia o fa sul serio, perché se fa sul serio, giacché l’attimo prima dici che la denuncia è una figata, se poi concludi dicendo che tanto la donna creperà ugualmente, che tipo di messaggio tu vuoi dare? Giustizialista? Ci vuoi terrorizzare? Vuoi dire che bisogna fare una legge forcaiola per cui gli uomini dovranno essere arrestati solo perché accusati? Vuoi dire che tanto è inutile ed è meglio che quella donna si suicidi? E’ un trailer del film horror “Non aprire quella porta – 2 – La vendetta” ?

Ma il governo lo sa che uno dei motivi per cui i video antiviolenza devono finire sempre con un riscatto, una vittoria, è per investire sulla autostima della donna abusata? Lo sa che non è sull’autostima dei tutori che bisogna investire? Lo sa che mostrare le donne come idiote, minorate, incapaci di intendere e volere, che vanno messe sotto scorta del tutore 24 ore su 24 perché altrimenti aprono porte, danno confidenza a gente di merda, insomma fanno solo stronzate, lo sa che mostrare le donne così è come darci a tutte quante un calcio in bocca? Perché se non lo sa bisogna pur dirglielo.

E dunque glielo dico. Questo video è merda allo stato puro. E’ propaganda di governo che ha la stessa profondità di pensiero e comprensione del problema che ha la parete di bambole et similia. E’ marketing istituzionale sulla pelle delle donne e mi spiace dirlo ma se a me, quando uscivo dal mio percorso post/violenza, avessero mostrato un video del genere sono quasi certa che avrei voluto sapere il nome del regista, del o della creativa, per dirgli/dirle, senza alcun problema, che quel video poteva buttarlo nell’immondizia.

Punto secondo: ma avete imparato l’antiviolenza in un corso per corrispondenza? Se una donna esce di casa e da sola compie passaggi che rappresentano un distacco dalla situazione di violenza difficilmente assume quell’aria tramortita e se anche cede al successivo incontro con l’ex, cosa più che frequente, lo fa in una dinamica che è di co-dipendenza. E quella roba lì non la risolvi con la denuncia o se l’hai risolta, per l’appunto, sai già che il comportamento da assumere è un altro. La co-dipendenza non è una malattia, non può mai essere descritta come una patologia, né può essere mortificata e archiviata come un tratto fragile delle donne, perché è fisiologico delle situazioni violente e perché la violenza non si risolve con una separazione netta tra chiaro/scuri che difficilmente troveranno conferma dentro di noi. E’ tutto molto più complesso e va risolto senza interventi militari, senza psichiatrizzazioni reali e tanto meno istituzionali e mediatiche e senza questa retorica da quattro soldi, in salsa catto/destrorsa, che relega le donne alla consegna della salvezza del proprio corpo esclusivamente ai tutori.

La prima risorsa di una donna che deve risolversi la violenza è quella donna stessa. E’ lei che muove i pensieri e il culo per andare dove troverà aiuto. Se le serve assistenza psicologica, prima ancora o in alternativa al tutore che raccoglie la denuncia, bisogna darle quella. Se le serve un cazzo di lavoro e una casa per emanciparsi dalla dipendenza economica e per evitare di incrociare il suo carnefice bisognerà darle opportunità, reddito e casa. Se serve che l’uomo violento sia ascoltato, sostenuto, distolto dall’oggetto della sua ossessione, bisognerà dargli strumenti per cambiare atteggiamento. Invece qui c’è un governo che pensa di aver fatto il proprio dovere, eppure le donne continuano a crepare. Se siete tanto bravi, se dite che bastano i tutori e la galera, ditemi, com’è che continuiamo a contare donne uccise?

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Posted in AntiAutoritarismi, Comunicazione, Corpi/Poteri, Critica femminista, Omicidi sociali, Pensatoio, R-esistenze.