da Notav.Info:
Ieri, insieme all’europarlamentare Gianni Vattimo, nuova visita ai detenuti del carcere delle Vallette.
All’ingresso si compilano i moduli, vengono eseguiti i controlli di rito, poi si aprono i cancelli ed entriamo, accompagnati dal personale di custodia.
Cortili, corridoi, ancora cortili, spessi muri, capannoni, scampoli di verde polveroso; un labirinto che trasuda dolore e miseria, in cui ci si inoltra con pena.
Qui l’ineguaglianza che domina il mondo esterno si percepisce all’ennesima potenza.
Dietro le sbarre ti guardano occhi di povera gente, ti vengono incontro storie di bisogni, ingiustizie, sconfitte, ma anche la grande dignità di chi si attrezza a resistere, la generosità di chi divide il poco che possiede con il compagno che non ha niente e nessuno.
Visitiamo il blocco femminile. Donne dietro le sbarre, in celle anguste, costrette all’inerzia di giornate senza tempo. Qualcuna si ostina a rimettere in ordine le sue poche cose, qualcun’altra passa il tempo a fare cruciverba; tutte vorrebbero lavorare ai laboratori interni, ma i posti sono pochi e per molte di loro irraggiungibili.
Donne giovani, donne anziane; alcune sono arrivate da poco, altre hanno un bagaglio carcerario di anni, l’esperienza di carceri diverse. Le storie che ti raccontano ti fanno sentire inadeguata; anche le tue parole di solidarietà suonano convenzionali, impotenti.
Ad un piano alto visitiamo il reparto-nido, dove stanno i bambini fino ai tre anni, figli delle detenute.
Lungo il corridoio scorgiamo qualche piccolo mobile, sedie e tavolini colorati, ma l’illusione dello spazio per l’infanzia è subito infranta: sbarre alle celle, finestrelle con reti spesse, da cui la luce entra a fatica e il sole non entra mai.
Attualmente i bambini ospitati sono tre. Uno di loro ci viene incontro, insieme ad una donna minuta, la sua mamma. E’ un bimbo di due anni e mezzo, robusto ma pallido, come una piantina che cresce al chiuso di una stanza buia: mi guarda esitante, poi sorride, tende le braccia…Lei mi racconta di altri due figli, a casa, e sogna per questo uno spazio aperto, dove vederlo giocare sull’erba, respirare aria libera….
Ancora corridoi, cancelli, uffici; una cortiletto interno, quasi una vasca di cemento dove si scorgono alcuni uomini seduti per terra, appoggiati al muro; qualcuno mangia da un piatto, qualcuno ha la testa tra le mani: silenziosi scampoli di solitudine.
Nell’ultimo blocco incontriamo Forgi e Paolo. Commozione. Sono insieme, stanno bene, sono sereni. Salutano tutti e ringraziano dei messaggi di solidarietà giunti numerosi, segno dell’affetto e della forza collettiva che la repressione non potrà fermare.
Mentre esco dal carcere, mi torna in mente la manina del piccolo recluso, alzata in segno di saluto verso di me che mi allontanavo lungo il corridoio.
La città, fuori, scorre indifferente come sempre, con il cinismo di un mondo che abbandona nel deserto i capri espiatori dei propri delitti e da questo si ritiene giustificato e assolto.
Ma sulla grigia macchia del carcere volano alti, verso la Valle, stormi di gabbiani, ineludibile promessa di libertà, più potente delle loro catene.
Nicoletta