Siamo precarie, illegali, disoccupate, criminali, zoccole e latitanti. Abbiamo ordini di sfratto, occupazioni sulle spalle, siamo inseguite dagli ufficiali giudiziari. Abbiamo saltato bollette e pagamenti perché non abbiamo soldi. Lavoriamo in nero, in rosso, in strada, in casa, non lavoriamo affatto. Abbiamo la fedina sporca di lotte, denunce, occupazioni, manifestazioni, resistenza in piazza. Ci chiamano terroriste e siamo femministe, donne, lesbiche, trans, madri, senza conto in banca. Viviamo riciclando vita e bisogni. Ci prendiamo il diritto di respirare, amare, scopare, mangiare, bere, ridere, viaggiare.
Noi siamo sporche, guerriere, non ce ne fotte niente di non avere precedenti penali per giocare al movimento dei pulitini. Le nostre offese le risolviamo senza chiedere niente a quelli che il giorno dopo ci arrestano per oltraggio a pubblico ufficiale. La nostra dignità non è turbata da una immagine di una donna nuda. Abbiamo altri problemi, noi, non ci facciamo di masturbazioni collettive e moraliste per censurare preventivalemente ogni lettera, foto, canzone, libro, film, pubblicità.
Abbiamo cattivi rapporti con ogni genere di polizia, reale e figurata. Odiamo le censure e il carcere perché ci siamo state o ci sono stati i nostri amici e compagni. Stiamo malissimo con chi manda la Postale in casa di qualcuno che ha postato un fotomontaggio e stiamo benissimo con altri criminali come noi.
Odiamo le sante, le madonne, le immacolate e le fasciste in crociata a tempo pieno. Odiamo chi vuole controllare i nostri corpi, le nostre scelte, chi ci vuole rivestire e chi ci vuole processare e mandare ai margini della società.
Noi in quei margini, pieni di umanità, già ci viviamo e vediamo le cose tutte da un’altra prospettiva. Leggiamo di donne intente a dichiarare lutti nazionali per cause nazional/popolari e poi lasciano marcire quelle come noi che non hanno risorse per dire e fare quel che vogliono.
Siamo straniere, parliamo tante lingue, a volte non possiamo neppure pagare una medicina. Mangiamo pasta e fagioli a pranzo e cena e teniamo il riscaldamento al minimo o lo spegniamo perché non lo possiamo pagare.
Siamo quelle che viaggiano leggere e che non hanno un telefonino di ultima generazione. Siamo organizzate a fare politica con la testa ma alleniamo braccia e corpo per correre lontano. Odiamo chi vuole l’ora legale, l’immagine legale, la parola legale, il pensiero legale.
Le donne in politica non ci rappresentano. Le loro istanze non ci rappresentano. La loro vita, stabile e protetta, non c’entra niente con la nostra. Sono quelle che vengono a dirci che bisogna lavorare con le istituzioni e che bisogna delegare a chi ha risorse, soldi, per rimpiazzare le nostre rivendicazioni con le loro.
Disconosciamo le richieste di cui leggiamo e che ascoltiamo e vi chiediamo di mettere i piedi per terra e di smetterla di considerarci idiote, fragili e indifese che devono essere protette da un manifesto o da due parole. Venite piuttosto a combattere con noi quando lottiamo in piazza contro la repressione. Venite da noi a condividere la resistenza durante uno sgombero. Fateci vedere chi siete quando siamo in cerca di un posto per dormire perché non abbiamo un soldo e non sappiamo dove andare.
Venite a mangiare pasta scondita assieme a noi e a tenere il conto delle bollette non pagate. Venite a guardare come va in fumo il nostro futuro e come lottiamo per sopravvivere al presente.
Le vostre lotte non ci danno da mangiare, non ci danno indipendenza e non ce ne fotte niente di imporre una morale su come deve essere politically correct la maniera di parlare delle donne. Il primo insulto da riparare è la nostra condizione. La prima cosa che ci interessa è l’autonomia economica. E se di questo non si vuole parlare e volete rifilarci solo fuffa e distrazione potete tenervi le crociate e i fastidi in nome della vostra dignità.
La nostra dignità, diversamente dalla vostra, va in pezzi quando vediamo una compagna, amica, che per mangiare ruba un pezzo di formaggio al supermercato, quando la pensionata mangia acqua sporca a pranzo con una sola fetta di pane, quando un disoccupato si dà fuoco perché non sa come arrivare al giorno dopo, quando una straniera viene messa in galera perché è straniera, quando i poveri sono in guerra tra di loro.
La nostra dignità, quella di noi criminali, è fatta di umanità senza speranza, di solidarietà dal basso, di riorganizzazione dei respiri, di calore rubato in una casa fredda in due a stare dentro un sacco a pelo.
Noi siamo povere, fuggitive, siamo bandite. E con le collaboranti del sistema non abbiamo niente in comune. Parlate di violenza? Noi la viviamo sulla nostra pelle: è violenza di Stato. Lottate per risolvere quella se ci tenete tanto. Altrimenti ciao. Voi a consegnare delegare la nostra tutela a polizie contro un pericolosissimo manifesto pubblicitario e noi a fare la guerra per sopravvivere.
Criminal girls
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