Su Facebook mi segnalano questa nota con relativa discussione e commenti che se volete potete leggere. Da lì viene il comunicato e le immagini che riporto in basso.
C’è un negozio – a Napoli – che vende elettronica e che per farsi pubblicità ha scelto di realizzare una vetrina munita di ragazze/cubo ballereccie che di certo non passano inosservate. Non so se prima si fossero lamentate o abbiano dato segni di rivolta compagne, femministe, ma mi fa specie che un gruppo di ragazzi, compagni, da ciò che leggo, decidano di andare a “salvare” queste donzelle in pericolo anche se non l’avevano chiesto, o almeno non mi pare di leggerlo da nessuna parte, e anche se probabilmente per quel mestiere venivano pagate.
Perché mai questi ragazzi non hanno coinvolto un collettivo femminista per decidere se quella fosse la cosa giusta da fare? Perché mai la protesta scelta è stata di coprire alla vista dei e delle passanti i corpi delle ragazze? Sapete che così avete detto alle ragazze che erano indecorose e moralmente reprensibili? Avete chiesto alle ragazze che ballavano cosa ne pensavano? Ma non si usa più che le battaglie passano per l’autodeterminazione dei soggetti coinvolti? Siamo ai piani salvifici e paternalisti? Alle colonizzazioni? Alle soluzioni imposte?
Ho fatto la ragazza/cubo molti anni fa per campare, come terzo lavoro, e se fosse venuto qualcuno a coprirmi facendomi sentire una specie di svergognata grata per tanta generosa attenzione da parte di un salvatore qualunque io gli avrei dato il tacco con la zeppa in faccia.
Avrete avuto tutte le migliori intenzioni ma vi giuro che mai una iniziativa di compagni mi è sembrata tanto inopportuna e offensiva nei confronti delle donne e se questo genere di iniziative vengono perfino percepite come positive io credo che la deriva scivolosa che sta assumendo questa cosiddetta battaglia moralista rispetto ai corpi delle donne sia arrivata al limite.
Questa azione andava fatta pressappoco così, se si voleva fare.
1] Bisognava coinvolgere le compagne, antisessiste, e le ragazze e chiedere se si sentivano sfruttate, se avevano scelto, se erano pagate poco, male, in nero, con contratto regolare o chi lo sa. Perché è possibile che avessero delle richieste da fare ma forse riguardavano tutt’altro. Magari migliori condizioni contrattuali, per esempio.
2] Avuta notizia della condizione di sfruttamento bisognava che le compagne svolgessero, forse, un presidio disturbante, un volantinaggio, ché se interrompi gli affari di una impresa privata comunque devi saperlo che ti becchi una denuncia, ma non è quello il punto. Il punto è che tutto avreste dovuto fare meno che coprire le cosce di queste ragazze perchè loro non erano la cosa sporca da cancellare dalla vista dei benpensanti.
3] Le compagne avrebbero simbolicamente potuto coprire, per operare un rovesciamento di senso, un subvertising, le televisioni, la merce, perchè giudicata immorale, o avrebbero potuto inscenare un balletto in quel marciapiede per non fare sentire sole le ragazze, mostrando una solidarietà vera e non prurigginosa e paternalista.
E tante altre cose si sarebbero potute fare ma tutte, sempre e comunque, ricordando che non si può salvare qualcun@ che non vuole essere salvat@ o che non sembra essere assolutamente in condizioni di pericolo. Che le lotte si fanno a partire da se’ e che ci si salva da sole se si vuole senza bisogno di “tutori”, inclusi quelli antagonisti.
In questo senso vorrei chiedere chi ha fatto peggio tra il venditore e i compagni perché mi pare che entrambi abbiano usato quei corpi, il primo chiedendo si spogliassero per vendere e i secondi coprendoli e poi facendo caciara in nome della difesa della dignità delle donne.
Il punto è che le donne non sono merce, è vero, ma non lo sono neppure in senso lato, neppure per accreditare azioni che personalmente giudico lesive del diritto all’autodeterminazione di ciascun@ perché vorrei capire dove sta la differenza tra questa azione, in termini simbolici intendo, e un bombardamento in Afghanistan in nome delle donne.
Comunque eccovi il loro comunicato e le immagini e per un aggiornamento leggete QUI.
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VERGOGNA!! Il corpo delle donne non è una merce da mettere in vetrina!
E’ questa l’idea di lavoro che ha in mente per i giovani il noto megastore di elettronica di piazza Quattro Giornate “Dino Galiano”? Erano ormai giorni che passando per piazza Quattro Giornate si assisteva al triste spettacolo di nostre coetanee ridotte a “merce animata”, messe in una vetrina a ballare in abiti corti e provocanti, per far vendere qualche televisore di più. A tutto questo come ragazzi del quartiere riuniti nel collettivo “Zona Collinare in Lotta” abbiamo deciso di dire basta. Intorno alle 19,30 di oggi martedì 14 dicembre, abbiamo messo in scena una protesta.
Con i nostri giubbotti abbiamo oscurato il degradante spettacolo. Da subito si è radunata una piccola folla di passanti che ci ha manifestato tutto il proprio appoggio. Applausi e urla di disapprovazione verso Dino Galiano hanno fatto subito comprendere allo store che la festa era finita. Tutti i clienti sono stati fatti uscire in fretta e furia e le serrande abbassate. Inutile sottolineare come subito dalla vicina caserma si siano precipitati un po’ di carabinieri a dar manforte ai gorilla di Dino Galiano che con modi a dir poco intimidatori cercavano di allontanarci dalla pubblica via.
E’ meglio che Galiano così come tutti gli altri padroni, capiscano che nel nostro quartiere non c’è posto per chi, in nome del profitto, vuole speculare e mercificare sul corpo delle donne!
Zona Collinare in Lotta
ahahah
eccerto,
e dunque il punto è tra chi ha una visione di genere e chi no e noi ovviamente no.
maddai.
si sta parlando di metodo, di autodeterminazione, e magari si fosse trattato di volantinaggio ma si è trattato di ragazzi che hanno preso e sono andati a coprire le cosce delle ragazze spudorate. se questa tu la chiami pratica antisessista allora io mi ricorderò di dire che quelli che mettono burqa alle donne sono tanto ma tanto antisessisti.
dopodichè, se vai a fare una azione in una fabbrica a nome e per conto degli operai che non ti hanno delegato e non hanno scelto di fare quell’azione non vorrei essere nei tuoi panni perchè solitamente gli operai si autorappresentano e non si fanno rappresentare dalla prima venuta.
Tosca scusa, però stiamo discutendo. Per te il problema è la mercificazione o quello che sta dietro la mercificazione, ovvero la coercizione ( violenta o per necessità )? Ovvio che la maggior parte delle donne non vuole usare il proprio corpo, ma per un verso o l’altro è costretta a farlo, però qua si stava ragionando di scelta. E una donna può scegliere in tutta coscienza di usare il proprio corpo. Non ci piacerà, ci sembrerà impossibile, però dobbiamo sforzarci di accettarlo. E non è la diretta conseguenza di una società sessista basata sulla sopraffazione e sullo scambio di denaro o sull’immagine. Ciò su cui si lotterà è sull’ottenere condizioni che rendano possibile scegliere di usare il proprio corpo oppure no.
Usare il corpo delle donne è uno schifo, ma non lo è né il corpo né la donna.
Compagna, anche nel caso delle commesse e delle cassiere il corpo delle donne viene usato per vendere merce, visto che usano mani, piedi, occhi e orecchie e non è che servono il cliente del negozio telepaticamente da casa (come se poi il cervello non fosse una parte del corpo).
In quel caso come mai non ti fa schifo?
Però se conosci un lavoro in cui non si usa il corpo bensì gli effluvi dell’anima, fammelo sapere che mando subito il curriculum.
da donna dico che sponsorizzare con un corpo un oggetto è uno schifo.
da compagna dico che l’abbiamo fatto tante volte di denunciare le campagne pubblicitarie sessiste e nessuno c’è mai venuto a bacchettare per questo.
si tratta di anticapitalismo e di antisessismo.
non ho bisogno di interrogare e farmi dare il permesso dagli operai per dare un volantino nella fiat o criticare marchionne.
questo è il punto, chi ha una visione di classe e chi no.
*quando=quanto
Ancora mi domando come si fa a misurare la consapevolezza delle persone, la quantità di libertà con cui chiunque compie qualsiasi scelta e il grado di dolore che è sopportabile o rigettabile dal punto di vista di chi una cosa non la fa. Perché mia cugina, molto onorevolmente, ha le braccia e le mani quasi del tutto paralizzate dopo più di 10 anni di montaggio in fabbrica. Quando ha lasciato Napoli e ha trovato lavoro fuori, con il marito e la figlia appena nata, le abbiamo fatto tutt* gli auguri “evviva! Ti sistemi”, ha pagato il mutuo e cresciuto una figlia (nei ritagli di tempo, perché per pagare quel mutuo hanno lavorato sia lei che il marito – lui oggi con qualche problemino di alcolismo – tutti i giorni per nove ore al giorno). A 44 anni non riesce a stringere la scopa per pulire a terra, le dita non si chiudono abbastanza, non può prendere i pacchetti di pasta dal pensile perché, nonostante la fisioterapie, se laza le braccia, comunque non ha forza. La soluzione è andare a fare pompini? e chi lo dice? Se non ti piace non li devi fare, perché essere costretta per fame e fare pompini è uno schifo, ma certo. Anche quelli dopo un po’ probabilmente stancano, portano malattie professionali. Ma chi può stabilire che è meno dignitoso fare la cubista o fare pompini, rispetto a montare elettrodomestici che verranno venduti nei paesi dell’est? (oggi accade il contrario, dai paesi dell’est gli elettrodomestici arrivano in occidente, lavoratori e lavoratrici sono in condizioni ancora peggiori di quelle in cui ha lavorato mia cugina). Qualcuno a mia cugina l’ha salvata?
Quale era il suo livello di consapevolezza quando è entrato in fabbrica, riusciva a capire che dopo un tot di anni avrebb sviluppato una serie di malattie professionali? Lavorare per il capitale, mantenedo in piedi questo sistema economico quando mi ha danneggiata? Che dite, andiamo ad ammazzarla quella stronza di mia cugina?
… ed ecco appunto a cosa portano questi ragionamenti. Donne “libere” di vendersi e l’alienazione che “dipende da come la vivi”. Non mi sembra necessario aggiungere altro, se non che la prossima volta che qualche attivista, studente, cittadino etc proverà a “rompere le palle” ad un padrone sfruttatore o a una multinazionale senza scrupoli, ricordiamoci che poi non da più il lavoro agli operai…!
ma di cosa stiamo parlando?
usare il corpo delle donne per vendere merce è uno schifo.
@ Tosca
La donna che si vende rafforza il sessismo, ma la donna deve mangiare e deve essere libera di vendersi. Il punto sta nel cosa possiamo scegliere, e non è vero come dici che in un sistema capitalistico ogni lavoro è umiliante e prevede sfruttamento. Conta se possiamo sceglierli e conta cosa ci chiedono e come riusciamo a viverli. Per cui è inutile, oltre che in certi casi lesivo dell’autodeterminazione altrui, concentrarsi sulla “scelta” della donna che vive magari già di suo una contraddizione. Il problema è economico, di mancanza di opportunità.
Però di quale libertà di scelta stiamo parlando in un sistema di sfruttamento e precarietà? Ragionandoci mi sembra che alla fine l’unica libertà che ci rimane è quella di poter scegliere di che morte morire… e, sì, ce l’ho con chi non si muove contro questo stato di cose, perché anche il silenzio e la rassegnazione sono complicità e contribuiscono a rendere pessima anche la mia condizione… li comprendo, a volte anche io li pratico, ma non li perdono, a me stessa innanzitutto. Il punto non è se alcuni lavori sono pagati meglio e anche più rispettosi perché la società è sessista, ma che ci sia il sessismo e io non lo voglio, che ci siano mestieri e persone privilegiate e io non lo voglio, che ci sia la molestia sul lavoro anche “perbene” e io non lo voglio. Il che non vuol dire che io abbia la soluzione, o che quello che io voglio per me andrebbe bene per tutt*, però almeno che ci si confronti su questo, e non si sfugga sempre, e poi alla fine sarei anche io l’autoritaria perché metto in discussione la tua “scelta”? per me mettere in discussione è proprio l’opposto, è acquisire consapevolezza reciproca, “scoprire” e non “coprire” come hanno fatto con quella vetrina… poi magari mi mandi anche affanculo, o magari torno sui miei passi… anche al mio amico che per pagarsi l’uni “sceglie” di lavorare nel locale di un noto affiliato pongo la domanda, anche quando “scelgo” di prestare servizio gratis nella speranza di avere un giorno quell’impiego mi faccio il problema… è che sto discorso mi sembra porti a considerare come se non ci fosse altra scelta possibile che servire un padrone, un padrone sessista, perché tutti abbiamo bisogno di lavorare e mangiare… altre scelte ci sono, e io il problema me lo pongo e lo pongo a chi lo fa, poi se lo faccia “perbene” o “permale” ma chissenefrega…
sulla bella presenza ci sarebbero tante cose da dire ma lo stesso ragionamento però si può estendere ad altre caratteristiche.
ci sono quelle che non hanno voglia di studiare che potrebbero essere molto arrabbiate per il fatto che oggi anche per sturare cessi ti chiedono un diploma così scremano sulle domande di assunzione. potrebbero incavolarsi tante persone che vorrebbero che le qualifiche fossero più eterogeneamente considerabili. intanto si lotta per lavorare e non dipendere da nessuno e questo è il punto fondamentale. di questo si dovrebbe parlare per esempio con le varie ministre perché a me non importa nulla che minaccino sanzioni contro gli spot sessisti se poi mi tolgono il lavoro e rendono precaria la mia vita.
la questione dell’aspetto fisico poi so bene che riguarda tutte ma riguarda tutto il genere umano e non solo le donne.
il diktat di taglie e della bellezza unica permane per chiunque di qualunque genere ess@ sia e a monetizzare l’aspetto fisico non sono solo le donne eppure non c’è un discorso maschile altrettanto deificante di quei corpi che vedi a fare da modelli nelle pagine delle riviste o in tv.
è l’immagine in quanto tale che diventa pervasiva ma l’immagine non è taglia/corpo/modelloesteticounico. l’immagine è anche il brand della difesa del corpo delle donne che rende possibile che esista qualcuno che decida di salvare i corpi dove esiste già chi tenta a tutti i costi di salvarci l’anima.
immagine è gioco di ruolo, è stereotipo e chiunque in un modo o nell’altro sia coinvolt@, e la colpevolizzazione di chi sceglie di fare un mestiere che utilizza quei cliché facendo ricadere la sua responsabilità addirittura in uno schema di crumiraggio del genere femminile è veramente fuori luogo.
Difendere la libertà di scelta è indispensabile perché non è dall’autoritarismo che nasce la consapevolezza. Ed è la consapevolezza individuale che mi porterà a fare scelte diverse che non è detto siano poi quelle che piacciono a te. Ogni forma di colonizzazione, incluse quelle culturali, sortiscono effetti nefasti e non si può andare avanti a suon di riforme e controriforme soprattutto quando c’è di mezzo l’autodeterminazione.
Io ho fatto mestieri in cui ho usato il corpo e non mi sento colpevole, traditrice, santa, donna permale. Il lavoro è lavoro e quello che mi preoccupava era di essere pagata e poter fare la spesa e c’è tanto più rispetto nei lavori in cui lo scambio uso del corpo, come quando ballavo in discoteca, e compenso è stabilito che quelli in cui ti considererebbero per quello che hai in testa e poi c’è chi ti tocca il culo e lo fa gratis. 🙂
Allora, si, siamo proprio nel ragionamento che tentavo di imbastire. dunque, muscoli e forza fisica per un manovale, altezza e scatto per un cestista… sono qualità oggettivabili. Ma questa “bella presenza” cos’è? chi decide che 42 è più bello di 46, che biondo è più bello di nero…? A me già questo non suona molto bene, penso che sia una categoria molto piccola e svilente per definire tutto ciò che può rappresentare un corpo… però non andiamo troppo fuori dal seminato. Il mio discorso vuole essere proprio il contrario della guerra tra poveri, tant’è che non lotto perché l’immigrato non entri nel mio paese per accettare condizioni salariali inferiori, ma perché si raggiungano diritti pari ad ogni lavoratore. Non tutte le donne amerebbero fare il mio lavoro o vorrebbero farlo come piace a me, però oltre alla scelta individuale ci sono anche delle scelte che pesano poi sulla collettività… è un confine che non è sempre facile tracciare, però mi è venuta in mente la scelta dell’ex ministro francese Rachida Dati che decise, se non sbaglio, di rientrare al lavoro rinunciando al periodo di congedo post-parto… certo, lei può fare quello che vuole del suo corpo, del suo tempo, scegliere come meglio crede di vivere la sua maternità, ma il dibattito che si scatenò successivamente metteva i brividi, perché la sua era anche una posizione a mio parere molto ideologica, il classico pinkwashing che mette una bella faccia-con-pancione femminile per tentare di cancellare un diritto… un diritto che in effetti nel giro di pochi anni è stato messo molto in discussione… poi che tu di detto diritto non voglia usufruirne (magari perché sei ricchissima, come appunto nel caso suddetto), libera di farlo, però, appunto, dove sta il confine per cui metti in discussione quello degli altri? Certo, tutt* in condizioni di bisogno abbiamo accettato condizioni che non fossero ideali, e questo umanamente è comprensibile, sono contenta che tu l’abbia ricordato perché è una prospettiva da cui non si può prescindere parlando del conflitto lavorativo… “le persone scelgono, non sempre come piace a noi, e se questa scelta viene spinta o sollecitata per via del fatto che il sessismo dominante ne ha fatto uno strumento valido nel mercato non implica che tutte debbano morire di fame guadagnando due lire per miseri posti da commesse pagate in nero” però il punto è sempre la lotta perché non ci siano i posti a nero pagati due lire… dopo possiamo parlare di “scelta”, quando non sarò costretta a decidere a quale sessismo aderire (perché anche una commessa costretta a vestirsi e pettinarsi in un certo modo è “decorativa”) per sbarcare meglio il lunario… quella di Rachida Dati e di Anne Marie Slaughter sono scelte, opposte tra loro, ma accomunate dal fatto che entrambe potevano PERMETTERSI di farle… e qui arriva la domanda chiave: “ogni lavoratore/trice è responsabile dello sfruttamento che subisce?” secondo me in parte sì, nella misura in cui non lo combatte. Non voglio venir a fare la morale a chi già fa un lavoro di merda, sia chiaro, nella categoria di quelli che molto spesso accettano il compromesso per andare avanti ci sono tante volte anche io, però, come già commentavo a Viviana, si tratta di uscire dal ruolo delle vittime, di riconoscere che possiamo organizzarci e combattere sia lo sfruttamento che il sessismo che definisce sfruttamenti diversificati, alcuni più “validi” per guadagnare qualche soldo… chiedo scusa se il ragionamento in certi punti non è chiaro, ma è qualcosa su cui io mi interrogo, quindi ovviamente la stesura in certi punti è confusa… è che condivido la prospettiva non-moralista e cosciente del fatto che ognun* abbia dei bisogni, condivido la tua chiusura, però continuo ad avere l’impressione che così facendo, difendendo la “scelta” di chi si sveste invece di pulire i cessi, è come se non mettessimo abbastanza in discussione il sessismo che l’ha resa una scelta più “valida” nel mercato del lavoro…
ho capito cosa vuoi dire e ho tentato di ragionarne qui (http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2012/12/18/il-corpo-delle-donne-e-delle-donne/).
io credo che non si possa fare un ragionamento che mette tutte le donne sullo stesso piano come fossero un branco per cui quelle che non accettano la tua idea di lavoro ti danneggerebbero. le donne non costituiscono un mega sindacato in difesa di un genere soltanto perché i diritti intanto sono delle persone tutte.
e per fortuna di donne ne esistono di ogni tipo, ed esistono tanti tipi di lavoro ed è nella singola impresa che le dipendenti semmai si confronteranno per verificare se quando una di loro accetta peggiori condizioni contrattuali crea problemi alle altre.
perché diversamente è come se tu stessi dicendo che il curriculum vitae di tutte debba essere identico e che debba rispondere ad un dogma.
quello di cui parli è uno degli aspetti richiesti ad una persona che compie lavoro dipendente. ma prima di quello esiste il bisogno, l’urgenza di un lavoro, anzi, di un reddito.
sposta la discussione parlando di persone e traducilo in un ragionamento che poi è quello che viene fatto dalla Lega quando dice che gli stranieri che accettano peggiori condizioni contrattuali portano via il lavoro agli italiani. Quello che si sollecita è una guerra tra poveri e povere, e quello che dici tu mi ricorda questa cosa perchè le persone scelgono, non sempre come piace a noi, e se questa scelta viene spinta o sollecitata per via del fatto che il sessismo dominante ne ha fatto uno strumento valido nel mercato non implica che tutte debbano morire di fame guadagnando due lire per miseri posti da commesse pagate in nero.
in ogni caso, credo, la questione si pone in generale. gli operai devono avere muscoli e forza fisica. dici che gli uomini privi di forza e muscoli chiederanno a costoro di sottrarsi a quei lavori perché altrimenti in linea generale tra i requisiti richiesti nei lavori ci saranno la forza e i muscoli?
La domanda è: ogni lavoratore/trice è responsabile dello sfruttamento che subisce?
Se e quando si tratta di sfruttamento. Dunque per prima cosa, ripeto, bisogna verificare le condizioni contrattuali di queste persone e non se sono vestite oppure no.
Da qualche giorno sto seguendo la questione sulla pagina di facebook, alcuni dei ragazzi che hanno partecipato all’azione li conosco personalmente e, anche se purtroppo a distanza (non vivo più a Napoli) ho provato a confrontarmici… anche a me non è piaciuta l’azione, ma sono comunque felice che qualcuno abbia sollevato il problema, nella speranza che la discussione a un certo punto esca dalla cornice telematica e possa creare un confronto dal vivo in una città che ne ha disperatamente bisogno. Essere donna a Napoli, la città europea con il più alto tasso di disoccupazione, è violenza quotidiana, quella del dover caricare sulle proprie spalle tutto il peso della casa e dei figli, dell’accettare qualsiasi condizione lavorativa, la morale asfissiante del quartiere… esempi quotidiani meno visibili delle vetrine di dino galiano, ma ben più umilianti. Che poi se sia o meno “umiliante” esporsi in vetrina per aumentare la vendita di elettrodomestici è una questione che credo sarebbe da problematizzare, magari partendo dai soggetti che hanno scelto questo impiego (il che però, vorrei puntualizzare, pare sia stato reso impossibile dallo stesso proprietario del negozio che le ha fatte “sparire” dal retro…), che come ogni impiego precario e malpagato è di per sè costrittivo e frustrante. Non c’è lavoro in un sistema capitalista che non implichi sfruttamento, e quindi non ce n’è uno che NON sia umiliante. Però tutta la discussione mi ha stimolato una riflessione, e mi piacerebbe discuterla in questo spazio: quando qualcuno (e nel 90% dei casi sarà una donna) accetta di fare un lavoro il cui unico o principale requisito sia la “bella presenza”, non sta contribuendo a rinsaldare la necessità per ogni donna di apparir bene per poter lavorare o essere considerata? Non so se mi spiego bene… se un mio collega alla catena accetta di fare lo straordinario alla catena senza essere pagato, mettendomi nella condizione di non poter rifiutare a mia volta… io m’incazzo con lui, cerco di costruire un fronte compatto contro la dirigenza. Se una mia compagna si carica da sola le pulizie e il rassettare lo spazio che autogestiamo con compagni maschi, io ci parlo perché non è un compito che ci “spetta”, e le responsabilità vanno divise… allora perché non dovrei fare lo stesso anche con tutte le donne che accettano che per certi lavori bisogni rientrare al massimo nella taglia 42? mettere abiti discinti e imbellettarsi? stare “composte” e travestite da casalinga americana degli anni’50 in reparto perché la dottoressa/specializzanda/operatrice femmina dev’essere anche “decorativa”? Non c’è una relazione tra questi aspetti che praticamente ogni lavoro svolto da una donna contempla (persino di Angela Merkel si parla innanzitutto di come si veste!) e il fatto che esistano categoria lavorative in cui tutto ciò che ci viene chiesto è “decorare” (magari una vetrina con degli elettrodomestici?). Sono curiosa di sapere che ne pensate e se c’è materiale in rete/stampa sulla questione…
Anche Baruda parla di sovradeterminazione e mi ricorda la santanchè che voleva togliere il burqa alle donne.
http://baruda.net/2012/12/18/perche-coprire-quei-corpi/
Bisogna ragionarne e personalmente ringrazio i ragazzi di avermi dato questa opportunità perché la loro azione, se vogliamo, è la logica conseguenza del tanto battere sopra alla questione del corpo delle donne brandendo la faccenda della dignità e svuotando di contenuto politico ogni cosa alla maniera delle Snoq senza dare senso e compiutezza a riflessioni che oggi sarebbero necessarie.
Ulteriore riflessione QUI: http://femminismo-a-sud.noblogs.org/post/2012/12/18/il-corpo-delle-donne-e-delle-donne/
“Autodeterminazione e sicurezza ma non security. Una fonte di sicurezza è il reddito, per dire.”
Assolutamente!
Violenza sulle donne è: il compagno cattolico convinto di essere antisessista.
Autodeterminazione e sicurezza ma non security. Una fonte di sicurezza è il reddito, per dire. 🙂
Altrimenti non si capisce cosa ci sia di diverso dalle ronde.
Il post di Viviana centra il punto anche sul marketing eteronormato e lì la sovversione davvero poteva essere quella di andare a fare balletti diretti ad altri orientamenti. Tanta roba si poteva fare ma non quella che hanno fatto. Spero sia l’occasione per parlarne, con loro, e fare intendere quello che vogliamo dire, perché non è una questione di lana caprina ma sono cose sostanziali queste.
Il post di Viviana: http://sopravviverenonmibasta.wordpress.com/2012/12/18/non-amo-i-tutori-neanche-se-sono-compagni/
Spero che si sviluppi una coscienza antisessista e antiautoritaria a 360° e si possa lottare per libertà di autodeterminazione e sicurezza di tutti i corpi, prima che per la dignità, che è un concetto molto astratto e soggettivo, perché ognuno mette il proprio grado di dignità in ciò che fa.
Sono d’accordo e poi io dico che fossero stati operai in un cantiere non si sarebbe fatta la stessa cosa, come se i corpi in uso non fossero di tanti tipi e per tanti mestieri.
Quella foto, con i ragazzi che coprono la vetrina, censurando, agisce una violenza simbolica maggiore del fatto che il negoziante abbia pensato a delle cubiste per farsi pubblicità.
Uomini che coprono coi giubbini i corpi delle donne perché nessuno li guardi.
Cosa state difendendo?
Ragazze che avevano trovato un lavoro per un giorno e che sono state trattate come delle stupide o peggio.