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I nostri corpi come merce di scambio

A Milano un pubblico funzionario, un ex ispettore della Gefi (che all’epoca dei fatti contestati gestiva per conto di Palazzo Marino gli alloggi oggetto delle perquisizioni) è accusato di chiedere sesso alle inquiline abusive per cancellare la pratica dello sgombero.

Si tratta di un uomo che agendo in qualità di incaricato di pubblico servizio, nel giugno 2008 avrebbe chiesto a un’inquilina abusiva "di procurargli indebitamente la disponibilità sessuale di giovani donne, lasciandole chiaramente intendere che lui stesso si sarebbe interessato per bloccare la pratica di sgombero dall’immobile dalla suddetta abusivamente occupato, unitamente al figlio minore, e chiedendo se in cambio gli procurava una ragazza che accettasse di intrattenere rapporti sessuali con lui, ovvero di congiungersi carnalmente o praticargli un rapporto orale, non riuscendoci stante il diniego" della donna.

Notizie del genere non possono che ribadire un concetto: noi donne o siamo fighe o siamo uteri. Non c’è scampo. Alle donne vengono chiesti sempre e solo rapporti sessuali, di diverso tipo o fattezza, ma da quell’ambito non usciamo. Noi siamo percepite che come buchi, forse è più appropriato, perché come potremmo definirci fighe?

La figa almeno ha un piacere interno, in un certo senso richiama il piacere della donna. Qui invece l’ispettore richiedeva dei buchi, dei mezzi per potersi sfogare, a cui non è richiesta partecipazione ma solo prostrazione, a cui poi avrebbe dato "una ricompensa".

Questo per me è stupro, è uno stupro non solo fisico ma istituzionale, perché chi lo compie lo fa da una posizione di rilievo. E lui non agisce da solo. Quest’uomo, se così possiamo chiamarlo, oltre ai quattro complici reali, ha come complici tutt* coloro che continuano a permettere che tali cose accadono.

Perché sia chiaro, non è che un maschio si alza la mattina e ti chiede un pompino se non si sente legittimato, culturalmente, a chiedertelo. Questo va detto, perché la responsabilità non è solo del singolo, ma anche di chi gli consente di farlo. Quando leggiamo articoli come questi abbiamo l’impressione che siano “casi isolati”, ma non è così.

Ridurre questi episodi a casi sporadici non è solo sbagliato, ma anche rischioso per tutte, perché ci induce a credere che non ci sia un filo conduttore, un collante che tenga legati tutti gli episodi di violenze, e che quindi le responsabilità vadano cercate nell’individuo singolo e non nella collettività.

Niente di più deviante, a mio parere. L’individuo è parte di una collettività e da essa trae i principi su cui poi modella i suoi atteggiamenti, quindi se da un lato le responsabilità personali vanno ricercate dall’altra non possiamo non considerare quelle culturali che se non scardinate, non criticate continueranno a fomentare/giustificare persone come queste e le donne resteranno dei buchi.

Rivendichiamo il nostro essere donne. Rivendichiamo l’autonomia e il piacere della nostra sessualità e rinominiamo in modo indipendente quello su cui Eve Ensler ha basato i suoi monologhi della vagina.

Posted in Corpi, Omicidi sociali, Pensatoio, Precarietà.