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Femminismo a parole

Dal mio nuovo blog [Abbatto i Muri] dove troverete le mie storie e i miei pensieri liberi assieme ai mille progetti di cui continuerò ad occuparmi. Per commentare, se volete, venite di là. Buona lettura.

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Una donna siciliana, adulta, molto adulta, assiste il figlio disabile, si occupa della casa, cucina puntuale per far trovare pronto a suo marito, trova un buco nella giornata per farsi uno shampoo, corre dal medico per farsi prescrivere i farmaci per il figlio, poi passa in bottega e perde dueminutidue di tempo per consolidare l’unica relazione sociale che le resta nel quartiere, quella consentita dagli impegni familiari. Così prende il pane e a casa c’è il marito che le chiede “dove sei stata tutto questo tempo? tuo figlio ha bisogno di essere cambiato…” e c’è quella creatura, anagraficamente adulta ma totalmente dipendente che è mortificato perché puzza ed è sdraiato sulle sue feci. Questo è un pezzo di vita possibile di una donna che conosco bene.

Quando mi trovo di fronte a lei guardo a me stessa in tutta la mia inadeguatezza. Posso fare tutti i bei discorsi femministi che voglio, partecipare ai cortei e alle conferenze, stare a discutere per giorni e giorni di welfare e di ruoli di cura condivisi tra i sessi, ma tutto mi porta a sbattere il muso su quella realtà.

Se anche io andassi da lei a dirle “vedi, è da cambiare il welfare, tuo marito dovrebbe tirare su il culo e darti una mano e poi lo Stato dovrebbe aiutarti perché non è possibile che tu faccia tutto questo, lo fai gratis, se sei stanca e ti incazzi ti fanno pure sentire in colpa perché ti dicono che se ami tuo figlio devi fare così, e non è possibile che tu non abbia sogni, bisogni, momenti tuoi e che per averne debba inventarti mille scuse, la spesa, perfino la messa per te diventa un alibi per respirare…“.

Ma a che serve che io le dica questo. A che serve che io guardi con quel minimino di ostilità da femminista consapevole quell’uomo anziano che già è tanto se è arrivato fin lì e non ha mollato moglie e figlio data la cultura da cui viene, che in certi luoghi è da considerarsi un eroe perché la mantiene, mantiene tutti, si è fatto un gran culo a lavorare nella vita, ha svolto il suo compito e per quel che gli riguarda ora vorrebbe un po’ di riposo così anche lei che però non ha mai ricevuto alcun guadagno e non può avere una pensione. No, non ce l’ha e dipende sempre dal marito ed è il figlio con la sua pensione minima di invalidità che ogni tanto le dà qualche decina d’euro per mandarla dal parrucchiere.

A che serve tutto il mio sapere se poi le cose stanno così. Non serve a un cazzo. Allora ho da dirle, a questa donna e a tutte le donne come lei, che sono disponibile a fare quello che fa lei per qualche giorno ovvero se non ho voglia di farlo, ed è plausibile che io abbia già i gran cazzi miei, devo dire con onestà che non ho voglia di sporcarmi le mani, che scelgo una forma di “militanza” che mi gratifichi e appaghi il mio ego perché di forme praticate di solidarietà tra donne, tra persone, non ho voglia di assumermene la responsabilità.

E questo è solo un esempio, banale, come tanti che potrei farvi, ma le questioni sociali, ecco, le risolvi a partire dalle piccole rivoluzioni che fai in famiglia, con le persone a te vicine, quelle che conosci, e se queste cose non le fai, di quali diritti delle donne parliamo allora?

Posted in Affetti liberi, AntiAutoritarismi, Critica femminista, Storie di dipendenze.